ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 24 novembre 2013

Impossibili deroghe al diritto canonico?

donna-cardinale“Cardinalesse” ed impossibili deroghe al diritto canonico

 I media vogliono una donna-cardinale.  Tra ottobre e novembre di quest’anno  i media mondiali hanno sollevato un gran polverone  sulla straordinaria ipotesi della promozione di una donna alla porpora cardinalizia; ipotesi ventilata peraltro dai media stessi su impulso di un gesuita americano di tendenze liberali, in seguito all’annuncio di un Concistoro da tenersi nel febbraio del 2014, nel quale il Papa dovrebbe nominare nuovi cardinali. I media da tempo ricamano su alcune frasi del Papa circa “il ruolo femminile nella Chiesa”, pronunciate tra luglio e settembre di quest’anno (Corriere della Sera del 4 novembre 2013, p. 19).Parlando a braccio, il Pontefice ha infatti detto che “la Madonna è più importante degli Apostoli” ed accennato alla necessità di una “teologia della donna” per la Chiesa, pur dichiarando che al sacerdozio femminile resta “chiusa la porta”. 
Il Papa non è tornato su queste sue telegrafiche e tutto sommato anodine dichiarazioni. In ogni caso per i media, laicisti ed anticristiani, la donna-cardinale è solo un cavallo di Troia:  ciò che sta loro veramente a cuore è riuscire ad imporre la donna-prete, le sacerdotesse.
Le ambigue dichiarazioni dell’attuale portavoce vaticano, inconciliabili con il diritto canonico.  Né si può credere che i media (e i loro amici liberali nella Gerarchia) si acquieteranno di fronte alla recenti dichiarazioni del portavoce vaticano, il gesuita Federico Lombardi; il quale, negando che il cardinalato femminile sia attualmente in programma avrebbe tuttavia fatto capire che dal punto di vista “teologico e teorico” la promozione di una donna alla porpora sarebbe “possibile” poiché “esser cardinale è uno di quei ruoli nella Chiesa per i quali, in teoria, non si deve esser ordinati [sacerdoti]”.   Ma di quale “teologia” e “teoria” stiamo parlando, mi chiedo, dopo che ben due Codici del Diritto Canonico, quello del 1917 e l’attuale del 1983 hanno disposto che: “Ad esser promossi Cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini [viri] che siano costituiti almeno nell’ordine del presbiterato [saltem in ordine presbyteratus constituti], in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari; coloro che già non siano Vescovi, devono ricevere la consacrazione episcopale” (CIC 1983, c. 351 § 1).  Questo canone riprende alla lettera il c. 232 § 1 del CIC del 1917, aggiungendovi di suo la menzione espressa dei “costumi” (moribus), imposta evidentemente dalla nequizia dei tempi, e la necessità della consacrazione episcopale del neopromosso che non fosse già vescovo (e questo forse in conseguenza del nuovo concetto di collegialità episcopale).  Ad ogni modo:  secondo il diritto canonico vigente da quasi un secolo, il requisito minimo per i promovendi alla berretta cardinalizia è quello di essere “almeno sacerdoti” (presbyteri).
In questo quadro istituzionale, dobbiamo continuare a credere che “teologicamente” e “teoricamente” è ancora possibile nella Chiesa cattolica esser promossi cardinali senza bisogno di esser stati previamente ordinati al sacerdozio?
La possibilità puramente teorica della nomina di un laico, ricordata dal p. Lombardi, gioca sulla distinzione tra ruolo e qualità o status della persona chiamata a svolgerlo.  In effetti, il cardinale ha un ruolo ben diverso da quello del vescovo e dei sacerdoti.  Non deve amministrare i Sacramenti, officio riservato al vescovo (che ha la pienezza del sacerdozio e quindi è competente per tutti e sette) e al sacerdote (aiuto del vescovo, che ne amministra invece cinque, non avendo competenza per la Cresima e l’Ordine).  Il compito del cardinale è di tipo politico e amministrativo:  egli opera in un Collegio che deve aiutare il Papa nel governo della Chiesa.  E questo Collegio esiste da circa mille anni, avendo tra le sue competenze – dal 1059 – quella delicatissima di procedere all’elezione del Romano Pontefice di tra le sue file, attribuitagli da un Papa per difendere la libertà dell’elezione stessa dalle influenze esterne, soprattuto di re ed imperatori, che puntualmente ogni volta si manifestavano.
