Scrittura, Tradizione, Chiesa, Magistero
A
seguito delle ultime ambigue e, pertanto, pericolose affermazioni di
Bergoglio (papa Francesco) molti cattolici si sono sentiti “spiazzati” o
perlomeno confusi, sentendo per la prima volta concetti ed idee
totalmente estranee al depositum fidei cattolico di sempre. Siamo arrivati ad un punto tale che un cattolico deve comprare Repubblica per
conoscere le direttive morali e dottrinali di un pontefice, quotidiano
da sempre palesemente laicista, e leggere così le ultime novità e
lettere inviate ad un improbabile ricercatore della Verità, Eugenio
Scalfari.
Sono
vicende totalmente inedite nella storia della Chiesa, “rivoluzionarie”
nel senso più giacobino e spregiativo del termine. Questo insieme di
lettere, scritti, affermazioni, interventi che Francesco fa
pubblicamente costituisce per molti una parte integrante del Magistero
vivente della Chiesa. Ma è realmente così?
Ma soprattutto: è normale che
ad ogni affermazione di Bergoglio ci devono essere da un lato coloro
che interpretano le sue parole in maniera progressista, modernista e
quindi eretica (cfr. encicliche Quanta cura, Pascendi, Mortalium
Animos), dall’altra parte ci sono coloro che tentano (spesso goffamente)
una “ermeneutica tradizionale”? Io in primis ho cercato di salvare il
salvabile, con un articolo
di qualche mese fa che tentava di mettere i paletti alle affermazioni
ambigue del Pontefice fatte di ritorno da Rio. L’ambiguità e
l’imprudenza: questi sono i difetti principali che, a detta di molti,
fuoriescono dal pontificato di Bergoglio.
All’origine
di questa grande confusione ci sono domande di importanza capitale:
cosa è il Magistero della Chiesa? In che rapporto sta con la Tradizione?
Magistero e Tradizione sono la stessa cosa?
Se
queste domande vengono aggirate o peggio sottaciute, scaturiscono
equivoci di dimensioni immani, con conseguenze ovviamente nefaste e
distruttive per il popolo che Dio ha redento. Su Radio Spada già altri
carissimi amici hanno trattato dell’argomento [1]; mi permetto di
aggiungere un mio personale studio per approfondire ulteriormente e
contribuire magari a fare ulteriore chiarezza in qualche animo ancora
confuso.
La dottrina dei luoghi teologici
Il Concilio di Trento contribuì in maniera netta e
decisa a “ricostruire” i metodi teologici della Chiesa dopo le gravi
ferite subite dal protestantesimo che come un morbo stava diffondendosi
rapidamente in tutta Europa. Il metodo più sicuro risultò quello dei
luoghi teologici e tra i principali esponenti spiccò la figura di
Melchor Cano, domenicano e teologo, che nella sua opera così spiega:
“I
luoghi propri della teologia, i domicili di tutti gli argomenti
teologici, da cui i teologi possono prendere tutte le argomentazioni sia
per provare che per rifiutare, sono dieci […]. Il primo luogo è
l’autorità della Sacra Scrittura che contiene i libri canonici. Il
secondo è l’autorità delle Tradizioni di Cristo e degli Apostoli, le
quali, anche se non furono scritte, sono arrivate fino a noi come da
udito a udito, in modo che con tutta la verità si possono chiamare come
oracoli di viva voce. Il terzo è l’autorità della Chiesa cattolica. Il
quarto è l’autorità dei Concili, in modo speciale i Concili Generali,
nei quali risiede l’autorità della Chiesa cattolica. Il quinto è
l’autorità della Chiesa Romana, che per privilegio divino è e si chiama
Apostolica. Il sesto è l’autorità dei Santi Padri. Il settimo è
l’autorità dei teologi scolastici, ai quali possiamo aggiungere i
canonisti (periti in diritto pontificio), tanto che la dottrina di
questo diritto la si considera quasi come altra parte della teologia
scolastica. L’ottavo è la Ragione Naturale, molto conosciuta in tutte le
scienze che si studiano attraverso la luce naturale. Il nono è
l’autorità dei Filosofi che seguono come guida la natura. Tra questi
senza dubbio si trovano i Giuristi (giureconsulti dell’autorità civile),
i quali professano anche la vera Filosofia (come dice il
Giureconsulto). Il decimo e ultimo è l’autorità della Storia umana,
tanto quella scritta dagli autori degni di credito, come quella
trasmessa di generazione in generazione, non superstiziosamente o come
racconti da vecchiette, ma in modo serio e coerente” [2].
