ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 26 dicembre 2013

Dubito, ergo credo, credo ergo dubito?

DIVAGAZIONI E RIFLESSIONI


I - Dubitare, dubitare…
Una nuova catechesi  si aggira per l’orbe cattolico e incombe sulla coscienza dei fedeli. Anzi, si può dire che abbia, da molto tempo, informato di sé l’intera visione dottrinale  - teologia, etica, liturgia – tal che se ne scrive, se ne parla come nuovo strumento d’interpretazione. E’ il “dubbio” che, virgilianamente parlando, “crescit eundo”, acquista forze col propagarsi, e quello che nel passato era ritenuto il fondamento della fede, e cioè il “Credo”, è stato niccianamente superato dal razionalismo cartesiano, promotore e alimentatore di uno  scetticismo che diverrà metodo e misura della fede stessa. “Dubito, ergo credo, credo ergo dubito”.
Più si dubita e più si ricerca, ma più ci si illude di trovare le risposte, con il risultato di allontanarsi dalla strada maestra fino a perdere l’orientamento sconfinando in altre dottrine, in altre confessioni o, come succede, perdendo la fede stessa, quella che si cercava esercitando il dubbio metodico.
E’ il caso, ad esempio, dell’iniziativa dei gesuiti di Padova a pro’di quella insana e narcotica moda – l’esercizio dello yoga - che noi denunciammo il novembre del 2012 quando  inviammo al vescovo di Frascati, Mons. Raffaello Martinelli, noto propagandista di questa cialtronesca e gnostica pratica, una lettera di biasimo nulla risposta, more solito, ottenendo. (cfr.www.unavox.it febbraio 2013).
Ma veniamo al fatto.
   
Nel foglio LA DOMENICA – ed. Paoline – IV di Avvento 22 dicembre 2013, pag. 38 – alla terza “preghiera dei fedeli” si legge: “Dopo l’esperienza del dubbio, Giuseppe ha creduto… Preghiamo.” dove il riferimento è al Vangelo di Matteo (1, 18/24). E siccome è tanta l’ansia di santificare e ratificare il dubbio che lo si appone anche laddove non c’è, falsificando così una storia di significato opposto.
Giuseppe, anche a leggere superficialmente il brano citato, non dubita d’alcunché:  
1° - perché voler rimandare in segreto Maria non sta ad indicare dubbio di sorta in quanto, all’oscuro di ciò che era avvenuto in lei – il concepimento divino –, come qualsiasi persona che abbia il senso della responsabilità, pensa di dismettere  e sciogliere un impegno per manifesta infedeltà altrui. Egli prende atto che la promessa sposa è incinta, e non di lui, ma poiché  è “uomo giusto”, decide, per non disonorare Maria, di licenziarla in silenzio, senza strepito e senza esibire il libello del ripudio di cui potrebbe esercitare il diritto;
2° - perché, dopo il sogno durante il quale l’angelo gli svela il disegno di Dio, egli prontamente – altro che dubbio! – “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore, e prese con sé la sua sposa” (Mt. 1,24).

Gli autori CEI, obnubilati ed ebbri di riformismo e di aggiornamento, attratti da uno scetticismo spacciato come esercizio di ricerca, hanno così apposto l’etichetta del dubbio a un santo  – Giuseppe – la cui definizione di “uomo giusto” è garanzia  e titolo di fede. Non si comprende, pertanto, come questa bischera riflessione, scritta addirittura nella preghiera dei fedeli, possa essere stata concepita e stampata. 

La lettura del capitolo di Matteo è, infatti,  lineare, semplice e grandiosa, ove Giuseppe appare come uomo dalle idee chiare, niente affatto titubante. E così, sottilmente, il mal seme di questa erbaccia infestante, il dubbio cioè, già da tempo germogliata e spigata, sta invadendo e soffocando la mèsse nel campo del Signore.
    