Il cardinalato “laico” del passato fonte di abusi. Dati i compiti non intrinsecamente religiosi del cardinale, i Papi instaurarono la prassi di promuovere anche semplici laici, però sempre con l’intenzione (storicamente attestata) che in un secondo tempo, possibilmente breve, essi prendessero gli ordini, non limitandosi ai minori, ma giungendo sino ai maggiori, al sacerdozio vero e proprio.  La permanenza di un porporato nello stato laicale si riteneva provvisoria.  Però si ebbero, alla fine, troppi casi di  porporati laici che vollero rimanere sempre tali e non presero nemmeno gli ordini minori.  Il più famoso è forse quello del cardinale Giulio Mazzarino (1602-1661), diplomatico geniale e cervello politico di primordine, ministro del Re di Francia dopo il famoso cardinale Armand-Jean Du Plessis de Richelieu (1585-1642), vescovo di Luçon.  Mazzarino, che salvò la monarchia francese dal tracollo durante i gravi torbidi della Fronda, fu uno dei personaggi storici più calunniati di tutti i tempi. Non era affatto l’uomo vile e corrotto dei romanzi popolari di Alessandro Dumas, però non era nemmeno uno stinco di santo, a causa soprattutto del suo amore per il fasto e la ricchezza, diffuso peraltro nell’ambiente nel quale si trovava ad operare.  Diplomatico civile al servizio del Papa, di modeste anche se dignitose origini, non aveva nessuna vocazione religiosa; gli piaceva invece (come è logico) la vita raffinata anche se poco evangelica di certi rampolli della grande aristocrazia romana del tempo, presso la quale aveva trovato inizialmente i suoi protettori.  Essendo al servizio del Papa, ricevette la “tonsura”, che ne faceva un “chierico”, con la concessione del relativo beneficio, ai cui oneri, di tipo prevalentemente religioso, egli cercava in genere di sottrarsi, riuscendo quasi sempre ad ottenere le relative “dispense” papali.  Entrato al servizio di Luigi XIII, fu quest’ultimo, assieme a Richelieu, ad imporre in pratica al Papa di elevarlo alla porpora.  Come successore di Richelieu a ministro del Re, non poteva non esser cardinale, anche per poter trattare da pari a pari con l’alta nobiltà francese.  Con la porpora riuscì a procurarsi la rendita di decine di benefici ecclesiastici (non diversamente da Richelieu, suo maestro nell’arte di governo); benefici i cui obblighi (religioso-amministrativi) non poteva certo soddisfare, impegnato com’era dal suo ufficio di (primo) ministro del Re e in lotte politiche spietate, che coinvolgevano il destino della Francia.  I cardinali laici che restavano tali, vivendo spesso da gran signori, finivano con lo screditare il cattolicesimo. Infatti, completamente assorbiti nelle loro attività politico-amministrative e godendo nello stesso tempo di rilevanti benefici ecclesiastici, dei quali non potevano in realtà adempiere gli obblighi, riuscivano a farsi esentare da questi ultimi con le opportune “dispense” pontificie, invece di rinunciare ai benefici stessi!   
