ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 23 novembre 2013

Historia magistra?

Tra i tanti disagi provocati dal falso ecumenismo (su cui B. Gherardini, Controversie conciliari, Lindau, 2013), c’è senza dubbio l’idea, diffusa un po’ ovunque, che, tutto sommato, le differenze tra le varie confessioni cristiane, ovvero tra l’unica Chiesa fondata da Nostro Signore sul Calvario, e le mille chiesuole della Riforma, siano secondarie e superabili. Dunque in quello slancio d’amore e di benevolenza a cui ci invita il Concilio, appare segno di apertura mentale il far finta che queste differenze non ci siano proprio, o almeno che oggi non sussistano più. Con questa logica al ribasso e in questa ricerca del minimo comune denominatore, anch’esso sempre più basso e lontano da Dio, si sono organizzati in questi ultimi 50 anni, innumerevoli riunioni, conferenze ecumeniche, meeting sincretisti e blasfemi, iniziative “spirituali” o caritative, teologiche e antropocentriche, finalizzate a trovare punti in comune, al di là di quella fede e di quella morale che inesorabilmente divide… Un esempio recente.

Il Corriere della sera del 21 novembre 2013 titolava con gran gioia: “Anglicani, sì alle donne vescovo. E Cameron: Le voglio tra i Lord” (p. 25). Potrebbe sembrare soltanto l’ennesimo giubilo da parte laica, per l’ennesima contraddizione di parte ecclesiastica, ma la faccenda è più grave. E’ vero infatti che laikoni nostrani sanno bene che queste inversioni storiche possono solo produrre, a termine, nient’altro che confusione e incertezza, vie maestre dell’ateismo da loro auspicato. Ma sullo stesso identico tema, perfino il quotidiano della Santa Sede, alcuni mesi fa, era del tutto arrendevole dinanzi alle continue apostasie delle chiese riformate. Rivederlo oggi, alla luce della “storica decisione” del Sinodo anglicano, ci aiuta, in prospettiva, a cogliere i limiti di una mentalità post-conciliare, votata allo sconto, al compromesso, all’indulgenza perpetua (immeritata)…

Sull’Osservatore Romano (10.7.2013, p.6) era intitolato “Una questione che continua a dividere” un articolo anonimo dedicato al “prossimo sinodo della Church of England [la chiesa anglicana]” e alla “proposta sulle donne vescovo”. Proposta che, poi, si è risolta con 378 favorevoli alle donne vescove e 8 contrari. La “divisione” di cui sopra però non è tra i cattolici, che per fedeltà alla Rivelazione sanno bene che le donne per volontà di Dio sono escluse dal ministero e dal conferimento dei sacramenti, e gli eretici anglicani, che lo ignorano. Ma la divisione del titolo fa riferimento all’ennesima frattura all’interno della chiesa fondata da Enrico VIII, tra i più progressisti, che vogliono andare sempre avanti nell’abbandono della Bibbia e di Cristo, e i conservatori (anglicani) che cercano, molto spesso vanamente, di salvare qualche vestigio di cristianesimo e di moralità. “Un impegno a proseguire la discussione, con l’auspicio di approvare in via definitiva una nuova proposta sull’ordinazione delle donne vescovo entro il 2015: è questa la principale novità scaturita dal sinodo generale della Church of England, che si conclude oggi [il 10 luglio 2013] a York”.

Gli elementi maggiormente stupefacenti dell’articolo sono 2. Anzitutto il fatto che la chiesa anglicana – usiamo la minuscola per distinguerla dalla sola Chiesa che ha Cristo come Capo e Istitutore – è considerata, a torto o a ragione non saprei, la più “conservatrice” o almeno “moderata” nell’universo tetro e caotico delle chiese nate dalla Rivoluzione protestante del XVI secolo. E dunque i più conservatori tra i protestanti, e per il fatto stesso i meno lontani dal Cattolicesimo romano, hanno deciso di approvare in via definitiva – indietro, in queste cose, non si torna mai… – una norma del tutto folle, radicalmente antitetica, non solo alla chiarissima volontà di Dio e del Vangelo, ma anche a duemila anni di cristianesimo (non esclusi i 500 anni di scisma anglicano). Cambiare una tradizione così universale, così salutare e così naturale (l’uomo e la donna infatti hanno ruoli diversi nella creazione divina, cf. Mulieris dignitatem n. 10), significa ribaltare completamente ogni tradizione e ogni costume secolare, favorendo uno spirito di ribellismo, di illegalità e anarchia che porterà certamente i più dinamici “fratelli anglicani” a dirsi: se abbiamo tolto, nel 2013 o 2014, perfino l’episcopato maschile, perché non togliere ora qualcos’altro? Perché non sopprimere la necessità del battesimo, o il valore ispirato della Scrittura, visto che molti tra noi già non vi credono più? Insegna la sana antropologia, che minando il valore della tradizione, specie in cose sacre e religiose, si incide fortemente sull’immaginario collettivo, inclinando l’assetto non del passato che come tale non può cambiare, ma del presente e del futuro. Favorendo altri spostamenti e nuove conquiste, che poi si pagano a caro prezzo…