Il
metodo dei luoghi teologici, che ha caratterizzato per buona parte la
teologia tridentina e post-tridentina, è stato poi abbandonato con
l’avvento del Concilio Vaticano II e del post-concilio e ripresa in
parte dalla scuola romana, di cui mons. Gherardini è uno dei più
illustri rappresentanti. Eppure questo metodo, ancora oggi, risulterebbe
assai utile per dissipare e comprendere le gravi ambiguità che
caratterizzano questa nostra storia della Chiesa contemporanea.
L’ambiguità conciliare
Prima
di capire cosa il teologo salamantino intendesse insegnare attraverso
l’uso sistematico dei luoghi teologici, vediamo di analizzare l’equivoco
scaturito dai documenti dogmatici del Concilio Vaticano II e perché
questi, invero, non siano né eterodossi né ortodossi (ossia non
affermano con fermezza una determinata verità o con pertinacia un
determinato errore) e risultano pertanto ambigui.
All’origine
di questa ambiguità c’è il concetto di Magistero. C’è da precisare che
questo termine teologico fu coniato nel XIX secolo: ecco perché Melchor
Cano non lo inseriva ancora nel suo elenco. Vedremo in realtà che il
Magistero non è neanche propriamente un luogo teologico, ma una potestas del soggetto teologico Chiesa.
Il 10 febbraio 1942, l’allora mons. Pietro Parente faceva notare su L’Osservatore Romano che molti esponenti della nouvelle theologie affermano gravemente “la
svalutazione delle prove positive della S. Scrittura e della Tradizione
per le tesi teologiche, come anche la strana identificazione della
Tradizione (fonte di rivelazione) con il Magistero vivo della Chiesa
(custode ed interprete della Divina Parola)” [3]. Queste correnti
teologiche eretiche che oggi, purtroppo, hanno ancora grande adito nella
Chiesa, per distruggere la Tradizione vollero strumentalizzare il
concetto di Magistero, concetto che paradossalmente i teologi
conservatori e addirittura Papa Pio XII vollero introdurre proprio per
combattere e contrastare l’avanzata del liberalismo all’interno della
Chiesa Cattolica [4]. In che modo strumentalizzare il concetto di
Magistero? Semplicemente sovrapponendolo con quello di Tradizione,
proprio come temeva mons. Parente. Se Tradizione e Magistero, infatti,
sono la stessa cosa, allora la Tradizione non è più di diritto divino,
eterno ed immutabile, depositum fidei, ma cambia infallibilmente a
seconda di ciò che insegna il papa regnante. Così, se 1000 anni fa un
papa insegnava che gli ebrei sono perfidi deicidi e che la missione
dell’evangelizzazione tocca anche loro, un altro papa 1000 anni dopo se
dice che gli ebrei possono salvarsi anche senza Cristo è ugualmente
vero, perché con il Magistero di tale papa muta anche la Tradizione.
La costituzione dogmatica Dei Verbum del
Concilio Vaticano II sembrò essere la testa d’ariete dei teologi
modernisti, di stampo liberal-massonico, nella loro lotta al
cattolicesimo di sempre. Infatti il rischio paventato da mons. Parente
sembrò qui prendere la forma definitiva. Leggiamo insieme:
“La
sacra tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro
deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa; nell’adesione ad esso
tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera assiduamente
nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella
frazione del pane e nelle orazioni (cfr. At 2,42 gr.), in modo che, nel
ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si stabilisca tra
pastori e fedeli una singolare unità di spirito. L’ufficio poi
d’interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa, è
affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è
esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è
superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è
stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello
Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente
espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge
tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio. È chiaro dunque
che la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il magistero della Chiesa,
per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e
congiunti, che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e
tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l’azione di un solo
Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime” [5].
Come
è evidente, in questo passo non c’è nulla di eretico, ma nemmeno nulla
di perfettamente e chiaramente ortodosso. E’, appunto, un passo ambiguo,
che può essere interpretato in un modo od in un altro. Quando leggiamo,
infatti, che “è chiaro dunque che la sacra Tradizione, la
sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per sapientissima
disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti, che
nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme,
ciascuna a modo proprio, sotto l’azione di un solo Spirito Santo,
contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime”, sembra dar
ragione ai teologi modernisti, i quali appunto sostengono la coincidenza
di Tradizione e Magistero. Quando invece leggiamo che il “magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve,
insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino
mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta,
santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo
unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come
rivelato da Dio”, sembra dar ragione ai teologi ortodossi. Da qui
nasce l’ambiguità: ognuna delle due “fazioni” opposte ma interne alla
Chiesa può sostenere la propria tesi sulle parole di una medesima
costituzione dogmatica del Concilio, come abbiamo visto, ma nessuna
delle due può chiaramente e definitivamente confermare la propria tesi
sulla base di quanto espresso in suddetta costituzione.
