E’ calma apparente nelle segrete stanze dell’Arcidiocesi di Napoli guidata dal discusso cardinale Crescenzio Sepe.
Da tempo dalle parti di Largo Donnaregina serpeggiano forti malumori.
Pare che nella Curia partenopea siano in corso guerre di
“riposizionamento”.
All’orizzonte ci sarebbero promozioni e spostamenti ma soprattutto nomine di pregio come quella a vescovo.
All’orizzonte ci sarebbero promozioni e spostamenti ma soprattutto nomine di pregio come quella a vescovo.
Il
nuovo rimescolamento, non è il primo, delle carte sarebbe dovuto ai
riflessi o meglio agli effetti del terremoto provocato dal pontificato di Papa Francesco:
tutto imperniato sulla volontà di un concreto rinnovamento capillare
della chiesa. Il responsabile della Curia di Napoli è quel Crescenzio Sepe, indagato per un’ipotesi di corruzione quando era prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, più che altro architrave di quella chiesa lontana anni luce dall’impronta gesuitica voluta da Papa Francesco.
Episodi significativi non mancano. Il più clamoroso ? Le dimissioni – lo scorso febbraio – di monsignor Gennaro Matino da moderatore ovvero coordinatore di tutte le attività della Curia, vicario della comunicazione e responsabile del Giubileo di Napoli. L’incarico di moderatore gli fu affidato dallo stesso Sepe al suo insediamento nel luglio 2006. Accade che durante la campagna elettorale il cardinale spalanca le porte della “Casa di Tonia”, la struttura ricettiva e di accoglienza delle ragazze madre della Chiesa di Napoli a Mario Monti. Monsignor Matino, stimato teologo, autore con lo scrittore Erri De Luca di libri di successo ma anche tra i più tecnologici uomini di chiesa all’istante tweetta 140 caratteri di fuoco “Che amarezza la Chiesa schierata con i poteri forti”. Un putiferio con le sue dimissioni irrevocabili dalla Curia (sostituito poi da Monsignor Raffaele Ponte). C’è da dire che Matino era il candidato naturale a vescovo ausiliario: quando si discuteva della sua probabile promozione – tutto precipitò – per il divampare – siamo nel 2008 – dello scandalo per l’accusa di corruzione dell’alto prelato.
Trascorre qualche mese è una nuova tegola cade sulla gerarchia partenopea. Un “corvo”- alla vigilia del Conclave – spedisce lettere al veleno seminando il panico a Largo Donnaregina e fra i parroci della diocesi. Accuse circostanziate e dure nei confronti di Sepe: “Afferma la sua personalità rispetto alle opere sociali”, “Favorisce discriminazioni nel clero”, “Nella diocesi va avanti chi dà e non chi vale”, “Che fine fanno i soldi versati con l’otto per mille?”.
Imbarazzo e sospetti per un arcivescovo traballante in una diocesi dai mille problemi. Lo schioppettante cardinale dalla battuta pronta e dal tenero saluto “’A madonna t’accumpagna” è più smarrito che mai. Adesso si è alla vigilia di un necessario e urgente riequilibrio di Largo Donnaregina. Occorrono nomi che diano nuovo smalto e slancio alla chiesa di Napoli.
Tra i papabili a vescovo si sussurra con insistenza il nome di Don Tonino Palmese, salesiano, impegnato sul fronte della legalità con “Libera”, vice presidente della Fondazione Polis (nomina rinnovata lo scorso 19 luglio dalla giunta Caldoro), presidente onorario di molte altre cose e più che altro vicario episcopale per carità e pastorale sociale della stessa Curia di Napoli.
E’ un discorso che sta nelle cose: si è parlato per lui di una designazione a Pompei, poi a Capua adesso ad Aversa. I segnali dalla Santa Sede sarebbero buoni. Il sacerdote è molto attivo, ben inserito nel mondo dell’anticamorra – si occupa di familiari delle vittime innocenti e il riuso dei beni confiscati – detiene importanti relazioni. Don Palmese – insomma – potrebbe ben rappresentare le battaglie di Sepe contro i clan e rilanciare la reputazione un po’ appannata per la verità dell’Arcidiocesi partenopea.
