Pubblichiamo un intervento di Giovanni Lugaresi sul celibato
ecclesiastico, apparso tre anni orsono su La Voce di Romagna, e
tuttavia di grande attualità. Ci è sembrato utile rileggerlo oggi, per
constatare come ciclicamente ritornino alla ribalta argomenti, già in passato
ampiamente approfonditi e chiariti. Sorge spontanea una domanda: con quale
scopo certi problemi, più o meno reali, vengono riproposti, anche da parte di
Ecclesiastici che, per gli importanti incarichi che ricoprono, dovrebbero
attentamente soppesare ogni parola?
PD
CELIBATO ECCLESIASTICO. IL SACERDOTE NON E’ UN
FUNZIONARIO
Di quando in quando, allorché emergono problemi e/o
scandali nella vita della Chiesa, ecco tornare, sia da parte di laici, sia di
certi credenti, il discorso sul celibato dei preti. Potrebbe sembrare che
(secondo il loro punto di vista), eliminato il celibato, concessa
l’autorizzazione al matrimonio, tutto si accomoderebbe: in primis, non ci
sarebbero più sacerdoti pedofili.
Ed è quanto si è sentito dire e si è letto anche in questi
giorni a commento degli scandali che hanno visto coinvolti sacerdoti americani
e irlandesi, tedeschi e olandesi, austriaci e italiani - in quest’ultimo caso,
soprattutto per questioni di donne (e di paternità non riconosciute, come
accaduto a Padova).
Quello della pedofilia è un peccato che già Nostro Signore
bollò con parole di fuoco, e non vi ha dubbio che rappresenti uno scandalo
vergognoso e disgustoso.
Ma le cronache ci avvertono che pedofili sono anche uomini
sposati con prole, ergo… Non si può trovare la soluzione al problema dei preti
pedofili eliminando il celibato e concedendo loro la facoltà di sposarsi. La
pedofilia essendo praticata a tutti i livelli di… stato civile e da persone di
tutte le professioni e di tutti i ceti sociali e culturali.
Perché sì, dunque, al celibato sacerdotale? Perché il vero
prete eserciterà sempre, comunque, una paternità, che non è quella della carne,
bensì tutta spirituale, e per farlo non può avere impedimenti di sorta,
problemi derivanti dal rapporto con la moglie, dall’educazione dei figli, dai
comportamenti di mogli e figli. Se un sacerdote vuole essere veramente tale e
svolgere la sua missione, non si può pensare debba avere altri legami se non
quello con Dio e con le anime che gli sono affidate ed altre preoccupazioni se
non quella del bene delle anime stesse.
Abbiamo detto “missione”, perché se il ruolo del prete non è
più quello della “missione”, appunto, ecco emergere una figura affatto diversa:
quella dell’impiegato, del funzionario! Già ci sono preti che si comportano
come tali, non essendo totalmente disponibili agli altri. In chiesa ci sono
poco; in confessionale a giorni fissi, e con orario prestabilito; a far visita
ai malati con una parola di conforto spirituale e a portar loro la comunione
non tutti e non sempre vanno – ci riferiamo ovviamente ai parroci. Magari
mandano qualche laico/a… ma non è la stessa cosa. In compenso si occupano (e si
preoccupano) di cose futili, del tipo: le gite, i pranzi sociali, le sagre e
sagrette paesane - tutte cose che potrebbero benissimo essere affidate ai
laici. Del resto, nella retorica postconciliare non è stato ampiamente
sottolineato il ruolo dei laici nella Chiesa? E allora si incominci a
restituire al prete il suo ruolo ministeriale, cioè spirituale, e si lascino a
uomini donne compiti e funzioni di carattere pratico, materiale.
Ancora: il celibato dei preti costituisce una ricchezza da
utilizzare, da volgere, al bene delle anime.
Certo, non va sottovalutata la solitudine del prete, il
bisogno di affetto, di amore. Ma se un prete non sa che l’amore più grande può
venire soltanto da Dio, e che pregando con fede Dio aiuta, che prete è?
E i credenti saranno ben in grado di aiutare il loro prete,
se sono veramente persone di fede. Sapranno stargli vicino, sapranno pregare
per lui!
Forse il problema è proprio questo: tutti presi, preti e
laicato cattolico, dal sociale, dal materiale, dalle cose di questo mondo,
insomma, poco o punto riescono ad alzare gli occhi oltre il nostro basso
orizzonte terreno, e a guardarsi nel profondo del cuore, quindi, a pregare. La
preghiera è stata sottovalutata da troppi uomini di Chiesa e per troppo tempo,
perché si era tutti presi dall’azione, dall’attivismo, con quali risultati, lo
vediamo…
Diceva un vecchio detto romagnolo (scusate la scrittura
imprecisa): “cal donn cagli’è sempar in cisa e mai a messa!”, a significare
che certe femmine in chiesa ci andavano, non per pregare Nostro Signore, ma per
vedere (e farsi vedere, ovviamente) il prete, di bell’aspetto o comunque
affascinante. E qualche prete perdeva poi la testa per queste fedelissime della
chiesa. Sì: fedelissime della chiesa – con la minuscola – ma non di Dio…
Nella mia biblioteca conservo un vecchio (è del 1962) libro:
“Perché i preti non si sposano?” (Nuova Accademia Editrice).
Vi si legge fra l’altro: “Perché un uomo sia compreso dagli
altri, occorre che la sua forma di vita rientri nel dominio delle spiegazioni
comuni: i suoi atti sono plausibili quando sono in giusto rapporto con un fine
plausibile (…) La verginità sacerdotale è inesplicabile se si prescinda da una
ragione: il Regno di Dio che deve venire, la Donna immacolata che scende dal
fianco di Dio (…) La Donna coronata di stelle – il Regno di Dio – per alcuni è
un’illusione, per altri è una scommessa rischiosa, per il prete è come una
moglie: ci va a braccetto… Se un prete si stanca della Chiesa, allora è in
pericolo. Ma se un prete si stanca della Chiesa è già colpevole: ogni altro
peccato è inferiore a questo. Anche un prete che fa il patetico sulla propria
solitudine, mendicando ammirazioni e conforti, è infedele nel suo cuore. Il suo
cuore deve vivere fin da ora tra ‘ i beni futuri’ (…) I cristiani di vera fede
amano il prete perché avvertono in lui, più che l’eroismo di una rinuncia, il
fremito consolante di una profezia vissuta. I pagani, persuasi che la storia
umana dipende soltanto dall’equilibrio degli atomi e da quello degli ormoni,
continueranno a credere succubo dei pregiudizi del passato remoto un uomo che
invece ha sposato il futuro…”.
Ecco, qualche passo di quell’aureo libro, che non fu scritto
da un prete “all’antica”, da un conservatore, bensì da un personaggio che i
nostri cattolici progressisti (modernisti) di oggi hanno sempre tenuto in
grande considerazione. Pensate un po’… Si tratta di padre Ernesto Balducci!
Meditate, cattolici progressisti, meditate. Quanto ai laici,
forse potrebbero incominciare ad avere qualche dubbio sulle loro dogmatiche
certezze anticattoliche.
di Giovanni Lugaresi
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