Basandomi su: Pierre Goubert, Mazarin, Fayard, 1990, spec. pp. 17-66, ho voluto ricordare in dettaglio il caso del “porporato laico” Giulio Mazzarino, come caso emblematico anche se forse estremo, per mettere nel dovuto rilievo l’importanza dell’eliminazione di questo tipo di porporato da parte del CIC del 1917.  Come rammenta lo stesso articolo del CdS  sopra riportato, l’ultimo “porporato laico” fu nominato dal Beato Pio IX  il 15 marzo 1858.  Lo stesso cardinale Giacomo Antonelli, Segretario di Stato di quel Pontefice, non era sacerdote.  Si fece strada ad un certo punto nella Chiesa l’esigenza di abolire un istituto del quale non si sentiva più la necessità e che aveva dato luogo ad abusi, lesivi del buon nome del Cattolicesimo.  Ricordo che il CIC del 1917 o “piàno-benedettino” fu dovuto all’iniziativa di san Pio X, con il motu proprio Arduum sane munus del 19 marzo 1904, istituente la Commissione incaricata di dirigerne la redazione, in seguito presieduta dal cardinale Pietro Gasparri, esimio giurista.  San Pio X, morto il 20 agosto 1914, seguì per dieci anni la lunga e complessa elaborazione del Codice, promulgato il 29 giugno 1917 dal suo successore, Benedetto XV, ed entrato in vigore il 19 maggio 1918.  Possiamo dire che l’eliminazione della figura del “cardinale laico” rientri nell’opera di riforma e purificazione della Chiesa intrapresa da san Pio X.  La normativa ad hoc emanata nel 1917,  mantenuta e rafforzata nel 1983 e fino ad oggi, dimostra pertanto che non è più possibile separare dal sacerdozio il ruolo del cardinale, di per sé non sacramentale.  Il senso della norma è chiarissimo:  il ruolo od officio del cardinale può essere adempiuto solo da una persona ordinata ossia da un appartenente al sesso maschile che sia “almeno sacerdote” cioè come minimo sacerdote e preferibilmente vescovo.  E se questo sacerdote non è vescovo, sia consacrato subito dopo la sua elevazione alla porpora.
Le notazioni “canonistiche” di Luigi Accattoli.  Dopo aver chiarito, come spero, questo fondamentale aspetto della questione, non posso tralasciare le notazioni “canonistiche” del vaticanista del CdS, Luigi Accattoli, nella pagina di giornale appena citata.  Esse non fanno giurisprudenza, come si suol dire; fanno tuttavia opinione e concorrono ad alimentare il clima d’opinione con il quale si tiene la Santa Sede sotto assedio.  “Per far cardinale una donna, il Papa dovrebbe modificare tre norme che sono nei canoni 350 e 351 del Codice [di diritto canonico] del 1983:  quella che riserva il cardinalato a uomini, a uomini “costituiti almeno nell’ordine del presbiterato” (che siano cioè almeno sacerdoti), e una terza che prevede l’assegnazione “a ciascun cardinale” di un “titolo o una diaconia nell’Urbe” (cioè la reggenza formale di una chiesa di Roma: perché i cardinali erano in origine preti romani).  Il Papa potrebbe derogare a quelle norme con un rescritto di tre righe.  O potrebbe costituire accanto ai tre ordini cardinalizi esistenti – vescovi, preti, diaconi – un quarto ordine dei laici e prevedere che vi possano entrare le donne.  Non vi sarebbero ostacoli dottrinali e le difficoltà giuridiche sono facili a sciogliere, ma la scarsa probabilità dell’imbocco di questa via sta nel fatto che provocherebbe rimostranze a valanga senza risolvere alcun vero problema”.
 Non vi sarebbero “ostacoli dottrinali o giuridici” alla nomina di un cardinale di sesso femminile, se il Papa volesse, “con un rescritto di tre righe”, “derogare” formalmente alla normativa vigente o integrarla creando “un quarto ordine di laici, includente anche le donne”?  Le difficoltà sarebbero solo di ordine pratico, a causa delle “rimostranze a valanga” che un’iniziativa così rivoluzionaria potrebbe produrre?  Per verificare l’attendibilità di simili affermazioni, cerchiamo di immaginare come potrebbe esser concretamente articolata la normativa in deroga  auspicata da Luigi Accattoli.
