Intrighi, insabbiamenti e ‘misteri’ dietro il processo a Paolo Gabriele
COLD CASE/ In questo primo ‘cold case’ che pubblico, cioè
vecchi articoli da recuperare, ritroviamo il processo a Paolo Gabriele, il
famigerato maggiordomo del papa che trafugò decine di documenti riservati dall'
appartamento di Papa Ratzinger. L’idea di un Vatican tabloid mi venne più o meno
in quell’epoca, era l’ottobre del 2012, tanto la storia si prestava ad essere
un moderno romanzo popolare del potere, con immancabili zone d’ombre, omissis,
doppie verità. Il pezzo in questione è stato pubblicato in quei giorni sul sito internet di
Micromega
“In nome di Sua Santità Benedetto XVI gloriosamente regnante
il Tribunale invocata la
Santissima Trinità ha pronunciato la seguente sentenza…”
Forse basterebbe questa frase, pronunciata nella tarda mattinata del 6 ottobre
dal presidente del tribunale vaticano Giuseppe Dalla Torre, per dare l’idea di
cosa sia stato il processo a Paolo Gabriele, l’assistente di camera del Papa
che ha fatto uscire dall’appartamento di Joseph Ratzinger centinaia di
documenti riservati. Il resto è storia nota o quasi. Quattro udienze in tutto,
8 testimoni ascoltati oltre all’imputato, due ore di camera di consiglio e il
gioco è fatto. Arriva una condanna a un anno e mezzo su sei che ne rischiava
l’imputato, vengono concesse tutte le attenuanti possibili in base al Codice
Zanardelli del 1889 ancora in vigore Oltretevere; eppure non basta. Dalla Torre,
infatti, non fa in tempo a finire la brevissima lettura del testo di condanna che
un trafelato direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi,
convoca un briefing improvvisato di fronte a 140 giornalisti provenienti – come
nei più classici degli eventi mediatici - da ogni parte del mondo, per dire che
sì, il Papa pensa davvero di concedere la grazia. Alleluja, tutto è bene quel
che finisce bene.
Ripercorrendo le tappe che hanno scandito il periodo
trascorso dal 25 maggio, giorno in cui si venne a conoscenza in via ufficiale
dell’arresto del corvo (ma il fermo risaliva già al 23), si comincia a scorgere
il profilo di questa breve e intensa storia. In realtà le parole fuoriuscite
dal Vaticano ad ogni piccola svolta della vicenda, annunciavano e contenevano
in sé un futuro già scritto che a volte, riottosamente, la stampa non ha voluto
vedere tanto appariva prevedibile e già disegnato il percorso di ogni sviluppo
successivo. Insomma era tanto facile che pareva difficile crederci.
Bastava ascoltarli, i responsabili vaticani, senza
aggiungere altro, per arrivare facilmente alla soluzione del caso; come spesso
avviene, la verità è nascosta nelle cose più semplici. Un esempio per tutti.
Solo con la pubblicazione della requisitoria e della sentenza di rinvio a
giudizio dell’ex maggiordomo del Papa avvenuta
il 13 agosto – occhio alla data, un capolavoro – si viene a sapere dell’esistenza
di un secondo imputato. Si tratta di Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico
della Segreteria di Stato arrestato e poi rilasciato su cauzione il 25 maggio; è accusato di favoreggiamento, avrebbe passato
documenti proibiti a Gabriele. Ma subito padre Lombardi - che pure in precedenza aveva recisamente
negato e smentito la notizia dell’arresto di un secondo indagato diffusa da
alcuni media – si affretta a dire: “attenzione, la sua posizione è molto meno
grave di quella di Gabriele, non è paragonabile”; per giorni si spiega che il
tecnico informatico non ha avuto un ruolo chiave nella vicenda, si fa capire
che non c’entra niente o c’entra poco, e si anticipa, così, quanto sta per
succedere. Il processo a Sciarpelletti verrà in effetti immediatamente
stralciato alla prima udienza del processo assecondando la volontà della
difesa.
Il fatto è che Gabriele deve essere responsabile solo di
furto aggravato, è lui il cattivo (dalle buone intenzioni, però, voleva salvare
la chiesa spiega lui, e la cosa gli viene riconosciuta come attenuante) da
isolare, senza complici, senza collaboratori, senza suggeritori. Unico
colpevole il cui destino è già scritto. Per settimane negli incontri con la
stampa Gabriele viene chiamato “Paolo”, “Paoletto”, come fosse uno cui è
capitato un brutto incidente con linguaggio familiare. E’ solo l’ironia
sbalordita dell’opinione pubblica a far cadere quella modalità nelle
comunicazioni ufficiali, “Paolo” diventa perlomeno “Gabriele” a volte,
addirittura, “l’imputato”. Almeno le apparenze vanno salvate.