Noi vorremmo ricordare ai neoterici esegeti e teologi CEI che il cristiano non possiede dubbi di sorta, tutt’al più prova difficoltà a capire – e ci mancherebbe! - ma crede a Gesù il quale, non per leziosa retorica, si è proclamato VIA – VERITA’ – VITA
   
P. S. -  Ci permettano i lettori: nel momento di inviare il presente lavoro abbiamo letto, con somma sorpresa e con pari indignazione, il testo dell’omelìa svolta da papa Bergoglio, il giorno 20 dicembre scorso durante la santa Messa in Santa Marta. Un’omelìa dove la teologìa del dubbio diventa manifesta dottrina che si conferma quale nuova direttrice di evangelizzazione. Il pontefice, nel tessere l’argomento del silenzio quale mezzo privilegiato ove custodire un mistero, e riferendosi alla figura di Maria Vergine ai piedi della Croce, ha così commentato: “Il Vangelo non ci dice nulla: se ha detto una parola o no… Era silenziosa, ma dentro il suo cuore, quante cose diceva al Signore! “Tu, quel giorno [l’Annunciazione] – questo è quello che abbiamo letto – mi hai detto che [Gesù] sarà grande; Tu mi hai detto che gli avresti dato il Trono di Davide, suo padre, che avrebbe regnato per sempre e adesso lo vedo lì!. La Madonna era umana! E forse aveva la voglia di dire: “Bugie! Sono stata ingannata!” Giovanni Paolo II diceva questo, parlando della madonna in quel momento. Ma Lei, col silenzio, ha coperto il mistero che non capiva e con questo silenzio ha lasciato che questo mistero potesse crescere e fiorire nella speranza”.

Cosa dire? Intanto, nella parte iniziale della sua omelìa, il Papa ci fa sapere che “ognuno di noi sa come misteriosamente opera il Signore nel nostro cuore”, poi si smentisce quando, in appresso afferma: “Questo mistero che non possiamo spiegare…”, infine colloca nella mente di Maria  supposti sentimenti di dubbio e di delusione per ciò che le era stato promesso e che, sotto la Croce, pareva non esser mantenuto.
Il dubbio! Maria dubita. Anche lei! Colei che rispose “Fiat mihi secundum verbum tuum”, Colei che “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc. 2, 19), Colei che aveva inneggiato “L’anima mia magnifica il Signore…” (Lc. 1, 46), Colei, alla quale il santo Simeone aveva profetato “Egli è qui per la rovina e la resurrezione di  molti in Israele, segno di contraddizione… e anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc. 2, 34/35), e che, perciò, conosceva l’epilogo  della Crocifissione, Colei che  “serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc. 2, 31 ), Colei che nacque senza macchia di peccato, solo per il fatto di “essere umana” doveva necessariamente, secondo il pensiero di papa Bergoglio, agitare nella mente pensieri di rivolta e sentimenti di delusione. Non bastava l’ignobile mariologìa di don Tonino Bello, ora ci si mette anche il Papa ad intervenire sulla figura mariana nei canoni di una mera antropologìa attribuendole -  così come aveva prima già predicato GP II prossimo santo -  e non soltanto per enfasi retorica, divagazioni e pensieri che restano offensivi e irriverenti ad onta di quel “forse” che, per prudenza o per nescienza, vorrebbe far passare il tutto come un’amena, originale o sottile riflessione. Tuttavia, se così fosse, egli non avrebbe continuato il discorso con l’avversativa “ma” con cui, volente o nolente egli conferisce dignità di vero a quello che, poco prima, col “forse” aveva posto come fantasìa, ipotesi, pia stravaganza onde ci vien da pensare che questi siano, o sono, i reali pensieri del Papa Francesco. 
Curiosa osservazione quella che, poi, conclude una misera, vaniloquente  e squalificante omelìa: mentre la Madonna  avrebbe “coperto col silenzio il mistero che non capiva” velando così intimi pensieri ignoti anche agli Evangelisti, egli, papa Bergoglio, sulla scia del defunto GP II, riesce nell’impresa di svelarceli. Pensieri che, come si è letto, sono talmente paradossali che attribuirli a Maria è, già di per sé, sacrilegio e vilipendio.