Prima ipotesi Può un ipotetico intervento innovativo limitarsi a rimodellare al femminile con un semplice provvedimento scritto dato motu proprio (un rescritto) la normativa vigente, riformulando il c. 351 § 1 del CIC attuale nel seguente modo:  “ Ad essere promossi Cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini o donne che siano costituiti almeno nell’ordine del presbiterato, in modo eminente distinti o distinte per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari.  Coloro che già non siano Vescovi o Vescove, devono ricevere la consacrazione episcopale”?  Potrebbe certamente, se le donne potessero esser “costituite nell’ordine del presbiterato” ossia potessero esser ordinate sacerdoti (presbiteri) e quindi addirittura vescovi.   Un intervento diretto motu proprio del Papa sul testo vigente appare comunque poco probabile.  Non potrebbe allora il Papa limitarsi ad aggiungervi che “ad esser promosse Cardinali vengono scelte liberamente dal Romano Pontefice anche donne che siano costituite almeno nell’ordine del presbiterato etc.”?  Oppure, ancor più semplicemente, che il c. 351 § 1 si applica “anche alle donne che si siano distinte per dottrina, costumi, pietà, prudenza”?  Potrebbe certamente. Ma siamo sempre lì:  dovrebbe aver preliminarmente istituito il sacerdozio femminile, con la conseguente possibilità della relativa consacrazione episcopale, perché un sacerdozio escluso dall’episcopato sarebbe un’anomalia.  Però da questo lato, come ha ribadito lo stesso Jorge Mario Bergoglio, ci troviamo di fronte ad una “porta chiusa”.  E proprio questa porta, come ho detto, i Figli del Secolo ateo e miscredente vogliono sfondare nonostante sia chiusa a doppia mandata.  Infatti, l’invalidità intrinseca, totale ed irriformabile, anche dal Papa o da un Concilio ecumenico, di qualsiasi ordinazione di femmine è dogma di fede, fa parte del Deposito della Fede. 
L’esclusione delle donne dal sacerdozio è dogma di fede.  La cosa fu ribadita diciotto anni fa in modo esplicito dal cardinale Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione della Fede, quando Giovanni Paolo II si pronunciò sul punto, riconfermando il bimillenario insegnamento della Chiesa in termini che erano quelli di una definizione dogmatica (sarebbe stata l’unica del suo pontificato).  In un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 28 ottobre 1995, il cardinale chiarì che la dottrina vietante l’ordinazione sacerdotale delle donne, espressa da ultimo nel 1994 per l’appunto nella Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis di Giovanni Paolo II, andava considerata come “appartenente al deposito della fede”.   “Questa dottrina – spiegò – esige un assenso definitivo poiché, fondata sulla Parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa fin dall’inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale […].  Pertanto, nelle presenti circostanze, il Santo Padre, nell’esercizio del proprio ministero di confermare i fratelli (Lc 22, 32) ha proposto la medesima dottrina con una dichiarazione formale, affermando esplicitamente ciò che si deve considerare sempre, ovunque e da tutti i fedeli (“quod semper, quod ubique et quod ab omnibus tenendum est”[S. Vincenzo di Lerino]) in quanto appartenente al deposito della fede”. Inoltre, sull’Osservatore Romano del 19 novembre 1995 apparve un articolo non firmato che precisò in modo molto chiaro la nota teologica della citata Lettera Apostolica.  Essa, si scriveva, “è un atto del Magistero ordinario pontificio in se stesso non infallibile, che attesta [tuttavia] il carattere infallibile dell’insegnamento di una dottrina già in possesso della Chiesa” (ho riportato questi testi del magistero come apparsi sulla rivista: Teologica, I, n. 2, Marzo-Aprile 1996, pp. 20-21, Edit. Ediz. Segno.  Le parentesi quadre sono mie). 