Resta chiaro che don Palmese dovrebbe necessariamente – nell’ipotesi in cui fosse davvero candidato e nominato vescovo – lasciare i suoi numerosi incarichi e impegni. La probabile nomina del parroco rappresenterebbe uno snodo importante di adesione della Curia partenopea al nuovo corso di Papa Francesco. Un segnale importante da Napoli anche nella stessa scelta del nuovo vescovo che dovrà rispettare i rigidi criteri dettati dal Pontefice in occasione – lo scorso giugno – dell’incontro con i Nunzi apostolici: ‘Siate attenti che i candidati siano pastori vicini alla gente, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; amino la povertà interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, e non abbiano una psicologia da principì. Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato – volentes nolumus – e che siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/01/tra-dimissioni-corvi-e-scandali-chiesa-di-napoli-tenta-di-salvarsi/697705/
Episodi significativi non mancano. Il più clamoroso ? Le dimissioni – lo scorso febbraio – di monsignor Gennaro Matino da moderatore ovvero coordinatore di tutte le attività della Curia, vicario della comunicazione e responsabile del Giubileo di Napoli. L’incarico di moderatore gli fu affidato dallo stesso Sepe al suo insediamento nel luglio 2006. Accade che durante la campagna elettorale il cardinale spalanca le porte della “Casa di Tonia”, la struttura ricettiva e di accoglienza delle ragazze madre della Chiesa di Napoli a Mario Monti. Monsignor Matino, stimato teologo, autore con lo scrittore Erri De Luca di libri di successo ma anche tra i più tecnologici uomini di chiesa all’istante tweetta 140 caratteri di fuoco “Che amarezza la Chiesa schierata con i poteri forti”. Un putiferio con le sue dimissioni irrevocabili dalla Curia (sostituito poi da Monsignor Raffaele Ponte). C’è da dire che Matino era il candidato naturale a vescovo ausiliario: quando si discuteva della sua probabile promozione – tutto precipitò – per il divampare – siamo nel 2008 – dello scandalo per l’accusa di corruzione dell’alto prelato.
Trascorre qualche mese è una nuova tegola cade sulla gerarchia partenopea. Un “corvo”- alla vigilia del Conclave – spedisce lettere al veleno seminando il panico a Largo Donnaregina e fra i parroci della diocesi. Accuse circostanziate e dure nei confronti di Sepe: “Afferma la sua personalità rispetto alle opere sociali”, “Favorisce discriminazioni nel clero”, “Nella diocesi va avanti chi dà e non chi vale”, “Che fine fanno i soldi versati con l’otto per mille?”.
Imbarazzo e sospetti per un arcivescovo traballante in una diocesi dai mille problemi. Lo schioppettante cardinale dalla battuta pronta e dal tenero saluto “’A madonna t’accumpagna” è più smarrito che mai. Adesso si è alla vigilia di un necessario e urgente riequilibrio di Largo Donnaregina. Occorrono nomi che diano nuovo smalto e slancio alla chiesa di Napoli.
Tra i papabili a vescovo si sussurra con insistenza il nome di Don Tonino Palmese, salesiano, impegnato sul fronte della legalità con “Libera”, vice presidente della Fondazione Polis (nomina rinnovata lo scorso 19 luglio dalla giunta Caldoro), presidente onorario di molte altre cose e più che altro vicario episcopale per carità e pastorale sociale della stessa Curia di Napoli.
E’ un discorso che sta nelle cose: si è parlato per lui di una designazione a Pompei, poi a Capua adesso ad Aversa. I segnali dalla Santa Sede sarebbero buoni. Il sacerdote è molto attivo, ben inserito nel mondo dell’anticamorra – si occupa di familiari delle vittime innocenti e il riuso dei beni confiscati – detiene importanti relazioni. Don Palmese – insomma – potrebbe ben rappresentare le battaglie di Sepe contro i clan e rilanciare la reputazione un po’ appannata per la verità dell’Arcidiocesi partenopea.
