Quando diciamo che i ruoli della liturgia equivalgono a tipi, non intendiamo dire che questi tipi siano semplicemente delle generalizzazioni degli individui (cf. la scuola empirista). Se così fosse, avrebbero ragione i moderni liturgisti ad accusare il rito tradizionale di essere frustrante per l’autonomia individuale.
No, quei tipi sono piuttosto proiezioni
dell’essenza umana, rappresentano essenzialità della religiosità umana e
cristiana. Qui c’è la pienezza dell’universalismo cattolico. E’ un
bruciante affare di metafisica. Sì, serve una testarda metafisica per
capire la ritualità nelle sue forme tradizionali.
Ovviamente, finché i teologici rifiutano di venir meno ai loro personali principi ecclesiologici (così asserisce di se stesso l’Augé),
e finché detti principi saranno piuttosto illuministici ed esistenziali
che metafisici, gli rimarrà impossibile capire la liturgia
tradizionale: “Ecclesiologia povera, quella del tradizionalismo”. Sarà
il tutto che potranno bofonchiare. Che è come accusare Dio di avere una
corporeità limitata – accusa vera ma inattuale. Bontà loro.
Poi, quando la metafisica sarà risorta
dalle ceneri del post-moderno, si ricomincerà a parlare sul serio di
queste cose. Troveremo finalmente qualche interlocutore all’altezza
anche tra le frange della modernità cristiana. Ovviamente ci vorranno
decenni. Ma l’eterno della liturgia non ha fretta, quando ci decideremo a
interpellarlo ancora, lui sarà lì ad aspettarci. Col sorriso. E – lo
ben spero – con un sigaro acceso.
Pubblicato il 20 ottobre 2013
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