Un Papa che, Dio non voglia, istituisse il sacerdozio femminile cadrebbe pertanto nel peccato di eresia, apparirebbe come eretico in senso formale e la sede apostolica potrebbe esser considerata addirittura vacante, dato che un eretico in senso formale non può certamente occuparla in modo legittimo.  In parole povere:  nella Chiesa scoppierebbe la rivoluzione.  Lo stesso discorso varrebbe se fosse un Concilio Ecumenico a prendere una decisione del genere:  i vescovi e il Papa che la votassero dovrebbero ritenersi eretici in senso formale e la sede di ciascuno potrebbe considerarsi ipso facto vacante.  È chiaro, poi, che l’istituzione di tale “sacerdozio” sarebbe in se stessa del tutto invalida e completamente nulla quanto ai suoi effetti.
L’esclusione delle donne dal sacerdozio è dunque dogma di fede perché regola e prassi che risale a Nostro Signore e agli Apostoli, che mai hanno voluto ordinare le donne pur presenti nella Chiesa sin dall’inizio; regola e prassi sempre mantenuta da tutti i Papi e da tutti i vescovi.  Alle nozze di Cana, quando Nostro Signore compì il suo primo miracolo mutando l’acqua in vino, fu sua Madre a stimolarlo all’azione.  Per gli usi e la mentalità dell’epoca, la mancanza improvvisa del vino ad un banchetto nuziale era una cosa grave, che offendeva gli ospiti e gettava discredito sul padrone di casa.  Accortasi della situazione, la Santissima Vergine intervenne nel modo testimoniato da S. Giovanni, sicuramente presente:  “Or, essendo venuto a mancare il vino, la Madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”.  E Gesù dice a lei:  “Donna, che desideri da me in questo?  L’ora mia non è ancora venuta”.  Ma la Madre sua dice ai servitori:  “Fate tutto quello che egli vi dirà””(Gv 2, 3-5).  Maria era stata invitata al convito e Gesù vi era venuto in quanto suo figlio, con i discepoli (ivi, 1-2).  Ella quasi sospinge maternamente il Signore all’azione, si potrebbe dire, ma restando sempre un passo indietro.  È la posizione dalla quale la donna può far valere nel modo più efficace le sue capacità di intuizione, il suo buon consiglio, la vocazione a soccorrere.  La Santissima Vergine non si mette in primo piano, a dirigere le operazioni: non ne avrebbe avuto l’autorità.  È appunto la venerata Madonna del Buon Consiglio, del Buon Soccorso!  E quando nasce compiutamente la Chiesa con l’invio miracoloso e straordinario dello Spirito Santo agli Apostoli riuniti nel Cenacolo, dove pregavano tutti i giorni “con le donne e con Maria, madre di Gesù e i fratelli di lui [uso semitico per cuginiparenti]” (Atti 1, 14 et passim), sono poi solo “Pietro e gli undici” ad uscire verso la folla, resa attonita dal prodigio ad essa noto dal rombo tellurico dello Spirito Santo che era sopravvenuto e dal dono delle lingue apportato agli Apostoli. E fu il solo Pietro, che per mandato divino era già il capo della Chiesa, ad iniziare la predicazione (che convertì in quel giorno tremila ebrei), con il famoso discorso che si concluse con la frase:  “salvatevi da questa generazione perversa” (Atti, 2, 5-40).  Le donne non avevano l’autorità per predicare alla folla così come non avevano quella di assolvere dai peccati.   Nessuno andrebbe a confessarsi da una donna.  Nostro Signore scelse e mandò in missione sempre e solo uomini, pur accogliendo sempre le donne alla sua sequela, tra le quali pubbliche peccatrici pentite e da Lui convertite, come la Maddalena (Lc 8, 1-3).  Dai Vangeli e dalle Lettere di S. Paolo, dalla Tradizione e dall’insegnamento della Chiesa risulta in modo inequivocabile quale deve essere la missione della donna nella Chiesa, nella famiglia, nella società.  Data la forma mentis e le inclinazioni dell’animo femminile, che non sono uguali a quelle dell’uomo, non era evidentemente una milizia come il sacerdozio il modo giusto di farle concorrere all’opera della Salvezza. Ma proprio la loro silenziosa e subordinata partecipazione, come suore e religiose nel senso tradizionale del termine ma anche come spose e madri di famiglia, fidanzate, sorelle, vergini devote e timorate, ha permesso alle loro qualità di brillare agli occhi di Dio, offrendo così a tutti noi peccatori i numerosi esempi di virtù e santità che tanto ci sono di ammaestramento e conforto.  Il Giorno del Giudizio conosceremo il gran numero di anime salvate dalle preghiere e dalla vita esemplare, dalla generosità verso il Signore di tante donne umili di cuore e piene di fede, religiose e laiche.  È di queste donne che hanno bisogno la Chiesa e la società, non di “teologhe”, “porporate”, “sacerdotesse”.