Processo lampo e via alle celebrazioni del fu-Concilio
Vaticano II
La storia del corvo ha alcun protagonisti e una serie di
comprimari, è una storia di crimini e reati in “white collar”, a volte in
“clergyman” i cui contorni restano sfuggenti. Il processo – con meccanismo ad
orologeria - si chiude appena in tempo per permettere al sinodo sulla “nuova
evangelizzazione” di cominciare ( il 6 ottobre la sentenza, il 7, domenica, la
messa d’inaugurazione dell’assise con 262 padri sinodali) senza il contorno imbarazzante
dei vatileaks; poco dopo prendono il via
le celebrazioni del fu-Concilio Vaticano II in piazza San Pietro. Nel
frattempo l’assise indetta da Giovanni XXIII è stata ampiamente museizzata, il
Concilio largamente sconfitto, gli episcopati di tutto il mondo ridotti alla
ragione a suon di nomine d’ordine e disciplina, il dissenso marginalizzato,
comunque espulso dal sacro collegio cardinalizio. Il Papa intanto scrive il ‘prequel’
della vita di Gesù, “L’infanzia di Gesù”, volume che si annuncia best-seller
presentato alla Buchmesse di Francoforte da una Rizzoli che ha ottenuto la
gestione dei diritti dal Vaticano. L’ordine regna a Varsavia mentre monsignor
Rino Fisichella, avverte che anche gli scandali ai piani alti dei sacri palazzi
degli ultimi mesi sono un segno della crisi della fede.
E’ questo lo spettacolo cui assiste il cronista che fino al
giorno prima si è occupato di nomi, complici, cordate, smentite, documenti sulla
mancata trasparenza vaticana, abusi di potere, di denaro, sessuali. E si rimane
quasi storditi da questo ritorno a una normalità falsata, che, dopo le cronache
di feroci lotte intestine, vuole mostrare una Chiesa tutta intenta a riflettere
su sé stessa. Il maquillage non riesce, il trucco nero cola dagli angoli degli
occhi, quello della Santa Sede è un volto stanco e provato. E pensare che solo
pochi mesi fa il Sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu,
uno dei più stretti collaboratori del cardinale Tarcisio Bertone, aveva tuonato
contro il libro di Gianluigi Nuzzi e l’intera categoria dei giornalisti. Il 29
maggio, sull’Osservatore romano, il monsignore affermava: “penso che in questi
giorni, da parte dei giornalisti, insieme al dovere di dare conto di quanto sta
avvenendo, ci dovrebbe essere anche un sussulto etico, cioè il coraggio di una
presa di distanza netta dall’iniziativa di un loro collega che non esito a
definire criminosa. Un po’ di onestà intellettuale e di rispetto della più
elementare etica professionale non farebbe certo male al mondo
dell’informazione”.
Una settimana indimenticabile
I giorni che vanno dal 23 al 25 maggio sono quelli decisivi,
ma lo si capirà solo col tempo, quando nel brevissimo processo faranno in tempo
comunque a venire fuori alcuni dati non trascurabili. Il 23 c’è la
perquisizione dell’abitazione privata di Paolo Gabriele, dura dalle 15,50 alle
23 e 45. Già alle 20 il maggiordomo viene portato in una camera di scurezza. Si
apprenderà poi che la cella non è l’Excelsior (nonostante le prime descrizioni
fornite dal Vaticano lo lasciassero bonariamente intendere), sono in corso dei
lavori, si spiegherà dopo, e per questo durante 20 giorni Gabriele verrà
trattenuto in uno spazio non molto grande – assai angusto dirà lui – la luce
accesa 24 ore al giorno per evitare atti autolesionistici, come confermeranno
gli stessi gendarmi vaticani. Vengono portate via 82 casse di materiale durante
la perquisizione nell’abitazione del maggiordomo, i documenti interessanti sono
circa mille e l’avvocato difensore di Gabriele, Cristiana Arru, spiegherà che
almeno la metà delle casse in questione contengono materiale vecchio e
personale, raccolte di Famiglia cristiana, cose del genere. Gli agenti durante
il processo spiegheranno all’unisono di aver verificato fin da subito che
c’erano molti documenti originali identici a quelli contenuti nel libro “Sua
Santità” di Nuzzi. Ce li immaginiamo
questi gendarmi vaticani che scovano le lettere autografe del Papa e dicono
subito: “ma questo sta pure nel libro di Nuzzi!”. C’è poi la storia dell’assegno
da 100mila euro indirizzato al Papa e di una pepita d’oro donata al Pontefice
ritrovati in casa di Gabriele. Fra i gendarmi che hanno preso parte alla
perquisizione si fa fatica a capire chi ha trovato per davvero i due oggetti
nello studio dell’ex maggiordomo e chi, sembra la gran maggioranza di loro, li
ha visti solo in caserma.
