Vatican Pop/ Ai non folgorati da Bergoglio non resta che il Wall Street Journal
Nel gran calderone della cristianità bolle una domanda: Papa Francesco cambierà la Chiesa? Molti lo sperano. Altri lo temono. E all’interno dei due schieramenti ci sono tante, forse troppe sfumature. Meglio saltare a piè pari la risposta e attendere, fiduciosi, la prima pagina del Wall Street Journal di Natale. Dal 1949 pubblica un articolo dal titolo «In Hoc Anno Domini», scritto da un suo importante direttore, Vermont Royster. Ad un anno di distanza dalla pubblicazione al Wall Street Journal si resero conto che per commentare l’imminenza del Natale non c’era bisogno di scrivere nulla di nuovo. Pubblicarono così l’articolo dell’anno precedente, senza cambiare una virgola. E la ripubblicano sempre. Ecco cosa scriveva Royster:
Quando Paolo di Tarso si mise in cammino sulla strada per Damasco tutto il mondo conosciuto viveva in condizione di schiavitù. C’era un solo stato, e questo stato era Roma. C’era un solo padrone, ed era l’imperatore Tiberio. L’ordine regnava ovunque, perché il braccio della legge di Roma arrivava in ogni angolo. Ovunque, nel governo come nella società, c’era una grande stabilità, severamente mantenuta dai centurioni romani. Ma c’era anche qualcos’altro.
C’era l’oppressione, per tutti coloro che non godevano del favore di Tiberio. C’erano gli esattori delle tasse, che requisivano grano e cotone per foraggiare e vestire le legioni o per riempire le casse dell’erario, che poi il divino Cesare usava per dimostrare la propria generosità al popolo. C’era l’impresario, che reclutava nuovi gladiatori per gli spettacoli circensi. C’erano sicari che mettevano a tacere chiunque venisse proscritto dall’imperatore. A che altro serviva un uomo se non a servire l’imperatore?
Si perseguitavano tutti coloro che osavano pensare in modo diverso, che sentivano strane voci o che leggevano misteriosi manoscritti. C’era la schiavitù per gli uomini che non erano romani, e disprezzo per chi non aveva un aspetto familiare. E, soprattutto, dominava ovunque il disprezzo della vita umana. Che cos’era, agli occhi dei potenti, un uomo in più o in meno in un mondo densamente popolato?
Poi, improvvisamente, si accese una luce nel mondo: un uomo della Galilea proclamò che bisognava dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Questa voce dalla Galilea, destinata a sconfiggere lo stesso Cesare, offriva un nuovo Regno nel quale ogni uomo poteva camminare a testa alta, senza inginocchiarsi ad altri che al proprio Dio. «Ciò che avete fatto anche al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto anche a me». E inviò in tutti i più remoti angoli della terra il suo Vangelo che annunciava il Regno dell’Uomo.
Così nel mondo si accese una luce e gli uomini che continuavano a vivere nell’oscurità cominciarono ad avere paura, e cercarono di nascondere la luce facendovi calare sopra uno scuro sipario in modo che tutti continuassero a credere che la salvezza stava nelle mani dei capi. Ma, ciononostante, la verità rese l’uomo libero, anche se chi viveva nell’oscurità si oppose e cercò di spegnere quella luce. Ma la voce disse: affrettatevi. Camminate finché c’è la luce, prima che vi colga l’oscurità, perché chi cammina nell’oscurità non sa dove si dirige.
Lungo la strada per Damasco la luce brillava sfavillante. Ma, dopo averla vista, anche Paolo di Tarso fu preso dalla paura. Temeva che altri Cesari e altri profeti potessero un giorno persuadere la gente del fatto che l’uomo non è altro che un loro servitore, e che l’uomo rinunciasse a Dio e alla libertà per un piatto di minestra. In quel caso l’oscurità sarebbe nuovamente scesa sulla terra e ci sarebbe stato un grande falò di tutti i libri; e gli uomini avrebbero pensato soltanto a cosa mangiare e a cosa indossare, dando ascolto esclusivamente ai nuovi Cesari e ai falsi profeti. Allora gli uomini non avrebbero più sollevato in alto gli occhi per vedere una stella nell’oriente del cielo, la luce sarebbe scomparsa e l’oscurità sarebbe scesa su ogni cosa.
E così Paolo, l’apostolo del Figlio dell’Uomo, parlò ai suoi confratelli, i Galati, e pronunciò le parole che gli uomini avrebbero dovuto sempre ricordare, in ogni anno del suo Signore: «Rimanete saldamente ancorati alla libertà che Cristo vi ha donato e non fatevi più imprigionare dalla schiavitù».
Chi spera nel cambiamento di Francesco può sperare. Chi invece spera che non avvenga può sperare lo stesso. Chi si accontenta delle parole degli uomini saggi come Vermont Royster, dalla sua immarcescibile prosa può trovarne giovamento: permanenza e validità del messaggio cristiano non cambiano di una virgola, al di là di chi sia e cosa abbia intenzione di fare l’ultimo successore di Pietro.
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