ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 23 novembre 2013

Clima sudamericano?



Dialogo tra un maestro e un allievo, su una rivoluzione che non c’è


Franc
MAESTRO – Finalmente ti incontro! Dopo l’elezione di papa Francesco sei scomparso. Sei turbato, vero?
ALLIEVO – Io turbato? E perché mai?
M. – Finalmente finisce l’era costantiniana e si attua il Concilio!
A. – Ma perché, i predecessori cosa facevano? Non mi pare che non intendessero attuare il Concilio!
M. – Ma ora c’è un clima nuovo.

A. – Maestro, il clima non è un “locus theologicus”. Non è un problema di clima. Il problema è accogliere cattolicamente gli insegnamenti di questo papa, come di ogni papa, insegnamenti “ex professo”, ma anche dati con l’esempio.
Ora la questione  è questa: quelli che la pensano come te, progressisti o tradizionalisti che siano, vedono le discontinuità, le novità – che ci sono sempre state nella storia della Chiesa – senza vedere il nesso che le connette non dico al passato, ma all’eterno. Nesso che non è di opposizione dialettica, ma di esplicitazione multiforme dell’unico Mistero santo. Il punto non è: prima si faceva in questo modo e ora si fa in quest’altro, per via di superamento, quasi hegelianamente, come una sorta di marcia trionfale verso il culmine  della storia umana e cristiana; o – per i tradizionalisti – come una forma di progressiva dissoluzione verso una pseudoapocalissi finale.
Il punto è diverso. Prendiamo la questione della solennità, sia essa liturgica o cerimoniale o nell’abbigliamento. È evidente che ci troviamo di fronte a una polarità insondabile del Mistero: quella fra “theologia gloriae” e “theologia crucis”. Lo splendore dei riti e delle vesti rappresenta la prima; la loro povertà rappresenta la seconda. Lo splendore iconico del Cristo risorto e quello del Crocifisso rappresentano i due volti dell’economia divina della salvezza. Essi coincidono nel loro ultimo referente; non sono comprensibili nell’opposizione reciproca, ma solamente nel loro fondamento trascendente.
M. – Sei brillante come al solito, ma sei anche – perdonami – un po’ relativista. Vuoi forse dire che, essendo  il Mistero ontologicamente ineffabile, esso può essere vissuto secondo modalità equivalenti anche se contraddittorie?
A. – No di certo, perché rimane sempre l’esigenza di distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto. Ma ciò attiene all’essenziale della dottrina, ai confini insuperabili della morale, non agli accidenti storici.
Anche chi coltiva le forme solenni non ammetterà il lusso fine a se stesso; e capirà quando e in che misura dovrà vendere gli ori per soccorrere i poveri: ma non lo farà mai per un furore ideologico o per una parzialità di principio. Si muoverà nel vasto campo della prudenza umana e della sapienza soprannaturale, con grande libertà e avendo di mira la chiamata del Signore nella situazione concreta.
M. – La tua abilità mi sorprende, ma tu eludi il punto. Qui si tratta di smantellare quasi due millenni di Chiesa compromessa col potere.
