ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 20 novembre 2013

De gustibus

Questo Papa invece ci piace

No a progressismo adolescenziale, pensiero unico, mondanità

Molte cose di Francesco sono fresche, sorprendenti, e promanano un carisma militante (trattandosi di un gesuita: militare) che investe e sprona un combattente dello spirito, quindi della cultura e della ragione come frontiere proprie anche agli uomini di fede. Ma l’omelia di ieri in Santa Marta è un veemente e audace sommario di ricomposizione e di canto dell’identità cattolica nel mondo contemporaneo. Sì, certo, i tradizionalisti spesso si comportano da imbalsamatori, e il Papa vuole una chiesa viva, una tradizione vivente.
Ma alla fine identità e tradizione sono valori reali, non nominali, e non sono negoziabili se non al costo di rinnegare il centro della fede. Gesù prega il Padre perché salvi gli uomini dallo spirito del mondo, e riproporre questo afflato contro il “progressismo adolescenziale”, contro il “pensiero unico” derivante dall’omologazione egemonistica al volere del re secolare, è operazione formidabile, di schietto stampo cinquecentesco, piena di forza teologica e mistica. Non è vero, dice Francesco, quanto dicono “uomini scellerati, capaci di una persuasione intelligente”, non è vero che “davanti a qualsiasi scelta sia giusto andare comunque avanti piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni”. “Fare quello che fanno tutti”, cioè aderire ai dogmi di un pensiero unico politicamente e ideologicamente corretto, è proprio di quella “generazione adultera e malvagia” che vende una identità di fede e di storia in una apostasia in favore di una “uniformità egemonica”, una globalizzazione babelica che comporta conseguenze penose. L’Anticristo di Robert Hugh Benson, che i lettori del Foglio conoscono attraverso il recente libro di Mattia Ferraresi e Martino Cervo, è usato da Francesco come metafora letteraria di questa apostasia, di questa ipertrofia “dell’Io e delle sue voglie”. Giudicherete voi, cari lettori, perché il testo è lì da leggere. Ma le complicazioni alle quali obbliga questo Papa S. I., anche quando nelle sue parole si sente una eco delle grandi omelie antirelativistiche di Ratzinger, sono benedette. Vabbè, ci sono le interviste, alcune delle quali segnate dal narcisismo della professione e derubricate a documenti “mondani” dall’archivio papalino, poi c’è una ricerca viva delle ragioni della fede cristiana moderna, nella lotta con il demonio.

Non accettate ordini dal secolo

Identità e tradizione non sono parole vuote. Il progressismo adolescenziale svende il cuore della fede al secolo e allo spirito del mondo. No al pensiero unico. Mai così chiaro il Papa Francesco S. I.