Santità: La Beata vergine è stata dichiarata Corredentrice della nostra salvezza e, come tale, è venerata, perciò, in  quanto tale, Ella è l’unica  creatura, l’unica  persona  ad “aver capito il mistero di Cristo” e l’unica ad essere stata accolta nel mistero della Santissima Trinità (“Sappi questo, figlio mio, che il santo Rosario non è una preghiera che si rivolge soltanto a me, ma alla Santissima Trinità, dove io sono Colei che sono nella Trinità divina” – La Vergine delle Tre Fontane a Bruno Cornacchiola  12 aprile 1947).
E poi: preso pur atto della fuga dei discepoli, della loro delusione e  dei loro dubbi, c’è da considerare che soltanto Lei, con Giovanni, sta accanto al Figlio morente. E perché? Perché Ella sa che tutto quello che accade rientra nel disegno di Dio, un disegno che Lei conosce e in cui ha accettato di esser parte. Il suo stare sotto la Croce è, perciò, testimonianza di consapevolezza e di accettazione. Pertanto, dove sta il dubbio, dove sta la delusione, dove stanno i disinganni?
Questo, santità, lei doveva evidenziare: la grandezza di Maria che tutto conosce e che tutto accetta, partecipando all’evento della Redenzione senza la benché labile ombra di dubbio. Ed allora: come sia possibile ipotizzare, anche per mera vanitas esegetico/letteraria o per estemporanea uscita di novità, una variante quale lei ci ha propinato, è cosa che soltanto una mente intristita dal dubbio ci può spiegare.

E’ possibile che, dai sacri palazzi, non si elevi una voce autorevole che tenti di raddrizzare la strada della fede che sta diramandosi in tratturi e diverticoli selvosi ed oscuri?
Che desolazione!


II – Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa


San Gerolamo, penitente

Nella sacra liturgia, tutto è “segno” tutto è pertinente a significati univoci, chiari, circostanziati e di natura trascendente, dall’arredo e dai paramenti  al colore degli stessi, dalle parole  ai gesti. Questi ultimi sono collegati, naturalmente, alle mani sicché quando esse sono giunte si percepisce il segno del raccoglimento, quando si portano alla fronte, alla bocca e al petto nel segno della croce si intende accogliere il Verbo di Dio con mente, parola e cuore, quando il celebrante le eleva a palme aperte vuol significare l’invocazione divina a somiglianza di quanto fece Mosè quando pregava durante la battaglia contro  gli Amaleciti (Es. 17, 11).
Insomma, ogni gesto risponde a un significato di ben chiara pregnanza sicché non v’è ragione di variarlo svincolandolo dal proprio alveo catechetico. E, peggio, quando una rubrica liturgica, di particolare connotazione e profondità, viene inopportunamente espressa con un gesto afferente ad altro significato.
Parliamo, ad esempio, del momento in cui, ad inizio di santa Messa, si recita il “Confiteor”, ovvero il “confesso a Dio…”. Esso è caratterizzato da una  formula di veemente intensità e di alta contrizione come “mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa” – per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa -.
Essa formula coniuga l’intenzione interiore a una visibilità semantica esteriore con un gesto che  racchiude non solo una corrispondenza con il dire, ma ne materializza, diciamo, in modo “concreto” la forte significanza e la presenza del pentimento.
E’ noto che, nel momento di pronunciare la triplice ammissione di colpa, il sacerdote e i fedeli si “battono” il petto. “Ma che cosa vuol dire ‘battersi il petto’ se non accusare una colpa nascosta nel petto e deplorare il peccato occulto con il gesto ben visibile di battersi il petto?” (S. Agostino – discorso67 – 1).
E’ ciò che, in maniera ancora maggiormente profonda ed incisiva, si palesa dal racconto evangelico del fariseo e del pubblicano. “Publicanus a longe stans, nolebat nec oculos ad caelum levare, sed percutiebat pectus suum dicens: Deus propitius esto mihi peccatori” (Lc. 18, 13): il pubblicano standosene a distanza, non osava alzare gli occhi al cielo ma si batteva il petto dicendo “O Dio, sii benevolo con me peccatore!”.