Resta chiaro che don Palmese dovrebbe necessariamente – nell’ipotesi in cui fosse davvero candidato e nominato vescovo – lasciare i suoi numerosi incarichi e impegni. La probabile nomina del parroco rappresenterebbe uno snodo importante di adesione della Curia partenopea al nuovo corso di Papa Francesco. Un segnale importante da Napoli anche nella stessa scelta del nuovo vescovo che dovrà rispettare i rigidi criteri dettati dal Pontefice in occasione – lo scorso giugno – dell’incontro con i Nunzi apostolici: ‘Siate attenti che i candidati siano pastori vicini alla gente, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; amino la povertà interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, e non abbiano una psicologia da principì. Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato – volentes nolumus – e che siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/01/tra-dimissioni-corvi-e-scandali-chiesa-di-napoli-tenta-di-salvarsi/697705/
Curia, a Napoli un corvo accusa Crescenzio Sepe
Alla vigilia del Conclave, tre lettere accusano il cardinale di preferire il successo alle opere sociali.
di Enzo Ciaccio
È caccia al “corvo” napoletano, che - alla vigilia del Conclave - spedisce lettere al veleno seminando il panico in Curia e fra i parroci della diocesi.
Le missive contro il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe, 68 anni, nato a Carinaro in provincia di Caserta, sarebbero addirittura tre, secondo l’agenzia Il Velino.
ACCUSE GRAVI. Qualcuno ammette, a denti stretti, di averne letta una. Ma a tutti basta e avanza, vista la gravità delle accuse (da dimostrare ndr) scagliate dall’anonimo contro l’attività pastorale e finanziaria dell’alto prelato, già pupillo di papa Giovanni Paolo II, anni fa in corsa per diventare segretario di Stato e dall’aprile 2001 potente “papa rosso”, cioè prefetto di Propaganda fide, la struttura che controlla la nomina dei vescovi e le attività economiche della Chiesa africana, asiatica, latino-americana.
Nel luglio 2006 Sepe - da sempre schierato contro le posizioni del segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone - è sbarcato a Napoli per volontà di papa Ratzinger, che ha voluto proteggerlo - dicono - dai rischi dell’inchiesta giudiziaria sulle case che sarebbero state svendute da Propaganda fide ad alcuni personaggi potenti (tra i beneficiati - secondo l’accusa - anche l’ex ministro Pietro Lunardi, l’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso e Nicola Cosentino, l’ex coordinatore del Partito della libertà in Campania).
ESILIO AD ALTA VISIBILITÀ. Un esilio ad alta visibilità, il suo. All’ombra del Vesuvio Sepe, esperto di comunicazione, ha saputo “mantenere la scena” fino al punto di agganciare migliaia di amici su Facebook e conquistare spesso le prime pagine dei quotidiani.
Il 13 febbraio, il giornalista Massimo Milone, da sempre a lui vicino e per molti anni al vertice del Tg3 campano, è stato nominato - a sorpresa - direttore di Rai Vaticano. Ma oltre a mostrarsi abilissimo nel piazzare bene gli uomini di fiducia (gli era già riuscito con lo spagnolo Joaquin Navarro Valls alla Sala stampa del Vaticano, con il quasi conterraneo irpino Mario Agnes, imposto alla direzione dell’Osservatore Romano, nonché con un altro Agnes, il fratello Biagio, alla direzione generale Rai ), il cardinale “comunicatore”, abile anche nell’organizzazione di sacri spettacoli, è riuscito a conquistarsi l’affetto dei molti napoletani che ne hanno apprezzato i modi schietti e il saluto tenero («'A madonna t’accumpagna…»), l’esplicito impegno anti-camorra, il rapporto a muso duro con il sindaco Luigi De Magistris, le iniziative pastorali (Sepe mette da anni all’asta i regali ricevuti), le aperture ai gay nonché l’irrefrenabile tifo per la squadra di calcio.