Seconda ipotesi.  Essendo del tutto impraticabile la via di cui alla prima ipotesi, quale potrebbe allora essere il contenuto della supposta “deroga in un rescritto di tre righe”?  Potrebbe essere il seguente, privo del tutto di qualsiasi riferimento al sesso dei futuri Cardinali?  E cioè:  “Ad essere promosse Cardinali vengono scelte liberamente dal Romano Pontefice persone che siano costituite almeno nell’ordine del presbiterato  etc, distinte per dottrina etc.”.  Nel concetto di “persona” sono inclusi sia gli uomini che le donne.  E quindi le donne potrebbero entrare surrettiziamente tra i promovendi alla berretta cardinalizia.  Ma anche questa via sarebbe del tutto impraticabile poiché ci sarebbe sempre lo scoglio rappresentato dall’ordinazione sacerdotale, che, come si è visto, può riguardare solo ed unicamente gli appartenenti al sesso maschile.  Infatti, non sono “personae” ad esser ordinate al sacerdozio bensì “viri”, “uomini” in carne ed ossa e solo loro.  Le “persone” costituite nell’ordine del presbiterato non potrebbero perciò mai esser quelle di individui appartenenti al sesso femminile.
Terza ipotesi. E se, allora, si togliesse alla “persona” qualsiasi riferimento al sacerdozio e all’episcopato, oltre che al sesso dei promovendi?  Le “tre righe” di modifica potrebbero essere allora queste:  “Ad esser promosse cardinali vengono scelte liberamente dal Romano Pontefice [anche] personeeminentemente distinte per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari”.  Qui si darebbero due casi.  
A) Se il rescritto si aggiungesse semplicemente al c. 351 § 1, includendo quindi l’anche, l’aggiunta sarebbe irrilevante, dal momento che non modificherebbe il diritto vigente, che esclude a priori le donne.  Il diritto vigente non potrebbe essere variato da una dizione così generica.  Non menzionando le donne, si dovrebbe ritenere che il rescritto, impiegando il termine “persone”, volesse qui ristabilire la figura del cardinale laico di un tempo, che è sempre stato un uomo e mai una donna.  Se poi si volesse interpretare estensivamente il termine “persone” includendovi anche le donne, allora si rientrerebbe nella quarta ipotesi, ugualmente non praticabile (vedi infra). 
B) Se invece – ipotesi pù radicale – il rescritto volesse addirittura sostituirsi al c. 351 § 1, abrogandolo integralmente, avremmo una vera e propria rivoluzione nella Gerarchia della Chiesa perché verrebbe meno la distinzione tra chierici e laici e tra i due sessi per quanto riguarda l’elevazione alla porpora.  Non varrebbe più il requisito specifico dell’esser “almeno sacerdote” e preferibilmente vescovo per poterne usufruire, per quanto riguarda la “persona” di un ecclesiastico: ridotto per l’appunto l’ecclesiastico ad anonima “persona” non diversa dalla “persona” di un laico.  Si oscurerebbe l’effettiva distinzione tra cardinale in senso proprio e cardinale laico. E l’ultima disposizione del c. 351 § 1 non si potrebbe più applicare.  Essa prescrive, come si è visto, che il neopromosso cardinale sia anche vescovo, ragion per cui: “coloro che già non siano Vescovi, devono [debent] ricevere la consacrazione episcopale”.  Alle “persone” costituite da laici, e a maggior ragione se donne, questa norma non si potrebbe applicare, dal momento che possono esser consacrati vescovi solo i sacerdoti (CIC, c. 377 § 2, 4; c. 378 § 1), e solo individui di sesso maschile possono diventar sacerdoti. 