Chiediamo venia ai lettori se, a questo punto, ci soffermiamo a lumeggiare l’etimologìa e l’accezione della locuzione “battersi il petto”. L’autorevole dizionario Georges/Calonghi porta alla voce “battersi” la seguente casistica di cui citiamo pochi esempii: “pulsare aliquem (battere qualcuno) – caput illidere (battere la testa) – verberare aliquem fusti (battere qualcuno col bastone) - alicujus os manu pulsare (battere il viso di qualcuno) – pugnum alicui impingere in os (battere il pugno sul viso a qualcuno) – frontem ferire  (battere la fronte) – pectus tundere, percutere (battersi il petto)”.
Come ben si evidenzia, qualsiasi accezione porta seco il segno di un’azione forte, pesante, dolorosa, quella che si riassume nella locuzione “pugni ictus”, colpo di pugno.
   
Nella spiegazione delle rubriche, il Vetus Ordo Missae indicava, in maniera limpida e chiara, cosa si dovesse fare al momento di pronunciare la triplice “mea culpa”, come infatti si legge: “Cum (minister) dicit: mea culpa, ter pectus dextera manu percutit, sinistra infra pectus posita” (Missale Romanum ex Decreto S. S. Concilii Tridentini  restitutum – Ed. Soc. S. Joannis Desclée Lefebvre et soc. s. Sedis  Typographia 1899 – pag. 20). Battersi il petto, colpirsi, cioè, col pugno quale gesto per esprimere la confessione dei peccati e  il dolore del pentimento.
Ma che cosa accade nel rito attuale?

Al pugno che picchia – a un dipresso, al sasso con cui san Gerolamo, battendosi, si accusava dei peccati -   si è sostituita la mano aperta che, più che indicare il percuotere, sembra una carezza, un appoggiare lento e morbido a mo’ di giuramento o la resa laica di quel gesto con cui, quando si suona un inno nazionale, i presenti stanno con la mano destra sul cuore. Insomma, con la scomparsa del “colpo al petto”, elemento centrale del “Confiteor”,  è svanita anche la cognizione del peccato e il senso di colpa che l’accompagnava.
Sparito il ruvido e pesante pugno, con esso si è dissolto anche il segno visibile della contrizione e, in sua vece, col palmo aperto e il tocco soffice, docile, lento, papi, vescovi, sacerdoti e fedeli, hanno introdotto una nuova apertura al mondo e alla sua cultura, quella della gestualità massonica.
Qualche lettore potrebbe obiettarci essere, l’argomento, di lieve interesse e, pertanto, eccessiva la nostra critica. In fondo, battersi il petto col palmo della mano, non toglie e non cancella il senso che il “Confiteor” esprime.
No, non è così. I gesti, consacrati dal rito del Santo sacrificio, non vanno modificati né, tanto meno, sostituiti da altri che afferiscono verso opposti versanti. Colpirsi il petto col pugno è espressività ben diversa dal portare il palmo aperto sul petto in quanto quest’ultimo potrebbe essere consentaneo, ad esempio, al “Credo” ove ogni affermazione dogmatica viene confermata dalla mano che, posta sul cuore, ne stabilisce l’adesione.