Cosa è la Scrittura? In che relazione è con la Tradizione?
E’
lecito domandarsi a questo punto sui concetti autentici di Tradizione e
Magistero. Da qui ci riagganciamo all’elenco dei luoghi teologici di
Melchor Cano. L’elenco che egli pone è in ordine di importanza: dal
Rivelatore, che è Gesù Cristo, ossia Dio, scaturisce la Rivelazione,
ossia quell’insieme di insegnamenti morali, dottrinali e giuridici
trasmessi al collegio apostolico durante il ministero terreno di Cristo e
chiariti in maniera definitiva durante i quaranta giorni successivi
alla Risurrezione, di cui parla l’evangelista Luca: “Nel mio primo
libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e
insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni
agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in
cielo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte
prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio.
Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da
Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre
«quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con
acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti
giorni»” (Atti I,1-5).
Il
collegio apostolico ricevette quindi il compito di trasmettere la
Rivelazione – da qui il termine Tradizione, dal verbo latino tràdere,
cioé consegnare, trasmettere – (primo luogo teologico) alla comunità
dei credenti, ossia la Chiesa (soggetto del luogo teologico). Questa
Tradizione, similmente a quanto accadde nell’Antico Testamento, fu
trasmessa oralmente dagli Apostoli alle prime comunità discenti, fino
alla gloriosa testimonianza del martirio. Ciò che gli Apostoli, i
diretti destinatari della Rivelazione divina, hanno messo per iscritto è
entrato a far parte del canone biblico, ossia della Scrittura, che è
totalmente divina ed inerrante (vedi qui):
da qui furono scritte in ordine cronologico le lettere di San Paolo, le
varie lettere cattoliche, infine i quattro evangeli e gli atti
apostolici, l’apocalisse giovannea. La Scrittura neotestamentaria
ricalca dunque pienamente la Rivelazione di Cristo Dio ed anzi, in
continuità con quella veterotestamentaria, la conclude.
Il soggetto teologico della Tradizione: la Chiesa.
Affianco
al luogo teologico della Tradizione (“ciò che è trasmesso dalla
Rivelazione”) c’è il suo soggetto [6], ossia la comunità dei credenti,
la Chiesa. Essa, come sottolinea l’Apostolo [7], è Corpo Mistico di
Cristo: Corpo, perché è un organismo composto di più membri, ognuno con
suoi diritti e doveri, con uno stesso capo che è il Pontefice; Mistico,
perché misteriosamente unita al capo invisibile della Chiesa, ossia Gesù
Cristo.
Roberto De Mattei nel suo poscritto all’opera Il Concilio Vaticano II – una storia mai scritta commenta: “La
Chiesa non è una società egualitaria, in cui tutti i membri hanno
uguali doveri e identici diritti. La sua costituzione è gerarchica
perché il mandato di governarla è stato affidato da Cristo a Pietro e
agli Apostoli, che l’hanno trasmesso senza interruzione fino ai loro
successori. Essa si distingue in Chiesa docente e Chiesa discente, la
prima costituita dai Pastori e dal loro capo, che è il Papa; la seconda
dai fedeli sottomessi ai legittimi Pastori” [8].
Dalla
Chiesa, dunque, soggetto teologico, scaturiscono vari luoghi teologici:
in primis la Scrittura e la Tradizione stesse, in quanto il collegio
apostolico costituì la prima Chiesa docente, in comunione con Pietro
papa, poi l’autorità della Chiesa, l’autorità dei Concili Ecumenici,
l’autorità della Chiesa Romana (ossia la sede papale, che è detta
apostolica perché i pontefici sono direttamente discendenti del primato
petrino).
L’autorità
della Chiesa, che si esprime nei suoi poteri, riceve ragion d’essere
dalla successione apostolica. Una testimonianza importantissima è quella
di Sant’Ireneo, che a proposito di San Policarpo diceva che “non
solo fu discepolo degli Apostoli e amico intimo di molti che avevano
visto il Signore, ma fu dagli Apostoli stessi costituito vescovo della
Chiesa di Smirne in Asia”, ed aggiunge: “Ora egli insegnò sempre
ciò che aveva appreso dagli Apostoli e questa è ancora la dottrina
trasmessa dalla Chiesa ed è l’unica vera” [9]. In ragione dunque di
questa diretta successione, che ancora non si estingue perché custodita
dallo Spirito, la Chiesa ha autorità che esercita principalmente
attraverso due poteri, tra essi autonomi: la potestas ordinis e la potestas jurisdictionis.