UN PUGNO NELLO STOMACO. Ora, però, una lettera lo accusa. E il clima si è fatto greve. Che cosa, in concreto, viene contestato a Sepe? Di privilegiare, per esempio, «l’affermazione della sua personalità rispetto alle opere sociali». Di «favorire discriminazioni nel clero», nel senso - precisa l’anonimo - «che nella diocesi va avanti chi dà e non chi vale».
E ancora, come un pugno allo stomaco: «Che fine fanno i soldi versati con l’otto per mille?». Dubbi vengono espressi anche sul «fondo di solidarietà fra le parrocchie che dovrebbero contribuire a costituirlo». E non mancano contestazioni alle persone «di cui il cardinale Sepe si è circondato». Più avanti, il corvo contesta a sua eminenza di aver brigato contro il vescovo uscente di Pompei, monsignor Carlo Liberati. E perfino di aver «promosso o spostato in parrocchie comode e gradite» i parroci più abili nel raccogliere fondi e oro tra i fedeli.
Le missive contro il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe, 68 anni, nato a Carinaro in provincia di Caserta, sarebbero addirittura tre, secondo l’agenzia Il Velino.
ACCUSE GRAVI. Qualcuno ammette, a denti stretti, di averne letta una. Ma a tutti basta e avanza, vista la gravità delle accuse (da dimostrare ndr) scagliate dall’anonimo contro l’attività pastorale e finanziaria dell’alto prelato, già pupillo di papa Giovanni Paolo II, anni fa in corsa per diventare segretario di Stato e dall’aprile 2001 potente “papa rosso”, cioè prefetto di Propaganda fide, la struttura che controlla la nomina dei vescovi e le attività economiche della Chiesa africana, asiatica, latino-americana.
Nel luglio 2006 Sepe - da sempre schierato contro le posizioni del segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone - è sbarcato a Napoli per volontà di papa Ratzinger, che ha voluto proteggerlo - dicono - dai rischi dell’inchiesta giudiziaria sulle case che sarebbero state svendute da Propaganda fide ad alcuni personaggi potenti (tra i beneficiati - secondo l’accusa - anche l’ex ministro Pietro Lunardi, l’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso e Nicola Cosentino, l’ex coordinatore del Partito della libertà in Campania).
ESILIO AD ALTA VISIBILITÀ. Un esilio ad alta visibilità, il suo. All’ombra del Vesuvio Sepe, esperto di comunicazione, ha saputo “mantenere la scena” fino al punto di agganciare migliaia di amici su Facebook e conquistare spesso le prime pagine dei quotidiani.
Il 13 febbraio, il giornalista Massimo Milone, da sempre a lui vicino e per molti anni al vertice del Tg3 campano, è stato nominato - a sorpresa - direttore di Rai Vaticano. Ma oltre a mostrarsi abilissimo nel piazzare bene gli uomini di fiducia (gli era già riuscito con lo spagnolo Joaquin Navarro Valls alla Sala stampa del Vaticano, con il quasi conterraneo irpino Mario Agnes, imposto alla direzione dell’Osservatore Romano, nonché con un altro Agnes, il fratello Biagio, alla direzione generale Rai ), il cardinale “comunicatore”, abile anche nell’organizzazione di sacri spettacoli, è riuscito a conquistarsi l’affetto dei molti napoletani che ne hanno apprezzato i modi schietti e il saluto tenero («'A madonna t’accumpagna…»), l’esplicito impegno anti-camorra, il rapporto a muso duro con il sindaco Luigi De Magistris, le iniziative pastorali (Sepe mette da anni all’asta i regali ricevuti), le aperture ai gay nonché l’irrefrenabile tifo per la squadra di calcio.