III – Divorzio, Comunione e conseguenze…

Il pronunciamento  - o “alzamiento” – emesso dalla diocesi di Friburgo lo scorso ottobre sotto la spinta dell’ex amministratore apostolico, Mons. Robert Zollitsch già vescovo della stessa, e fatto proprio dalla Conferenza Episcopale Tedesca, invita a “rendere visibile (!?) l’atteggiamento umano e rispettoso (?)di Gesù nel contatto con le persone divorziate e con chi ha deciso di risposarsi  col rito civile”.
Si tratta, in pratica, della prima mossa in vista del Sinodo dell’ottobre 2014 – per il quale papa Bergoglio ha fatto diffondere un questionario ad hoc – durante il quale sarà posto in discussione un argomento che non andrebbe nemmeno pensato come oggetto di analisi. Ma tant’è.
La deliberazione dell’episcopato germanico verrà considerata quale contributo al dibattito (formula politichese per dire che di fatto è già approvata). Figuriamoci! Più che contributo questo sembra essere un tema all’odg da considerare quale piattaforma da cui espandere il discorso. E ciò è tanto vero se è vero che Mons. Lorenzo Baldisseri segretario generale del futuro Sinodo afferma che “quello dei sacramenti ai divorziati risposati è un tema da affrontare con un approccio nuovo”. E ti pareva che mancasse la parola totem “approccio”! e, soprattutto, “nuovo” perché la cultura del mondo lo esige e la Chiesa, arretrata ma che s’è dichiarata aperta al mondo, deve obbedire per scoprire le novità.
Insomma, nell’attesa del Sinodo, la Conferenza Episcopale Tedesca, fattasi scudo di quell’improvvida e suicida liberalità papale con cui si concede alle Conferenze Episcopali “qualche autentica autorità dottrinale” (Evangelii  gaudium – cap. I, n. 30), permetterà ai divorziati/risposati, in via sperimentale, l’accesso  ai sacramenti. Intanto per via “sperimentale”, poi si vedrà, con la sicurezza che conferisce quel detto antico, di dantiana memoria:  “Capo ha cosa fatta” (Inf. XXVIII, 107), perché naturalmente si dirà e si predicherà quanto benefico e proficuo sia stato il provvedimento che ha permesso il rientro di tante persone alla fede.
Ipocrisìa allo stato puro, che  fa della causa un tutt’uno con l’effetto diventato, questo, a sua volta causa  di conferma della sperimentazione.
   
Dobbiamo, secondo il titolo dato a questo lavoro, tirar giù delle riflessioni ché siffatto deliberato apre le porte a scenarii  inquietanti di disonesta esegesi, di cultura antropologica, di apostasìa e di tradimento. Riflessioni che non vogliono dare sicura previsione ma che, tuttavia, non si discostano da quanto avverrà.
L’accesso all’ Eucaristia produrrà questi effetti: 
1 – Il divorzio, in quanto tale, diverrà pratica permessa e lecita che renderà ovvii un secondo, un terzo, un  quarto matrimonio;
– La Sacra Rota cesserà d’esistere poiché, mancando materia del contendere, ne risulteranno  inutili  la sua funzione e il suo intervento, con buona pace del Diritto Canonico;
3 – Con l’accesso alla Comunione sarà aperto anche quello alla Confessione dove, paradossalmente, non ci sarà più motivo di pentirsi di adulterio stante la cancellazione di questo;
4 – Si darà adesione al disegno massonico della famiglia allargata con caduta del ruolo della genitorialità, con la dismissione dell’autorità e con la compresenza di più madri e padri in attesa che un ulteriore Sinodo prenda in esame, in “via sperimentale”, per poi approvarla, la coppia omosessuale;
5 – Verrà clamorosamente ammonito col cartellino rosso Dio Padre e riabilitate Sodoma/Gomorra, smentito e zittito Cristo, Colui che aveva seccamente condannato lo scioglimento del vincolo da Dio benedetto, e definito adultero/a l’uomo o la donna che avesse sposato un divorziato/a (Mt. 19, 6 – 9), e unitamente a Lui, verrà sconfessato San  Paolo che aveva tuonato  contro la sodomia, l’adulterio, il vizio (I Cor. 6, 7/11).
   
Ma che cosa, al proposito, si dice  nei sacri Palazzi?
Non possiamo mica parlare sempre di divorzio e di aborto”, afferma  infastidito papa Bergoglio che, parimenti, si dichiara non autorizzato a giudicare un omosessuale che “cerca Dio” (un simile soggetto non Lo troverà mai se continua a darsi al vizio, caro Santo Padre). D’altra parte, sempre sua Santità, deplora che la pratica spirituale debba o possa interferire nella vita quotidiana. Eh già: mai più rigore perché, con l’aria teutonica che tira, e che presto investirà le zone mediterranee e Roma, con il peccatore già assolto a priori dalla dottrina giovanvigesimoterza, anche il peccato sarà derubricato a normale momento esperienziale. Se poi dovesse permanere residuo alcuno o scoria alcuna di peccato, non c’è da preoccuparsi perché se san Pietro chiuderà la porta ad incalliti ribaldi o a qualche adultero, la Madonna, di notte quando il guardiano dorme, aprirà i battenti e li farà entrare.

Cuore di mamma, parola di papà!

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