ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 30 dicembre 2013

In vino veritas?


Tutte le pervicaci imprecisioni di papa Scalfari su Papa Francesco

Tutte le pervicaci imprecisioni di papa Scalfari su Papa Francesco
Alla fine, ha ragione Luca Sofri, direttore del sito il Post: “La cosa affascinante per noi curiosi di come si fanno i giornali, è che in un grande quotidiano come Repubblica il pezzone settimanale del fondatore non sia riletto da nessuno che se ne accorga”. In effetti, lo svarione di Eugenio Scalfari nel sermone domenicale è di quelli da scolpire sui muri, come fece Martin Lutero con le sue celeberrime Novantacinque tesi che diedero il là alla lacerante spaccatura con la Chiesa santa cattolica apostolica (e soprattutto romana) dei Papi corrotti e regnanti sulla nuova Babilonia.

LO SVARIONE DEL PAPA LAICO
Ma che ha detto, il Fondatore, di così clamoroso? Beh, ha semplicemente scritto, quasi al termine dell’interminabile lectio della domenica, che Papa Francesco è “gesuita al punto d’aver canonizzato pochi giorni fa Ignazio di Loyola”. Avete capito bene. Non ha citato un santo qualunque, magari un missionario attivo nelle foreste sudamericane nel tardo Ottocento. No, ha citato il Santo della Compagnia, il capo (o leader, fate voi) della Societas Iesu, l’ordine amato e odiato, sconfessato e ripudiato, soppresso e resuscitato.
SOLO IMPRECISIONE LESSICALE?
Sbadataggine, si dirà. Comprensibilissima. Di certo, il buon Scalfari intendeva dire Pietro Favre, il compagno di Ignazio che sarà presto canonizzato, come testimonia il decreto papale firmato il 17 dicembre scorso… Invece no, sbagliato. Ma quale Favre! Scalfari ha semplicemente commesso un piccolo errore. La sua, spiega in una nota divulgata da Repubblica.it nel tardo pomeriggio di ieri, “è un’imprecisione lessicale”. Scrive, il Fondatore, che “usando il verbo canonizzare volevo segnalare che Papa Francesco ha sottolineato l’importanza del fondatore della Compagnia di Gesù rendendo in tal modo ancor più marcato il connubio tra la sua venerazione di Sant’Ignazio e la scelta di Francesco d’Assisi che rappresentò una concezione completamente diversa della Chiesa”. Spiegazione di cui non si capisce nulla, non si comprende il senso. In compenso, però, si avverte ben distinto lo stridore sui vetri, il segnale chiaro e incontrovertibile che qualcuno ci si sta arrampicando sopra.
LE ALTRE IMPRECISIONI. LESSICALI?
Ma passi per il lapsus vero o presunto. Nel sermone c’è ben di peggio. Basterebbe il titolo, ma si sa, i titoli sono fatti per accalappiare lettori distratti. Insomma, scrivere che “Papa Francesco ha abolito il peccato” è troppo anche per Eugenio Scalfari, si potrebbe pensare. Invece no. Basta scorrere le righe e leggere il predicozzo per accorgersi che quel titolo è niente di meno che un virgolettato del Fondatore: Bergoglio “è rivoluzionario per tanti aspetti del suo ancor breve pontificato, ma soprattutto su un punto fondamentale: di fatto ha abolito il peccato”. Però, non ce ne eravamo accorti.
LA SCOPERTA (O INVENZIONE?) DI SCALFARI SUL PECCATO ABOLITO
Ma Scalfari argomenta tutto e avverte scettici e insoddisfatti: “I critici di papa Francesco sottovalutano le sue capacità e inclinazioni teologiche, ma commettono un grossolano errore”. E giù di spiegazione sulla legge mosaica e i dieci comandamenti. Fino a dire che “Francesco abolisce il peccato e attribuisce alla persona umana piena libertà di coscienza”. Motivo? “L’uomo è libero e tale fu creato”. E ancora, “la sua anima è libera anche se contiene un tocco della grazia elargita dal Signore a tutte le anime. Quella scheggia di grazia è una vocazione al Bene ma non un obbligo. L’anima può anche ignorarla, ripudiarla, calpestarla e scegliere il male, ma qui subentrano la misericordia e il perdono che sono una costante eterna, stando alla predicazione evangelica così come la interpreta il Papa”.
LA PREDICAZIONE TRASCURATA
Non ha ben capito, evidentemente, quale sia la “predicazione evangelica” di Francesco, visto che il perdono – ça va sans dire – presuppone sempre il pentimento, il ravvedimento, il riconoscimento dei propri peccati. Non risulta, infatti, che il Pontefice argentino abbia abolito quelle paroline che durante la messa arrivano quasi subito dopo il segno della Croce: “Per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati”. Qui Scalfari ammette che “per rivoluzionario che sia, un Papa cattolico non può andare oltre”. Certo, “può abolire l’Inferno, ma ancora non l’ha fatto anche se l’esistenza teologica dell’Inferno è discussa ormai da secoli”. E ancora, “può affidare al Purgatorio una funzione post mortem di ravvedimento, ma si entrerebbe allora nel giudizio sull’entità della colpa e anche questo è un tema da tempo discusso”.
DULCIS IN FUNDO: PAPA ERETICO
Ma il meglio deve ancora arrivare. Scrive infatti l’editorialista di Repubblica che “Francesco non mette in discussione i dogmi e ne parla il meno possibile. Qualche volta li contraddice addirittura”. Quando? “E’ accaduto almeno due volte nel dialogo che abbiamo avuto e che spero continuerà”.  Esempi? “Quando il Papa ha detto che Dio non è cattolico” e che “Dio è lo Spirito del mondo”. In pratica, senza accorgersene, sostenendo che il Pontefice massimo della Chiesa cattolica contraddice i dogmi, gli dà dell’eretico. Pazienza, visto che “resta assodato che per Francesco Dio è misericordia e amore per gli altri e che l’uomo è dotato di libera coscienza di sé, di ciò che considera Bene e di ciò che considera Male”.

