OTTIMISMO E SPERANZA CRISTIANA
Oggi
molti pensano che ogni fede vivente implichi una visione ottimistica
del futuro. Chi dà rilievo alla tradizione e mette in guardia indicando
la fragilità umana così spesso attestata nella storia, da costoro viene
accusato di mancare di ottimismo e di coraggio, di un atteggiamento non
sano di fronte alla vita. Questi cattolici credono che un ethos
ottimistico sia la vera prova della vitalità della fede e di una
apertura spirituale alle esigenze dei tempi. Attribuiscono una
importanza particolare alle idee dei « giovani », quasi che la loro voce
fosse quella del futuro. Il loro atteggiamento dimostra che la loro
disposizione ad accettare una opinione si basa non tanto sulla verità di
essa quanto sulla probabilità che essa sia appunto la « voce del futuro
». Ora, se è legittimo cercare di prevedere ciò che il futuro ci
riserva, non vi è però ragione alcuna di propugnare una idea solo perché
è verosimile che essa si diffonderà nei tempi che verranno. Qui ci
troviamo nuovamente di fronte ad una usurpazione di quei diritti, che
soltanto la pura verità possiede.
Questi
cattolici vedono unicamente due possibilità: o considerare i pericoli
del nostro tempo, che preluderebbero ad un avvenire ancor più cupo, il
che conduce a ritirarsi dal mondo in uno stato d’animo nel quale un
timore paralizzante si unisce ad una triste rassegnazione — oppure
guardare ottimisticamente al futuro, assumere l’« atteggiamento sano »
che consisterebbe nell’andare allegramente al passo coi tempi.
Ma
anche questa alternativa è falsa. Essa è estranea all’atteggiamento
veramente cristiano, che consiste nel considerare oggettivamente tutti i
pericoli della situazione creata dalla caduta dell’uomo, nutrendo nel
contempo una speranza incrollabile, fondata sulla fede che Cristo ha
redento il mondo. Va soprattutto riconosciuto la differenza essenziale
fra fede e ottimismo: scambiare l’una con l’altro è una forma di
secolarismo. Qui non è nostro compito procedere ad una analisi
approfondita dell’essenza della speranza. Comunque dovrebbe essere
senz’altro chiaro che ogni speranza ha una relazione con la Provvidenza,
con la fiducia in un intervento benigno divino che spezzi la
concatenazione creata da un insieme di fattori impersonali. Perfino chi
pretende di non avere una fede, anche senza rendersene conto nel momento
in cui nutre una speranza presuppone qualcosa di simile ad una
Provvidenza. Completamente diverso dalla speranza è l’atteggiamento di
chi grazie ad una sua vitalità indomabile vince la disperazione perfino
di fronte al più nero fato. Invece della umiltà della speranza costui
dimostra una fiducia in sé stesso, egli si sente sicuro di potersi
misurare con qualsiasi situazione.
Ma
nel presente contesto a noi non interessa la differenza fra la speranza e
l’ottimismo vitalistico di una data persona bensì l’opposizione fra una
visione ottimistica del corso della storia e l’atteggiamento cristiano
di fronte al futuro storico. A tale riguardo basterà tener presente
l’atteggiamento realistico degli Apostoli e dei santi rispetto al futuro
per riconoscere quanto profonda sia tale antitesi. In loro non troviamo
una visione ottimistica del futuro. Essi non pensavano affatto che
grazie ad uno sviluppo storico imminente si realizzi un progresso. Ancor
meno ritenevano che i cristiani debbano inserirsi pieni di ottimismo
nel movimento della storia.
Invece il
loro atteggiamento dimostra una precisa coscienza della lotta continua
fra Cristo e lo spirito di questo mondo, unita alla fede incrollabile
dell’aiuto divino in tale lotta. Essi denunciano inesorabilmente tutti i
pericoli che sovrastano sia i tempi presenti che quelli futuri. Nel
contempo, non dubitano un solo istante della vittoria di Cristo. Non
sono né ottimisti né pessimisti. Sono i soli veri realisti. Vedono il
mondo quale è, senza farsi illusioni, ma vedono anche di là dal mondo.
Coscienti
dei continui attacchi di Satana contro il mondo, ma saldi nella fede
che Cristo ha redento il mondo, essi sanno che Egli ci ha chiamati per
lottare insieme a Lui. Sono animati della certezza consolante e
allietante che nulla può staccare da Cristo l’uomo che Lo ama.
La
differenza fra questo atteggiamento cristiano di fronte al futuro,
proprio ai santi, e l’ottimismo di chi va spensieratamente incontro al
futuro perché vede nello svolgersi della storia in quanto tale una
specie di azione dello Spirito Santo, è evidente. La fede cristiana non
rende ciechi di fronte ai pericoli; essa presuppone invece che si sappia
vedere la realtà quale è. Ma chi spera, sa che Dio sta al disopra del
mondo. Fidente in Lui, nel Suo amore illimitato, egli è al riparo da
ogni deprimente rassegnazione. La speranza va di là da ogni
immanentismo, ha un carattere essenzialmente trascendente.
Di
certo, nella struttura vitale dell’uomo è insita la tendenza a guardare
avanti, a nutrire liete speranze. Vi è una specie di forza che ci
spinge avanti, che ci dà coraggio nel considerare ciò che avremo da
fare. Questa lieta aspettativa del futuro è sicuramente un segno di
sanità e un utile sprone nella vita di ogni giorno dell’uomo. Ma non
appena essa dipinge in rosa l’avvenire, non appena rende ciechi di
fronte a pericoli reali, non appena si trasforma in « ottimismo » essa
diviene una droga generatrice di illusioni deleterie.
Il
che è deprecabile, specie se si tratta del futuro storico e della
missione della Chiesa. Allora saremmo inevitabilmente impediti di usare
la verità come misura, di veder tutto nella luce di Cristo e di seguire
il consiglio di S. Paolo: « Esaminate ogni cosa e conservate quel che è
buono ». Ci illuderemo di rispondere alla chiamata del Kairos
nell’adattare noi e la nostra fede alla contingenza dei tempi.
Un
ottimismo e un « progressismo » derivanti da una squallida ideologia
storicistica prenderebbero, allora, il posto del sacro realismo e della
forza sovrannaturale della speranza vivente nei santi: «In Te, Domine,
speravi, non confundar in aeternum ».
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