La potestà d’ordine è il potere di distribuire la grazia divina, di
amministrare i sacramenti e l’esercizio del culto ufficiale; la potestà
di giurisdizione, esclusiva del papa e dei vescovi legittimi, è il
potere di governare l’istituto ecclesiastico e i fedeli. Le due potestà
sono indipendenti, ne è esempio il fatto che un laico può essere eletto
Papa ed assumere potestà di giurisdizione nel momento stesso in cui
viene canonicamente eletto, mentre deve aspettare la consacrazione a
vescovo per ottenere anche la potestà d’ordine.
Il Magistero e la potestà di giurisdizione.
Il Magistero non appartiene ai luoghi teologici perché esso non lo è, ma appartiene alla potestas jurisdictionis
di cui abbiamo già parlato, è dunque una “potestà” del soggetto Chiesa,
in esclusiva della Chiesa docente (vescovi e papa legittimi).
Il
Magistero è, dunque, parte della potestà di giurisdizione che permette
alla Chiesa docente di insegnare a tutte le genti la dottrina evangelica
secondo il mandato di Cristo, non di modificarla a piacimento (errore
che scaturisce, come abbiamo visto, dalla coincidenza del Magistero con
la Tradizione), ma di custodirla intatta fino alla fine dei tempi, fino a
quando cioè il Padrone di casa tornerà come un ladro, inaspettatamente.
Compito del Magistero è quello, semmai, di approfondire il depositum fidei in
relazione ai tempi che viviamo, ad esempio riguardo all’inquinamento,
alla clonazione, all’eutanasia o ad altri temi etici e bioetici che non
potevano essere affrontati per forza di cose in epoca apostolica. La
Chiesa ha dunque il pieno possesso della Verità, diritto divino ed
infallibile, che deve trasmettere a tutte le nazioni del mondo per
condurle al porto della salvezza eterna, il Paradiso.
Il
Magistero è in piena dipendenza, ma non coincide, con la Tradizione
immutabile. Se un papa od un vescovo osa contraddire quanto la
Tradizione, ossia Dio, insegna, va contro il proprio stesso mandato.
Perciò, cari cattolici che rimanete confusi dalle parole ambigue di
certi pontefici, non vi angustiate se sentite concetti “nuovi” sulla
bocca di certi personaggi. Tutto ciò che è innovativo non appartiene a
Cristo, perché Cristo è eternamente nuovo, ma non si rinnova. Se
arriviamo ad un punto tale che l’occupante della Sede contraddice Cristo
(come spesso sembra accadere), dobbiamo, tra Cristo e il Papa,
scegliere Cristo.
Gaetano Masciullo, vedi qui altri articoli e studi.
[1] Vedi articoli qui.
[2] Melchor Cano, De locis theologicis, Edizione a cura di Juan Belda Plans, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 2006, pagg. 9-10
[3] Pietro Parente, Nuove tendenze teologiche, in “L’Osservatore Romano”, 9-10 febbraio 1942
[4] cfr. Pio XII, Humani generis
[5] Concilio Vaticano II, Cost. dogmatica Dei Verbum, n. 10
[6] Cfr. E. Zoffoli, Dizionario del Cristianesimo, Sinopsis, Roma, 1992, v. Tradizione; C. Di Pietro, su RadioSpada.org, “CONTRO I FALSI PROFETI: “IL CIELO E LA TERRA PASSERANNO, MA LE MIE PAROLE NON PASSERANNO”
[7] cfr. Romani XII, 4-6; 1Corinzi XII, 12; Efesini IV, 4
[8] Roberto De Mattei, Apologia della Tradizione, Ed. Lindau, pagg. 104-105
[9] Sant’Ireneo, Contra Haereses, ed. Cantagalli, I, pagg. 235-236
[2] Melchor Cano, De locis theologicis, Edizione a cura di Juan Belda Plans, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 2006, pagg. 9-10
[3] Pietro Parente, Nuove tendenze teologiche, in “L’Osservatore Romano”, 9-10 febbraio 1942
[4] cfr. Pio XII, Humani generis
[5] Concilio Vaticano II, Cost. dogmatica Dei Verbum, n. 10
[6] Cfr. E. Zoffoli, Dizionario del Cristianesimo, Sinopsis, Roma, 1992, v. Tradizione; C. Di Pietro, su RadioSpada.org, “CONTRO I FALSI PROFETI: “IL CIELO E LA TERRA PASSERANNO, MA LE MIE PAROLE NON PASSERANNO”
[7] cfr. Romani XII, 4-6; 1Corinzi XII, 12; Efesini IV, 4
[8] Roberto De Mattei, Apologia della Tradizione, Ed. Lindau, pagg. 104-105
[9] Sant’Ireneo, Contra Haereses, ed. Cantagalli, I, pagg. 235-236
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