La conversione del Papa
Un’esortazione scritta a due mani e in castigliano. La chiave ermeneutica sta ad Aparecida (e nelle note a piè pagina)
Il programma del Papa gesuita è ambizioso: dalla conversione del papato al rafforzamento degli episcopati locali. Non un cambiamento di facciata, ma qualcosa di più profondo, scrive Francesco: le conferenze episcopali dovranno essere concepite come soggetti di attribuzioni concrete, “includendo anche qualche autentica autorità dottrinale”. Bando al centralismo che, “anziché aiutare, complica la vita della chiesa e la sua dinamica missionaria”. Ecco perché, “è necessaria una salutare decentralizzazione”. Sinodalità e collegialità, obiettivi che Francesco chiede di realizzare prendendo spunto dai “fratelli ortodossi”. Così, se “il grigio pragmatismo della vita quotidiana della chiesa” è “la più grande minaccia” di oggi, Francesco esorta a non lasciarsi prendere da un “pessimismo sterile”. Mette in guardia sui pericoli della mondanità spirituale finalizzata a esaltare “la gloria umana”, torna alla carica contro gli imbalsamatori che “si sentono superiori agli altri perché irremovibilmente fedeli a un certo stile cattolico proprio del passato” che “invece di evangelizzare, classificano gli altri”. Cita i farisei, “vanagloriosi che cercavano solo gloria e benessere”. Una mondanità spirituale che si alimenta in due modi, “il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo dove interessa unicamente una determinata esperienza” e “il neopelagianesimo autoreferenziale di coloro che fanno affidamento unicamente sulle proprie forze”. Fornisce un manuale ai preti su come si fa un’omelia, “che deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione”. Un predicatore che non si prepara bene a questo “importante ministero”, aggiunge Francesco, “è disonesto e irresponsabile”. La buona omelia “deve contenere un’idea, un sentimento e un’immagine”.
Torna poi a parlare di pastorale sacramentale, di battesimo ed eucaristia, di matrimonio come “contributo indispensabile alla società”. Nota che “l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che snatura i vincoli familiari”; ribadisce che la “secolarizzazione tende a ridurre la fede e la chiesa all’ambito privato e intimo” e che, “negando ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale”. Ad aumentare, dice il Papa, è “il relativismo, che dà luogo a un disorientamento generalizzato”. Ma nella gioia del Vangelo da annunciare ci sono anche alcuni punti fermi sui quali “non ci si deve attendere cha la chiesa cambi posizione”. La tutela della vita dei “bambini nascituri”, prima di tutto, “ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo”. Non cede, il Pontefice, a chi “frequentamente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la chiesa fa delle vite dei nascituri, fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore”. Un essere umano, aggiunge Francesco, “è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. E’ un fine in se stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno”. Questo, chiarisce Bergoglio, “non è un argomento soggetto a presunte riforme o a modernizzazioni”. Perché “non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana”.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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