~ MALATTIE SCANDALOSE, PECCATI SCANDALOSI
~ QUANDO LA SOLA BONARIETÀ NON AIUTA ~
L’altro giorno, il 23 settembre, in una piazza del centro storico di
Roma si celebrava la festa di san Pio da Pietrelcina. Finita la
processione, davanti a una folla di devoti (vecchi e malati soprattutto,
audience poco appetibile per i postmoderni, stupore misto a scherno
nello sguardo dei modaioli in bicicletta che passavano lì accanto), il
parroco della chiesa organizzatrice, che possiede varie reliquie del
frate delle stigmate, ricordava con tormento che nella mattinata avevano
affidato a Padre Pio i piccoli pazienti del reparto oncologico del
Bambin Gesù, i bambini malati di cancro.
Il povero prete, visibilmente turbato da questo mistero dolorosissimo, benediceva i malati, tutti i malati, con la reliquia del taumaturgo moderno. Quando non si sa più a chi bussare, quando lo scandalo della malattia infantile sconvolge la ragione, ci si rivolge a quel frate d’altri tempi, sofferente come Cristo in croce, che continuava a sanguinare anche dopo il Concilio, che continuava a dir messa in latino anche dopo il Concilio; un ‘ideologo’, secondo l’espressione sprezzante dell’Argentino nella ormai celebre intervista. Ma i fedeli dolenti sanno distinguere tra una star mediatica e uno che sanguina. Chi sente vicina la minaccia della morte non sa che farsene dei consigli di «Repubblica» e del suo glamour, delle trovate laiche degli interlocutori delle lettere papali (ma tutti e due, quello in carica e l’emerito, si scelgono personaggi davvero cheap, il gioco è fin troppo facile, almeno Benedetto XIV scriveva a Voltaire).
Il povero prete, visibilmente turbato da questo mistero dolorosissimo, benediceva i malati, tutti i malati, con la reliquia del taumaturgo moderno. Quando non si sa più a chi bussare, quando lo scandalo della malattia infantile sconvolge la ragione, ci si rivolge a quel frate d’altri tempi, sofferente come Cristo in croce, che continuava a sanguinare anche dopo il Concilio, che continuava a dir messa in latino anche dopo il Concilio; un ‘ideologo’, secondo l’espressione sprezzante dell’Argentino nella ormai celebre intervista. Ma i fedeli dolenti sanno distinguere tra una star mediatica e uno che sanguina. Chi sente vicina la minaccia della morte non sa che farsene dei consigli di «Repubblica» e del suo glamour, delle trovate laiche degli interlocutori delle lettere papali (ma tutti e due, quello in carica e l’emerito, si scelgono personaggi davvero cheap, il gioco è fin troppo facile, almeno Benedetto XIV scriveva a Voltaire).
Quando capiterà, e capiterà a tutti, anche ai cattolici adulti, di
trovarsi di fronte al giudizio divino – un’altra faccenda di cui non si
parla più, neppure nelle alte sfere della gerarchia – serviranno a poco
le chiacchiere sulla bontà generica, le teologie della liberazione o le
più moderate teologie del popolo, le feste della pace, i dialoghi tra le
religioni. Forse correrà in nostro soccorso un frate inattuale, ancora
lui, che amava i più scandalosi peccatori e che diceva di voler restare
sulla soglia del Paradiso fino alla fine dei tempi per fare anche
nell’aldilà il nostro avvocato, per strappare l’ultimo suo fedele alla
pena eterna. Al vescovo gesuita che teme il confessionale come «camera
di tortura» da cui vuole liberarsi quanto prima, contrapponendogli
un’assoluzione leggera e indolore, qualcuno, per pietà, racconti di
Padre Pio e del suo modo di confessare.
Chi da bambino ebbe la grazia d’incontrarlo può testimoniare come il
tragico sacerdote che soffriva nel sacrificio della messa, il vecchio
con il volto corrucciato da profeta che allontanava i curiosi dal
tempio, poi nel chiostro si mostrava benefico e allegro santo
meridionale. Costretto dal suo ufficio sacerdotale a ricordare le
proibizioni del Vangelo (sì, ci sono anche queste, e nette) come la
severità del Giudice (che Cristo stesso mise in evidenza in varie
parabole che oggi si definirebbero crudeli), a evocare i misteri
dolorosi come quelli gaudiosi, era al contempo misericordioso e
implorante pietà, per l'anima e per il corpo, molto sensibile ai corpi e
ai loro malanni, alla miseria fisica che è più tremenda di quella
economica, rigoroso con gli errori umani e benigno con gli uomini e le
donne che aveva di fronte. Un santo sa che cosa è il peccato e conosce
la debolezza del peccatore, perché è uno che sa che cosa è il dolore,
perciò è pronto ad assolvere, a sciogliere cioè dai lacci maligni. Chi
invece cancella il peccato dal paesaggio moderno, chi lo considera il
retaggio di divieti arcaici, riduce il dolore a uno scherzo da oratorio,
gli toglie significato.
Nessun peccatore dignitoso vorrà essere assolto senza processo al male
che ha in sé, nessuno troverà vero conforto nelle parole generiche degli
indulgenti. Non ci si sazia delle banalità, nel mancato atto di
giustizia resta più profonda l’inquietudine. Perfino nel sesso c’è un
elemento di sofferenza, di ansia: se viene appiattito, pacificato, lo si
priva pure di quel risvolto spirituale. Chi è consapevole del suo male
non si accontenta del placebo, né vuole sentirsi dire che si tratta
soltanto di una influenzina. Ecco perché da ogni parte del mondo – in
tempi non ancora propizi ai viaggi – si accorreva in quel villaggio nel
deserto del Gargano e ci si metteva in fila secondo l’ordine di
prenotazione per inginocchiarsi al confessionale di padre Pio. Non ci si
andava per sentir ripetere formule mielose, per essere consolati in
modo ipocrita, il frate anzi si arrabbiava, talvolta gridava, giudicava
in nome di Dio e perdonava in nome di Dio. La compassione che assicurava
forse discendeva anche dal dolore delle sue ferite sanguinanti.
...questo articolo mi rasserena!
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