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mercoledì 30 ottobre 2013

Un vescovo da museo

La nuova strigliata di Bergoglio contro la “fede da museo”

Dal pulpito improvvisato sul sagrato di San Pietro, domenica il Papa gesuita si è scagliato contro chi pretende di archiviare il depositum fidei in una teca da museo, a prendere polvere. La fede, dice Francesco, non si può imbalsamare. Un messaggio indirizzato ancora una volta a quei “cristiani ideologici”, affetti da una malattia grave che il Pontefice aveva già provveduto a diagnosticare un paio di settimane fa. Allora, nell’alba dell’albergo di Santa Marta, aveva tenuto un’omelia in cui si spiegava che “quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede e non è più discepolo di Gesù”.
L’ideologia come male supremo, dunque, come “malattia non nuova che spaventa, allontana la gente e allontana la chiesa dalla gente”. Il cristiano preda dell’ideologia diventa rigido, moralista, eticista, ma senza bontà. E se diventa così, concludeva Francesco, “è perché non prega”. E se non c’è la preghiera, aggiungeva Jorge Mario Bergoglio, “tu sempre chiudi la porta”. Atteggiamento opposto a quello desiderato dal Papa preso quasi alla fine del mondo per la sua chiesa, che lui preferisce “incidentata” ma viva, anziché chiusa in se stessa e triste. Il modello da imitare, l’esempio da seguire è san Paolo, l’apostolo delle genti. Lui, ormai al tramonto della vita e intento a fare un bilancio della sua esistenza terrena post folgorazione sulla via di Damasco, dice di aver “conservato la fede”.
Un degno epitaffio, che non a caso anche Papa Montini ripeteva il 29 giugno 1978 nella Basilica Vaticana, sentendosi “a questa soglia estrema confortato e sorretto dalla coscienza” di aver instancabilmente servito la chiesa. Francesco spiega nell’omelia pronunciata durante la messa per la Giornata della famiglia (uno degli ultimi eventi incardinati nell’Anno della Fede, che si concluderà il prossimo 24 novembre) che c’è modo e modo di conservare la fede, e che san Paolo di certo non l’ha “messa in cassaforte, non l’ha nascosta sottoterra, come quel servo un po’ pigro”. Il “fidem servavi” di Paolo giunge dopo aver combattuto la buona battaglia e aver ormai terminato la corsa. “Ha conservato la fede perché non si è limitato a difenderla, ma l’ha annunciata, irradiata, l’ha portata lontano”. Lui “si è opposto decisamente a quanti volevano conservare, imbalsamare il messaggio di Cristo nei confini della Palestina”. E per questo, anziché “far passare la fede per un alambicco, facendola diventare ideologia”, ha fatto scelte coraggiose, “è andato in territori ostili, si è lasciato provocare dai lontani, da culture diverse, ha parlato francamente senza paura”.
San Paolo, ha aggiunto il Papa, “ha conservato la fede perché, come l’aveva ricevuta, l’ha donata, spingendosi nelle periferie, senza arroccarsi su posizioni difensive”. Un messaggio destinato anche a quei settori che, come Bergoglio sottolineava nella lunga intervista concessa alla Civiltà Cattolica, ancora oggi non accettano “l’irreversibilità della lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi”. Una lettura figlia del Concilio che vede nella liturgia uno dei suoi punti centrali, uno dei suoi “enormi frutti”. Il Papa metteva in guardia, allora, dal “rischio di ideologizzare il Vetus ordo”, la vecchia messa in latino. Si diceva “preoccupato per la sua strumentalizzazione”, Francesco. Il pericolo, aveva aggiunto il Pontefice argentino, è quello di farsi sopraffare dalla superbia, di esserne “sporcati”. Questo atteggiamento, a lungo andare, porta a “perdere la fede e l’umiltà”.

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