Non ho trattato di come si potrebbe in ipotesi attribuire ad una “porporata” la titolarità di una chiesa romana.  Risultando impossibile una deroga checchesia ai due requisiti fondamentali per esser promossi alla porpora (che sono, lo ripeto: il sesso maschile e l’ordinazione sacerdotale), l’ipotesi stessa (peraltro del tutto chimerica) viene a cadere.  La realtà è che la legislazione vigente, riassunta nelle “tre norme” di cui all’articolo di Luigi Accattoli, appare del tutto impervia ed anzi immodificabileper chi aspiri a ritoccarla, al fine di includervi in qualche modo il sesso femminile. 
Quarta ipotesi.  L’unica ipotesi apparentemente fattibile, per chi voglia promuovere anche le donne alla porpora, sembra pertanto esser quella dell’istituzione di un “quarto ordine” di laici, maschi e femmine, provvisti dei requisiti per esser promossi a cardinali.  La dizione del possibile “rescritto” dovrebbe allora esser di questo tipo:  “sono promovibili a cardinali anche laici di ambo i sessi, in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari”.  Non ci sarebbe qui alcuna “deroga” formale alla legislazione vigente, visto che il rescritto si limiterebbe ad aggiungersi ad essa al fine di integrarla. Ma a causa della grande novità che contiene, i conti non tornano nemmeno qui.  
1.  Innanzitutto, credo non basterebbe un semplice rescritto del Papa, un semplice “decreto di tre righe” dato motu proprio, per introdurre il cardinalato laico esteso alle donne, istituto interamente nuovo e del tutto rivoluzionario.  Un decreto della potestas iurisdictionis del Papa su tutta la Chiesa in genere applica od integra la normativa vigente.  Può stabilire una dispensa ma sempre senza violare i princìpi fondamentali dell’ordinamento.  Ma per introdurre un principio di fatto rivoluzionario nei confronti dell’intero ordinamento, occorrerebbe prima un documento pastorale di una certa portata, seguìto poi dall’emanazione di un nuovo articolo ed anzi di una nuova sezione ad hoc del CIC.  Una procedura complessa, dalle chiare implicazioni teologiche.  Infatti la porpora, pur essendo istituto di origine solo ecclesiastica e non sacramentale, grazie al CIC viene a collegarsi espressamente alla costituzione divina della Chiesa, dal momento che può esser conferita solo a sacerdoti e vescovi.  
2. Questo nuovo cardinalato laico, considerato unitariamente, sarebbe del tutto rivoluzionato rispetto all’antico perché non sarebbe più possibile connetterlo al sacerdozio.  Non sarebbe possibile perché le donne non possono essere ordinate, nemmeno agli ordini minori.  In realtà, dovrebbe considerarsi diviso in due categorie non comunicanti, uomini e donne; quest’ultime concorrenti di serie B, ridotte per forza di cose ad una funzione meramente simbolica, da soprammobile del salotto progressista. 