A. – Ma dove sta scritto?  Prendiamo Ambrogio:  era compromesso col potere solo perché aveva un ruolo ufficiale e adoperava nello svolgimento delle proprie funzioni  le sue indubbie qualità acquisite come funzionario romano? Non mi pare proprio, dato che seppe tenere testa all’imperatore con un vigore che molti “profeti” odierni non so se avrebbero…
M. – Come al solito tu ignori la “chenosi”.
A. – Dipende da come la si intende. Se la si intende come abdicazione di fronte al male, mi pare che siamo in piena gnosi.
Se Dio ha assunto l’umanità, la forma di servo, rimanendo Dio, il Mistero è salvo. Se invece Dio è diventato altro da sé, il cristianesimo  è dissolto. Sai bene come in fondo il problema è cristologico.
M. – Certo che lo è. Ma le cristologie contemporanee non sono ferme ai Padri o ai dottori medievali.
A. – Non si tratta di rimanere fermi. La comprensione della rivelazione divina cresce; ma il termine oggettivo di questa comprensione – i filosofi direbbero il “referente” – non muta.
Non muta da un millennio all’altro, figuriamoci se muta da un papa all’altro.
M. – Ecco qua. Allora abbiamo  scherzato. Ritirati in biblioteca e datti all’ermeneutica della continuità, della riforma e a cose del genere. Io vado a dare una mano a riformare la Chiesa.
A. – Se non hai mai potuto digerire l’insegnamento di Benedetto XVI è perché non ne cogli l’essenziale cattolicità: tenere unita la varietà sincronica e diacronica delle forme di manifestazione della fede nell’unità della sua essenza.
E quanto all’attuale papa, mi sembra che si muova sulla stessa linea di Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio, tanto amato da quello come te e poco capito. Discorso straordinario in cui la fedeltà a Trento e al Vaticano I andava di pari passo con la ricerca di nuove forme di manifestazione, di comunicazione del messaggio cristiano. Proprio quello che Francesco si sforza di mostrarci e ci invita a fare.
M. – Tu vuoi dipingere come conservatore un papa rivoluzionario…
A. – Sono categorie già poco idonee a capire la storia profana, figuriamoci quanto possano servire in teologia e nella vita ecclesiale.
M. – Sei un quietista, vuoi conciliare gli opposti in una tranquilla sintesi.
A. – Al contrario, sono per un’azione tranquilla. La vera azione, anche la più dura, è sempre tranquilla, perché non ha la pretesa di confondere la Città di Dio e la Città dell’uomo.
M. – Eccoti qua. Mi pareva strano che ancora non avessi citato Agostino.
A. –  Sono un tuo degno allievo. Ricordi quella tua lezione sull’influsso agostiniano nella storia della teologia? Ci dicevi che quasi nessuno si è sottratto  ad esso, ci facesti entusiasmare per Agostino e per i Padri.
M. – I Padri, è vero. il Crisostomo e gli altri chissà cosa direbbero oggi…
A. – Già, chissà?
*
Francesco Arzillo, romano, è magistrato amministrativo. È cultore di filosofia e di teologia. Ha pubblicato saggi sul fondamento del diritto e sulla filosofia del senso comune.
di FRANCESCO ARZILLO