Un processo assai particolare
Nessun reperto relativo ai mille documenti ritrovati è stato
mostrato durante il processo, secondo la difesa il materiale non è stato poi
inventariato e dunque non si sa esattamente cosa realmente è stato trovato
durante le indagini; particolari non indifferenti se si pensa che Paolo
Gabriele è stato condannato per il solo reato di furto aggravato. Ancora, non
esistono fotografie della perquisizione inoltre i gendarmi non hanno indossato
guanti nel corso dell’operazione per cui non è stato possibile fare una perizia
dattiloscopica sulla pepita. Fra l’altro è emerso nel processo che una perquisizione
è stata compiuta pure l’appartamento di Castel Gandolfo di Paolo Gabriele, abitazione
però non protetta dall’extraterritorialità, tuttavia anche lì, hanno detto gli
agenti vaticani, sono stati ritrovati “documenti nascosti”.
Sembra però che la
perquisizione sia avvenuta senza l’accordo delle autorità italiane, il che ha
comportato l’esclusione di quel materiale dalle prove. Già, ma resta una
domanda: di che materiale si trattava visto che non esiste un inventario dei
ritrovamenti? I dubbi si accavallano, i buchi nel procedimento giudiziario si
moltiplicano, fino a diventare macroscopici. Più volte, infatti, nel corso
delle poche udienze, il Presidente del Tribunale Giuseppe Dalla Torre, quando
un testimone si avvicinava a fornire elementi sull’identità di quanti hanno
collaborato in un modo o nell’altro con Gabriele, richiamava tutti all’ordine:
“stiamo all’oggetto del processo”, cioè stiamo al furto aggravato; nemmeno la
diffusione di carte segrete e riservate all’esterno veniva valutato, né nelle
sue implicazioni penali né quale elemento essenziale per la ricostruzione della
vicenda. E sì che c’era un intero libro come prova, un libro definito dal
Vaticano solo poche settimane prima “un crimine”. Ma nonostante tutto questo,
il ministro della giustizia Paola Severino, nel corso della festa della
Gendarmeria vaticana, lo scorso 5 ottobre – il giorno prima della sentenza - ha
potuto dire a proposito del processo celebrato Oltretevere: “si è lavorato con
grandissima professionalità, e di questo va dato atto. C’è stata una immediata
individuazione della persona, del presunto autore degli atti, e indagini
celeri. Si e' dimostrata una grande efficienza”. Fra le due sponde del Tevere è
tutto un ammiccare vicendevole.
Le rogatorie impossibili
En passant vale la pena ricordare che nelle prime settimane di
indagini, da parte del Vaticano è stato agitato lo spauracchio di chissà quali
rogatorie internazionali per appurare la verità e scoprire i temibili complici
“italiani” di Gabriele. Va da sé che le mitiche rogatorie non sono mai partite,
anche perché nei rapporti fra Stati vale il principio della reciprocità e dato
che da tempi ormai antichi (almeno dall’inizio degli anni ’80) una lunga serie di atti della
magistratura italiana attende risposte, su questo fronte, al di là delle
minacce, i sacri palazzi non sono andati; il diavolo, lo sanno bene a San
Pietro e dintorni, fa le pentole ma non i coperchi, quindi meglio evitare il
rischio di aprire un capitolo già in sé assai spinoso. Infine un particolare
davvero speciale: il 24 maggio, quando già circola informalmente la notizia
relativa all’individuazione della talpa, scoppia un’altra bomba: il presidente
dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, lascia la presidenza dell’istituto in rotta
di collisione con la Segreteria di
Stato. Il Sole 24ore dava in questi
termini la notizia: “la decisione - da tempo nell'aria - è arrivata oggi nel
corso del consiglio di sovrintendenza della banca vaticana. É l'epilogo di un
duro braccio di ferro tra Gotti Tedeschi e ambienti vaticani sull'applicazione
della legge sulla trasparenza finanziaria e sulla conduzione degli affari
dell'ente, gestiti in prima battuta dal direttore generale Paolo Cipriani”. La
mattina dopo, il 25 maggio, il corvo trovava un volto e un nome: un maggiordomo
insospettabile; sullo sfondo un libro divenuto un best-seller mondiale, nell’insieme
un intrigo che appassiona i media di tutto il mondo. Il grande tabloid vaticano
era pronto.