3.  Se non in senso formale, ci sarebbe comunque una deroga in senso sostanziale, perché si andrebbe contro lo spirito del CIC vigente e quindi contro l’intenzione del legislatore.  Infatti, esso ha mantenuto il principio fondamentale, in perfetta continuità con il CIC del 1917, che i cardinali di Santa Romana Chiesa devono essere di sesso maschile e “almeno” sacerdoti.  Se si ristabilisse il cardinalato laico come da tradizione ossia solo per gli uomini, si derogherebbe al principio del sacerdozio quale conditio sine qua non per la porpora.  Ma non completamente poiché un cardinale laico di sesso maschile può esser sempre ordinato sacerdote; ed anzi dovrebbe sempre esserlo (e proprio questa era in passato l’intenzione della Chiesa).  Non potrebbe mai esserlo, invece, una “cardinalessa”, poiché le donne sono escluse divinitus dal sacerdozio.  La sola menzione delle donne come categoria legittima tra i porporandi, avrebbe comunque un significato eversivo per l’intero istituto perché vanificherebbe d’un colpo entrambe le pregiudiziali volute dal legislatore a sua tutela, rappresentate dalla mascolinità e dal sacerdozio.  Una rottura così radicale e scandalosa con la Tradizione della Chiesa rappresenterebbe anche un primo, sostanziale  passo verso l’instaurazione di una qualche forma di “sacerdozio femminile”.
4. Non si vede poi come in questo “quarto ordine” potrebbero rientrare le  s u o r e .  Non possono certamente considerarsi laiche ma non fanno strettamente parte del clero, pur facendo ben parte della Chiesa e della sua gerarchia.  Fanno parte a sé.  Bisognerebbe allora stabilire un “ordine” speciale per loro, tutto femminile?  E bisogna ricordare che nemmeno le suore possono diventare sacerdoti.    
5.  Si tornerebbe indietro di un secolo e mezzo.  E per qual motivo, per soddisfare le inconsulte aspirazioni delle femministe e dei loro amici nella Gerarchia e fuori? Una reintroduzione della figura del cardinale laico, da nessuno rimpianta e della quale non si sente affatto la necessità, accentuerebbe di sicuro la decadenza di un clero già abbondantemente secolarizzato, tanto più se vi fossero “promosse” le donne e del tipo delle “teologhe” femministe oggi pullulanti, che sono le candidate preferite dai media, per ovvie ragioni.  Valga l’esempio di quello che è successo nella Setta Anglicana, avviata sempre più verso l’estinzione, dove le donne sono entrate nella gerarchia da una ventina d’anni circa.  Da alcuni anni hanno ottenuto anche la carica di “vescovo” e si distinguono soprattutto nel giustificare e promuovere ogni sorta di “diversità”.
6.  E di quali prerogative potrebbe godere una “porporata” laica?  Non potrebbe certo esser titolare di una chiesa romana.  E come potrebbe dare ordini a vescovi e sacerdoti, essendo esclusa a priori dal sacerdozio?
7. La realtà è che anche per la figura del cardinale laico che fu, il requisito della mascolinità appare fondamentale ed insuperabile. Lo si deve affermare sulla base della Tradizione della Chiesa.  Il Collegio dei cardinali esiste da quasi mille anni.  Sino al 1856, per otto secoli, i Papi hanno elevato alla porpora sempre e solo uomini, anche quando il promosso non era sacerdote.  Mai sono state prese in considerazione le donne.  Otto secoli non bastano al formarsi di una tradizione? Uomini, sul presupposto che si facessero in un secondo tempo sacerdoti.  Si tratta – è vero – di una tradizioneecclesiastica e non dogmatica, come quella che esclude le donne dal sacerdozio.  Il Papa può modificare, abolire, disapplicare o ripristinare una tradizione ecclesiastica.  E difatti è stato silenziosamente lasciato cadere il cardinalato laico.  Ed è stata modificata dopo 372 anni la composizione del Collegio dei Cardinali quando Giovanni XXIII stabilì (nel 1958, appena eletto) che si potesse ampliarne il numero massimo di settanta membri, fissato nel 1586 da Sisto V in memoria dei settanta anziani preposti da Mosè alla guida di Israele e dei settantadue discepoli inviati in missione da Cristo Nostro Signore (Lc 10, 1 ss.).  Non può, tuttavia, stravolgerla, introducendovi elementi che la contraddicono apertamente e destano scandalo, per ciò che sono e rappresentano.   [Paolo  Pasqualucci]

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