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/11/23/dialogo-tra-un-maestro-e-un-allievo-su-una-rivoluzione-che-non-ce/

Ecco perché il documento di Aparecida è il faro di Papa Francesco

23 - 11 - 2013Rossana Miranda
Ecco perché il documento di Aparecida è il faro di Papa Francesco
“Il documento di Aparecida non finisce in se stesso, non chiude, non è l’ultimo passo, perché l’apertura finale è sulla sua missione. Per restare fedeli bisogna uscire. Questo è in fondo Aparecida, che è il cuore della missione”. Con queste parole Jorge Bergoglio definiva il libro che aveva scritto nel 2007 alla fine della Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida, in Brasile. Allora era cardinale e arcivescovo di Buenos Aires ed era stato nominato coordinatore della redazione del testo finale.
Papa Francesco ha sempre con sé una copia del Documento di Aparecida. La consegna come omaggio ai capi di Stato e di governo che incontra in Vaticano e per questo molti vaticanisti considerano il Documento di Aparecida come la sintesi politica del suo Pontificato.
SPERANZA E PREOCCUPAZIONE
In un articolo pubblicato dal quotidiano argentino El Clarin, l’arcivescovo Victor Manuel Fernández ha detto che Bergoglio era arrivato ad Aparecida con speranza e preoccupazione. Molti dicevano che la conferenza poteva rinnovare l’entusiasmo ma soprattutto “il sogno di una Chiesa latinoamericana con un’identità propria e un progetto storico segnato dalla bellezza del Vangelo e l’amore per i poveri. Alcuni dicevano che nella conferenza precedente di Santo Domingo l’ingerenza della Curia vaticana era stata eccessiva e che il fervore latinoamericano si era perso”, ha scritto Fernández.
LE PERIFERIE UMANE
Così, il 15 maggio i vescovi hanno scelto Bergoglio come presidente della Commissione responsabile della redazione del documento finale. Molti si sono sentiti motivati per il suo linguaggio suggestivo, pieno di speranza, sicurezza e voglia di lavorare. Il giorno dopo Bergoglio ha confermato il suo impegno per “evitare una Chiesa autoreferenziale” e lavorare “per una Chiesa che arrivi a tutte le periferie umane”. Era l’inizio di una rivoluzione.
LIBERA PARTECIPAZIONE
Papa Francesco aveva invitato a partecipare liberamente alla redazione del documento finale. Non voleva l’imposizione di un testo base ma la raccolta di pensieri e sentimenti spontanei. “Mi ha detto che bisogna sempre agire così e che in ogni caso lo sforzo per orientare il lavoro verso un risultato concreto doveva farsi alla fine”, ha raccontato Fernández. Lo scambio e le discussioni sono stati proficui, senza tensioni. Un ambiente molto diverso a quello di Santo Domingo.
LA PAZIENZA DI BERGOGLIO
Il documento finale della Conferenza del “continente della speranza”, come è stato definito quello latinoamericano, ha un valore significativo perché riflette l’idea di evangelizzazione che ha Papa Francesco.
La sfida di Bergoglio era dare spazio a tutte le idee e produrre così un testo forte con grandi temi di interesse. Secondo i partecipanti, il lavoro di pazienza di Bergoglio è stato quasi impercettibile ma efficace.
UN MESSAGGIO DI SPERANZA
La parola che più si ripete nel documento è “vita” (più di 600 volte). L’obiettivo del testo era presentare l’attività di evangelizzazione come un’offerta di vita degna e piena per gli individui. E il documento insiste per una missione entusiasta e generosa, che arrivi alle periferie grazie alle verità del Vangelo. Il linguaggio di Bergoglio si avverte in ogni singola parte del testo.
Secondo quanto riferisce Vatican Insider, Bergoglio ha indicato che nel documento “c’è un punto sulla pietà popolare. Sono pagine molto belle. E credo, anzi, sono sicuro – ha detto - che sono state ispirate proprio da quello. Dopo quelle di Evangelii nuntiandi sono le pagine più belle che sono state scritte sulla pietà popolare in un documento della Chiesa. Direi che Aparecida è l’Evangelii nuntiandi dell’America latina”.
IL SANTUARIO DI APARECIDA
Durante la Giornata mondiale della gioventù, Papa Francesco ha deciso di inserire un altro evento nel programma: il pellegrinaggio al santuario di Aparecida. In un’intervista pubblicata su 30Giorni a novembre del 2007, Bergoglio ha detto: “Il luogo, di per sé, esprime tutto il significato. Ogni mattina si celebra la messa con i pellegrini. Celebrare l’eucaristia insieme al popolo è diverso che farlo solo tra i vescovi. Questo dà il vivo sentimento di appartenenza della gente, della Chiesa che cammina come popolo di Dio, di noi vescovi come servi. E dopo, i lavori della Conferenza (di Aparecida nel 2007, ndr) si sono svolti in un ambiente vicino al santuario. Da lì potevamo sentire le preghiere e i canti dei fedeli…”, ha detto Bergoglio.

Con più di 11 milioni di visite ogni anno, Aparecida è uno dei santuari mariani più visitati al mondo. Con numeri che superano quello di Lourdes e Fatima. La storia dice che un gruppo di pescatori abbia chiesto alla Madonna una buona pesca e, tra le reti cariche, sia apparsa l’immagine di una Madonna di colore. Nel 1834 è stata realizzata la prima basilica e nel 1946 l’attuale costruzione di 18mila metri quadri. Ma oggi nel mondo della Chiesa, e nel cuore di Papa Francesco e dei fedeli, Aparecida non è solo un luogo, ma qualcosa di più grande.
http://www.formiche.net/2013/11/23/documento-aparecida-papa-francesco/

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