Non ci sono buoni
come in un vero romanzo del potere non ci sono buoni in
questa storia. Quando la requisitoria e il rinvio a giudizio di Paolo Gabriele
vengono pubblicati ad agosto, decine di omissis coprono i nomi di testimoni e
sospettati. Il problema vero resta quello delle identità dei complici e quindi
dei mandanti e anche delle ragioni e delle cause dello scontro interno. Si può
dire qualcosa in proposito, ma siamo solo all’inizio. Come si ricorderà la storia comincia con le denuncie da parte di
monsignor Carlo Maria Viganò, pubblicate sulla stampa, in merito alla cattiva
gestione finanziaria del Governatorato dello Stato vaticano. Il monsignore si
lamenta anche del suo prossimo trasferimento, come poi regolarmente avviene,
quale nunzio apostolico a Washington. Suo nipote, monsignor Carlo Maria
Polvani, funzionario della Segreteria di Stato, lo ritroviamo fra i testimoni del processo a Sciarpelletti il
procedimento che per ora è stato stralciato e rimandato. Sciarpelletti è
accusato, in buona sostanza, di essere stato un possibile tramite di documenti
destinati a Gabriele e provenienti da ambienti vaticani. La posizione di
monsignor Polvani dovrà essere appurata dal processo. Nel corso delle udienze
emergono anche i nomi di altri due cardinali, possibili suggeritori di Gabriele:
Paolo Sardi e Angelo Comastri, quest’ultimo vicario del Papa per lo Stato
vaticano e a capo della Fabbrica di San Pietro. Non è finita. Il procedimento
fa intravedere anche il volto idi Ingrid Stampa, ex governante-segretaria del
Papa, sua minutante personale, da tempo però sostituita. Ha parlato di certo
con Gabriele, poi “ne ha preso le distanze”, cosa si sono detti? Per alcuni la Stampa è in grado di
pensare troppo liberamente e per questo è stata allontanata.
C’è poi don Georg Ganeswein che esce oggettivamente male da
questa storia. Don Georg si definisce persona estremamente precisa cui non
sfugge niente, e tuttavia Gabriele, sotto il suo naso fotocopia decine e decine
di documenti, e gli soffia carte personali: una lettera di Bruno Vespa al Papa,
un appunto di padre Lombardi sul caso di Emanuela Orlandi, e una lettera di un
banchiere milanese.
Fra i possibile suggeritori di Gabriele ci sarebbe anche
l’ex segretario del Papa Josef Clemens; quella di vatileaks è anche una
questione di gelosie, una lotta interna alla cerchia tedesca del Papa, ma non
solo. Dal calderone ribollente di scandali e colpi di scena, emerge infatti un
Vaticano in cui tutti sono l’un contro l‘altro armati: la Segreteria di Stato,
‘l’Appartamento, gli altri dicasteri, i funzionari, l’ala diplomatica, la Gendarmeria e così
via. Ancora, fra le persone ascoltate durante l’indagine c’è Vincenzo
Mauriello, altro funzionario della Segreteria di Stato. Resta agli atti, poi,
il caso clamoroso del confessore di Gabriele, padre Giovanni Luzi. Questi
riceverà dall’ex maggiordomo copia di tutti i documenti trafugati e penserà
bene, dopo qualche giorno, di darli alle fiamme “perché frutto di attività non
legittima e non onesta”. Fra i cardinali non va dimenticato Attilio Nicora,
presidente dell’Autorità d’informazione finanziaria che dovrebbe vigilare su
tutti i movimenti di denaro sospetti. Non c’è il suo nome nelle carte del
processo, ma c’è nei vatileaks. Nicora protesta perché l’autorità istituita con
la nuova normativa sulla trasparenza finanziaria, viene successivamente depotenziata.
Ma complessivamente, al di là delle indagini e della vicenda
Ior, va tenuto presente, parallelamente, che c’è tutta una vecchia guardia di
potenti cardinali che non ha gradito troppo il cambio di potere avvenuto con il
nuovo pontificato: si va dai cardinali Angelo Sodano e Leonardo Sandri, da
Camillo Ruini a Giovanni Battista Re. L’arrivo di Bertone e dello squadrone
salesiano con innesti di Focolarini ha suscitato proteste e rancori. Dunque non
ci sono buoni, in questa storia, la rappresentazione pubblica della lotta per
il potere mostra la decadenza dell’impero e i torti e le ragioni si confondono
furiosamente fino a perdesi del tutto.
Francesco Peloso
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.