UN PUGNO NELLO STOMACO. Ora, però, una lettera lo accusa. E il clima si è fatto greve. Che cosa, in concreto, viene contestato a Sepe? Di privilegiare, per esempio, «l’affermazione della sua personalità rispetto alle opere sociali». Di «favorire discriminazioni nel clero», nel senso - precisa l’anonimo - «che nella diocesi va avanti chi dà e non chi vale».
E ancora, come un pugno allo stomaco: «Che fine fanno i soldi versati con l’otto per mille?». Dubbi vengono espressi anche sul «fondo di solidarietà fra le parrocchie che dovrebbero contribuire a costituirlo». E non mancano contestazioni alle persone «di cui il cardinale Sepe si è circondato». Più avanti, il corvo contesta a sua eminenza di aver brigato contro il vescovo uscente di Pompei, monsignor Carlo Liberati. E perfino di aver «promosso o spostato in parrocchie comode e gradite» i parroci più abili nel raccogliere fondi e oro tra i fedeli.
La lettera sarebbe stata scritta prima che Ratzinger annunciasse le dimissioni
Fioccano gli esempi. E la citazione di specifici episodi. Insomma, nel j’accuse c’è un po’ di tutto. Ma tutto è da documentare. In molti sono sotto choc, fuori e dentro la curia.
Non c’è traccia, finora, di pubblica solidarietà per il prelato che nel 2000 ha gestito il Giubileo per volontà del papa ed è stato in grado, da prefetto delle missioni, di distogliere consistenti depositi dallo Ior, la Banca vaticana, per reinvestirli in soluzioni alternative. Ci si chiede, smarriti: «Perché questo fango? E perché proprio adesso?».
La lettera è stata scritta «prima che papa Ratzinger annunciasse le dimissioni», puntualizzano con imbarazzo nell’entourage della curia, che è appena rimasto orfano di don Gennaro Matino, apprezzato teologo e neo-responsabile per la comunicazione, che si è dimesso dopo che il cardinale ha partecipato il primo febbraio a una visita elettorale insieme con il candidato a premier Mario Monti: «Che amarezza vedere una Chiesa che si fa interprete dei poteri forti», ha detto don Gennaro andando via senza clamori.
VIGILIA DI TENSIONE. E adesso, la missiva. Con cui Matino non c’entra nulla, ma che piomba come un macigno in un’atmosfera già tesa e alla vigilia di un Conclave delicatissimo, in cui molti - a cominciare da vaticanisti come Filippo Anastasi, autore del libro In viaggio con un santo dedicato a papa Wojtyła - ritengono il sanguigno cardinale di Napoli un possibile outsider (fra i candidati italiani) o comunque «un sicuro protagonista delle trattative», in grado di «condizionare il voto dei cardinali africani, asiatici, latino-americani con cui ha mantenuto saldi legami di amicizia fin dai tempi (non remoti) di Propaganda fide».
A sostenere con forza un ruolo strategico per Crescenzio Sepe c’è anche colei che Giulio Andreotti ha sempre chiamato con ammirazione “la generalessa” e che Henrick Ree Iversen, ex ambasciatore danese in Italia (che ben la conosce) ha definito «la donna oggi più potente nella Chiesa cattolica»: suor Tekla Famiglietti, storica badessa delle figlie di santa Brigida (le brigidine), nata a Sturno in provincia di Avellino, dal 1981 alla guida delle 600 religiose che operano nel mondo suddivise in 44 comunità, è ascoltatissima dai papi e famosa per la straordinaria abilità con cui procaccia donazioni e fondi per alimentare le casse del Vaticano.
SEPE E LA BADESSA. L’amicizia fra Sepe e la badessa è di antica data: c’è chi ricorda un'imbarazzante foto, che risale al marzo del 2003, in cui i due sono ritratti a Cuba mentre abbracciano Fidel Castro proprio nei giorni in cui 75 attivisti, fra cui molti cattolici, erano finiti nelle prigioni del lider maximo.
