Nazisti in fuga e dittatura argentina, cosa nascondono gli archivi vaticani?
La recente vicenda di Erich Priebe ha riaperto il caso delle
ratlines, cioè delle vie di fuga dei gerarchi nazisti aiutati dal Vaticano.
Anche su questo delicato e spinoso capitolo da papa Francesco si attendono
importanti novità, è grande infatti il contributo che la Chiesa può dare alla
ricerca della verità, anche la scelta non è facile. Quest’articolo è stato
pubblicato sul Secolo XIX nell’ottobre del 2013.
La morte di Erich Priebke ha riaperto un capitolo spinoso
per la Chiesa:
quello della fuga di gerarchi e capi del nazismo, all’indomani della fine del
secondo conflitto mondiale, in Argentina e in altri Paesi dell’America Latina
con l’aiuto e il sostegno decisivi di esponenti del clero. In realtà da tempo
su tutta la vicenda aleggia un sospetto ben più pesante: e cioè che le massime
autorità vaticane, compreso Pio XII o qualcuno dei suoi più stretti
collaboratori, potessero essere quantomeno informate dell’opera di salvataggio
che alcuni prelati, preti e religiosi, avevano realizzato. La storia nelle sue
linee generali è nota: una rete di monasteri e di chierici, fra i quali spicca
il nome di Alois Hudal, vescovo filonazista che lavorava in Vaticano, ha reso
possibile la fuga di diversi criminali come appunto Erich Priebke, Adolf
Eichmann e Josef Mengele tanto per limitarsi ai nomi più noti. Molti segreti,
appunti, documenti relativi a questa storia restano sepolti nei tanti archivi
ecclesiali; quelli vaticani in primis, certo, ma in realtà altre carte
potrebbero essere conservate dai francescani (in Italia e nel resto d’Europa) il
cui ordine fu coinvolto in modo particolare in questa vicenda. Allo stesso
tempo curie locali o sedi arcivescovili di primo piano conservano probabilmente
qualche traccia di quei lontani avvenimenti.
E’ stato proprio il ‘Secolo XIX’ a chiedere già una decina
di anni fa e poi di nuovo nelle settimane scorse, che la curia genovese
mettesse a disposizione i propri archivi. Genova è infatti stata uno
snodo fondamentale delle “ratlines”, le cosiddette vie di dei topi; dal suo
porto si sono imbarcati molti dei capi ustascia croati e dei gerarchi nazisti
tedeschi più noti, il ruolo svolto dallo stesso arcivescovo Siri è assai
problematico sotto questo punto di vista. A suo tempo il cardinale
Tarcisio Bertone diede la propria disponibilità per una verifica storiografica,
ma poi non se ne seppe più nulla. Un intervento di papa Francesco potrebbe
sbloccare anche questa situazione.
Tuttavia la vicenda Priebke apre le porte su un quadro più
complesso e delicato. La storia ha infatti voluto che destinazione privilegiata
degli uomini del terzo reich in fuga, fosse proprio l’Argentina nella quale
nazisti e fascisti provenienti dall’Europa – con l’aiuto sovente dei servizi
segreti occidentali, del Vaticano e della Croce rossa - furono fatti arrivare
in nome della lotta al comunismo; la necessità era quella di non rinunciare al
‘personale’ più qualificato per la nuova battaglia che stava cominciando il
giorno dopo la fine della guerra. In Argentina Juan Domingo Peròn si dimostrò
particolarmente sensibile sull’argomento e aprì le porte del Paese a questa
emigrazione del tutto particolare. E’ inoltre storia ormai documentata che
alcuni dei personaggi passati attraverso le ratlines verso la fine degli anni
’50, ebbero un ruolo nei regimi repressivi e nelle dittature che interessarono
quasi tutti i Paesi dell’America Latina fra gli anni ’60 e gli anni ’80 del
secolo scorso; (un caso a parte è quello di Alois Brunner, uno dei maggiori
responsabili dello sterminio ebraico che, seguendo le ratlines, raggiunse la Siria dove contribuì a
formare i servizi segreti di Hafez al-Assad).
Oggi sul Soglio di Pietro siede un papa argentino non
estraneo a una certa fede politica peronista che del resto si coniuga anche con
un filone di partecipazione popolare e di giustizia sociale; allo stesso tempo
Francesco è grande amico della consistente comunità ebraica del Paese
latinoamericano. Anzi, fra i suoi più forti sostenitori va annoverato uno dei
leader dell’ebraismo argentino, il rabbino Abraham Skorka, esponente
dell’ala più liberale del pensiero ebraico. Il Papa poi, nei giorni scorsi, ha
incontrato in Vaticano la comunità ebraica romana e ha avuto parole forti
contro l’antisemitismo ricordando la tragica deportazione dal ghetto di Roma
avvenuta il 16 ottobre del 1943. Così i funerali di Priebke, martedì prossimo,
finiranno quasi con il coincidere con la data della razzia del ghetto di Roma.
I fili di diverse storie, allora, s’intrecciano in questa lunga vicenda che dal
dopoguerra arriva fino ad oggi. Il problema delle carte conservate dal Vaticano
nei suoi archivi segreti è ormai parte essenziale del dibattito sul rapporto
controverso fra Shoah e comportamento della Santa Sede (una parte di questi
documenti fu comunque fatta pubblicare da Paolo VI).
Ma oggi il problema si apre anche, e proprio con Bergoglio,
per casi più recenti come quelli della sanguinosa dittatura militare argentina.
La leader delle “abuelas”, le nonne, di plaza de Mayo, Estela Carlotto,
nell’aprile scorso ha incontrato il pontefice e a lui ha chiesto un aiuto per
conoscere la verità su figli dei desaparecidos adottati dai militari. “Non
chiediamo – disse nell’occasione Estela - di vedere i registri della Chiesa per
accusare questo o quel prete, ma per ritrovare i nostri nipoti”. Nei giorni
scorsi, ancora, l’altra organizzazione che si batte per la verità sugli anni
bui del regime, “las madres de plaza de mayo”, ha chiesto al papa, con una
lettera, due cose: da una parte di “riconoscere” le complicità di vescovi e
sacerdoti con i militari, ma dall’altra di dire quali furono i preti e le suore
“assassinati dalla dittatura”.
Francesco Peloso
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