La seconda cosa, ancora più scioccante se si riflette sulla natura eversiva e sovversiva di cambiamenti epocali di questo tipo, è l’ostentata indifferenza dell’Osservatore per una decisione del genere. Sappiamo bene che, dopo il Vaticano II, si è permesso di tutto in tal senso e non mancano affatto fotografie e video – internet per questo verso funge bene da memoria collettiva – di alti e altissimi prelati che pregano, dialogano, conferiscono con diaconesse, pastoresse e vescovessevarie, in perfetta armonia, tolleranza, simpatia evidente. (Si parla perfino di una episcopessa che sarebbe impunemente circolata nelle sacre aule dell’ultimo Sinodo dei Vescovi, con tanto di talare nera e colletto romano, tra lo sconcerto di alcuni, veri Successori degli Apostoli!). Così per l’Osservatore, come se si stesse parlando di fare (o meno) il ponte sullo stretto di Messina, “con una maggioranza di 319 voti contro 84, la riunione dei delegati della comunità anglicana nel Regno Unito ha infatti stabilito che quella dell’ordinazione delle donne vescovo ‘continua a essere una questione urgente’. In sostanza, la nuova proposta sarà esaminata al prossimo sinodo, che si terrà nel novembre 2013, ma come è stato puntualizzato per l’approvazione finale occorrerà attendere il 2015”. Quindi si dà per scontata, con indifferenza o larvata simpatia, la vittoria degli anglicani più progressisti e più eretici, e l’ammissione di una norma che allontanerà ancor di più la comunione anglicana dalla Chiesa cattolica e per il fatto stesso dalla giustizia e dalla verità. E infatti, l’OR di luglio profetizza ciò che è accaduto esattamente il 20 novembre u.s.: gli anglicani avranno le vescovesse, ma parrebbe solo dal 2014. La chiesa anglicana in effetti, dalla tragica separazione da Roma sulla scorta di Enrico VIII, Cramner ed Elisabetta la sanguinaria, ha sempre più aggravato la sua situazione teologica e dottrinale, fino al punto che Papa Leone XIII, nel 1896, ha dichiarato nell’Apostolicae cure, l’invalidità delle ordinazioni sacerdotali anglicane, per difetto e di forma e di intenzione (cf. Denz. 3315-3319). Cioè i sacerdoti anglicani, oltre ad essere eretici e scismatici come ogni anglicano adulto (salvo i dementi), non sono affatto sacerdoti e restano semplici laici: i loro sacramenti rimangono del tutto nulli ed invalidi. Secondo l’OR, che sembra essere indifferente a ciò che scrive, la chiesa anglicana “consente alle donna, fino dal 1992, di diventare sacerdote ma la consacrazione episcopale è stata sempre negata sulla base di motivazioni teologiche. Tuttavia, la pratica dell’ordinazione delle donne vescovo, anche di quelle dichiaratamente omosessuali, già avviene, per esempio, all’interno della comunità episcopaliana (il ramo anglicano negli Stati Uniti); oppure nelle comunità anglicane di Australia, Nuova Zelanda e Canada”. Non si capisce allora a che pro attendere il prossimo Sinodo della chiesa d’Inghilterra, se si tratta di una prassi, quella del conferimento dell’episcopato alle donne, già praticata in comunità importanti dell’anglicanesimo mondiale. Ma trovare una logica tra i figli di Lutero, di Melantone e di Calvino è sempre stato arduo e oggi lo è assai più di ieri: alle eresie dei grandi Fondatori infatti, si sono via via aggiunte vere e proprie svolte storiche, soprattutto in ambito bioetico, andanti sempre nel senso della modernità, del progressismo e del secolarismo. Ma chi vuole piacere al mondo, per il fatto stesso si fa nemico di Dio (cf. 1 Gv 3).

Il quotidiano vaticano parla dell’“arcivescovo anglicano” Welby, omettendo che trattasi di arcivescovo per modo di dire e non davanti a Dio, riportando, senza alcun commento, le sue parole al Sinodo anglicano. Egli assicura del suo “impegno a ordinare le donne vescovo esattamente sulla base di come avviene già per gli uomini”. “Si tratta di andare avanti ancora un po’ – ha proseguito Welby – e di lavorare sulla proposta, considerando che vi è stato un cambiamento di umore negli ultimi sei mesi”. La fede legata agli “umori”… Tra l’altro regolarmente creati ad arte dalla stampa laica e massonica che vuole a tutti i costi il sacerdozio femminile. Da un lato gli atei anti-cristiani vorrebbero abolire il sacerdozio visto come una ingiusta discrimanzione del laicato; ma dall’altro vorrebbero introdurre nella Chiesa cattolica, che odiano come la peste, il sacerdozio femminile: incoerenza? oppure sanno bene che introdotta la donna sull’altare finirebbe per crollare anche l’altare? Come quelle lobby gay che odiano il matrimonio cattolico, ma al contempo lo chiedono per gli omosessuali. Incoerenti, o coerenti con la loro volontà di distruggere la famiglia come Dio l’ha fatta?

In realtà, sia Paolo VI (con due lettere all’arcivescovo di Canterbury nel 1975 e 1976) che Giovanni Paolo II (Ordinatio sacerdotalis, 1994), avevano messo in guardia le varie comunità della Riforma dal compiere gesti così arbitrari e antitetici alla volontà di Dio, il quale non si pente di ciò che ha stabilito, e le cui promesse e i cui doni (come il sacerdozio maschile e il silenzio delle donne in assemblea, cf. 1 Cor 14,34-35) sono irrevocabili. 
di Enrico Maria Romano

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