Fu una brutta gaffe, come quella testimoniata da un’altra foto in cui, durante un viaggio pastorale in Sudan, Sepe si è ritrovato - con buona pace degli animalisti - accanto a un dromedario appena sgozzato per un rito sacrificale. Ma il cardinale sa incassare i colpi. Ha imparato a difendersi: «La Chiesa? A volte si ha l’impressione di vivere in una fossa dei leoni che si sbranano tra loro piuttosto che nella casa di comunione con Cristo».
E ai nemici ha fatto sapere: «Il carrierismo avvelena le anime. Perdono dal profondo del cuore chi mi ha colpito da dentro e da fuori la Chiesa».
Non c’è traccia, finora, di pubblica solidarietà per il prelato che nel 2000 ha gestito il Giubileo per volontà del papa ed è stato in grado, da prefetto delle missioni, di distogliere consistenti depositi dallo Ior, la Banca vaticana, per reinvestirli in soluzioni alternative. Ci si chiede, smarriti: «Perché questo fango? E perché proprio adesso?».
La lettera è stata scritta «prima che papa Ratzinger annunciasse le dimissioni», puntualizzano con imbarazzo nell’entourage della curia, che è appena rimasto orfano di don Gennaro Matino, apprezzato teologo e neo-responsabile per la comunicazione, che si è dimesso dopo che il cardinale ha partecipato il primo febbraio a una visita elettorale insieme con il candidato a premier Mario Monti: «Che amarezza vedere una Chiesa che si fa interprete dei poteri forti», ha detto don Gennaro andando via senza clamori.
VIGILIA DI TENSIONE. E adesso, la missiva. Con cui Matino non c’entra nulla, ma che piomba come un macigno in un’atmosfera già tesa e alla vigilia di un Conclave delicatissimo, in cui molti - a cominciare da vaticanisti come Filippo Anastasi, autore del libro In viaggio con un santo dedicato a papa Wojtyła - ritengono il sanguigno cardinale di Napoli un possibile outsider (fra i candidati italiani) o comunque «un sicuro protagonista delle trattative», in grado di «condizionare il voto dei cardinali africani, asiatici, latino-americani con cui ha mantenuto saldi legami di amicizia fin dai tempi (non remoti) di Propaganda fide».
A sostenere con forza un ruolo strategico per Crescenzio Sepe c’è anche colei che Giulio Andreotti ha sempre chiamato con ammirazione “la generalessa” e che Henrick Ree Iversen, ex ambasciatore danese in Italia (che ben la conosce) ha definito «la donna oggi più potente nella Chiesa cattolica»: suor Tekla Famiglietti, storica badessa delle figlie di santa Brigida (le brigidine), nata a Sturno in provincia di Avellino, dal 1981 alla guida delle 600 religiose che operano nel mondo suddivise in 44 comunità, è ascoltatissima dai papi e famosa per la straordinaria abilità con cui procaccia donazioni e fondi per alimentare le casse del Vaticano.
SEPE E LA BADESSA. L’amicizia fra Sepe e la badessa è di antica data: c’è chi ricorda un'imbarazzante foto, che risale al marzo del 2003, in cui i due sono ritratti a Cuba mentre abbracciano Fidel Castro proprio nei giorni in cui 75 attivisti, fra cui molti cattolici, erano finiti nelle prigioni del lider maximo.
Fu una brutta gaffe, come quella testimoniata da un’altra foto in cui, durante un viaggio pastorale in Sudan, Sepe si è ritrovato - con buona pace degli animalisti - accanto a un dromedario appena sgozzato per un rito sacrificale. Ma il cardinale sa incassare i colpi. Ha imparato a difendersi: «La Chiesa? A volte si ha l’impressione di vivere in una fossa dei leoni che si sbranano tra loro piuttosto che nella casa di comunione con Cristo».
E ai nemici ha fatto sapere: «Il carrierismo avvelena le anime. Perdono dal profondo del cuore chi mi ha colpito da dentro e da fuori la Chiesa».
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.