C’è un’insidia che percorre il mondo. E’ quella della “globalizzazione dell’uniformità egemonica” caratterizzata dal “pensiero unico”, attraverso la quale, in nome di un progressismo che poi si rivela adolescenziale, non si esita a rinnegare le proprie tradizioni e la propria identità. Quello che ci deve consolare è che però davanti a noi c’è sempre il Signore fedele alla sua promessa, che ci aspetta, ci ama e ci protegge. Nelle sue mani andremo sicuri su ogni cammino. E’ questa la riflessione proposta da Papa Francesco lunedì mattina, 18 novembre, durante la messa a Santa Marta. Con lui ha concelebrato l’arcivescovo Pietro Parolin, segretario di stato, che oggi ha iniziato il suo servizio in Vaticano.
Il Pontefice ha avviato la sua riflessione commentando la lettura tratta dal primo libro dei Maccabei (1,10-15; 41-43; 54-57; 62-64) “una delle pagine più tristi nella bibbia” ha commentato, dove si parla di “una buona parte del popolo di Dio che preferisce allontanarsi dal Signore davanti a una proposta di mondanità”. Si tratta, ha notato il Papa, di un tipico atteggiamento di quella “mondanità spirituale che Gesù non voleva per noi. Tanto che aveva pregato il Padre affinché ci salvasse dallo spirito del mondo”.
Questa mondanità nasce da una radice perversa, “da uomini scellerati capaci di una persuasione intelligente: “Andiamo e facciamo alleanza con i popoli che ci stanno intorno. Non possiamo essere isolati” né fermi alle vecchie nostre tradizioni. “Facciamo alleanze perché da quando ci siamo allontanati da loro ci sono capitati molti mali”. Questo modo di ragionare, ha ricordato il Papa, fu considerato buono tanto che alcuni “presero l’iniziativa e andarono dal re, a trattare con il re, a negoziare”. Costoro, ha aggiunto, “erano entusiasti, credevano che con questo la nazione, il popolo d’Israele sarebbe diventato un grande popolo”. Certo, ha notato il Pontefice, non si posero il problema se fosse più o meno giusto assumere questo atteggiamento progressista, inteso come un andare avanti a ogni costo. Anzi essi dicevano: “Non ci chiudiamo. Siamo progressisti”. E’ un po’ come accade oggi, ha notato il vescovo di Roma, con l’affermarsi di quello che ha definito “lo spirito del progressismo adolescente” secondo il quale, davanti a qualsiasi scelta, si pensa che sia giusto andare comunque avanti piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni. “Questa gente – ha proseguito il Papa tornando al racconto biblico – ha trattato con il re, ha negoziato. Ma non ha negoziato abitudini… ha negoziato la fedeltà al Dio sempre fedele. E questo si chiama apostasia. I profeti, in riferimento alla fedeltà, la chiamano adulterio, un popolo adultero. Gesù lo dice: “generazione adultera e malvagia” che negozia una cosa essenziale al proprio essere, la fedeltà al Signore. Forse non negoziano alcuni valori, ai quali non rinunciano; ma si tratta di valori, ha notato il Pontefice, che alla fine sono talmente svuotati di senso da restare soltanto “valori nominali, non reali”.
Ma di tutto questo poi si pagano le conseguenze. Riferendosi al racconto biblico il Pontefice ha ricordato che presero “le abitudine dei pagani” e accettarono l’ordine del re che “prescrisse che nel suo regno tutti formassero un solo popolo e che ciascuno abbandonasse le proprie usanze”. E certamente non si trattava, ha detto il Papa, della “bella globalizzazione” che si esprime “nell’unità di tutte nazioni” che però conservano le proprie usanze. Quella di cui si parla nel racconto è invece la “globalizzazionedell’u
niformità egemonica”. Il “pensiero unico frutto della mondanità”.
Dopo aver ricordato le conseguenze per quella parte del popolo d’Israele che aveva accettato questo “pensiero unico” e si era lasciato andare a gesti sacrileghi, Papa Francesco ha sottolineato che simili atteggiamenti si riscontrano ancora “perché lo spirito della mondanità anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti, al pensiero unico”. Anzi: come capitava allora, quando chi era trovato in possesso del libro dell’alleanza veniva condannato a morte, succede così anche oggi in diverse parti del mondo “come abbiamo letto sui giornali in questi mesi”.
Negoziare la propria fedeltà a Dio è come negoziare la propria identità. E a questo proposito il Pontefice ha ricordato il libro “Il padrone del mondo” di Robert Hugh Benson, figlio dell’arcivescovo di Canterbury Edward White Benson, nel quale l’autore parla dello spirito del mondo e “quasi come fosse una profezia, immagina cosa accadrà. Quest’uomo, si chiamava Benson, si convertì poi al cattolicesimo e ha fatto tanto bene. Ha visto proprio quello spirito della mondanità che ci porta all’apostasia”. Farà bene anche a noi, ha suggerito il Pontefice, pensare a quanto raccontato dal libro dei Maccabei, a quanto è accaduto, passo dopo passo, se decidiamo di seguire quel “progressismo adolescenziale” e fare quello che fanno tutti. E ci farà bene anche pensare a quanto è accaduto dopo, alla storia successiva alle “condanne a morte, ai sacrifici umani” che ne sono seguiti. E chiedendo “voi pensate che oggi non si fanno sacrifici umani?”, il Papa ha risposto: “Se ne fanno tanti, tanti. E ci sono delle leggi che li proteggono”.
Quello che ci deve consolare, ha concluso il Pontefice, è che “davanti al cammino segnato dallo spirito del mondo, dal principe di questo mondo”, un cammino di infedeltà, “sempre rimane il Signore che non può rinnegare se stesso, il fedele. Lui sempre ci aspetta; lui ci ama tanto” ed è pronto a perdonarci, anche se facciamo qualche piccolo passo su questo cammino, e a prenderci per mano così come ha fatto con il suo popolo diletto per portarlo fuori dal deserto.

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