Chissà se il buon Bergoglio, nel retiro di Santa Marta, avrà letto con orrore ciò che il suo conoscente Scalfari gli ha messo in bocca. Anche perché viene definito “primus inter pares” con gli altri vescovi quando Francesco stesso chiarì definitivamente che lui è Pietro e sta uno scalino sopra i fratelli nell’episcopato. Come è naturale che sia. Ma al Fondatore di ciò che disse il Papa in omelie, messaggi e discorsi interessa ben poco. Lui è abituato a ricostruire ex post, “a memoria”, le conversazioni avute con gli interlocutori. Aggiungendoci anche qualche balla per romanzare il tutto. Anche se l’interlocutore è il Papa.

30 - 12 - 2013Pietro Di Michele


http://www.formiche.net/2013/12/30/tutte-le-pervicaci-imprecisioni-papa-scalfari-papa-francesco/

Eugenio Scalfari, ovvero: non solo fare proselitismo è sbagliato, ma per dialogare con i non credenti bisogna catechizzarli un po’. Quello che il patinato editorialista di Repubblica ha capito del cristianesimo, dopo gli incontri con papa Francesco, è che il pontefice, nella Evangelii Gaudium, ha addirittura abolito il peccato. Seguiamolo nella sua brillante argomentazione.

Scalfari percepisce uno iato tra il Dio giustiziere dell’Antico Testamento e il Dio di misericordia rivelato da Cristo. Concependo il peccato come la trasgressione dei divieti imposti dalla legge mosaica, conclude che un magistero autenticamente evangelico debba conseguentemente svuotare di senso la nozione di peccato. Peccato – è proprio il caso di dire – che a Scalfari sfugga qualche particolare. Ritiene evidentemente che l’intuizione di una cesura tra il Dio di giustizia e il Dio d’amore sia una novità teologica, scordando che era presente già ai profeti veterotestamentari; così la Legge ha l’aspetto di una palestra dello spirito, in cui l’uomo esercita il cuore ad accogliere un amore liberante attraverso un’educazione metodica: «Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne» (Ez 11, 19).

C’è una continuità nella differenza, che Hegel chiamerebbe Aufhebung e che Cristo inequivocabilmente segnala: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5, 17). Ecco perché il Dio «esecutore di giustizia» di cui Scalfari parla con orrore, è lo stesso Dio «estremamente misericordioso» che gli piace: se non è un’idea di Francesco identificare Dio con l’Amore (chi ha scritto Deus caritas est e chi ha intitolato così un’enciclica?), non è un mistero che l’Amore debba procedere di pari passo con la Verità, affinché la Verità non serva per ferire e l’Amore non sia un caos sdolcinato. È questa la libertà che Gesù riconsegna, emendata, agli uomini – e tanto questa logica dovrebbe abolire la nozione di peccato, che addirittura Cristo si fa uccidere per redimerci! Solo in questo contesto ha senso il celebre motto paolino: «La lettera uccide, lo Spirito vivifica» (2Cor 3, 6), giacché quel che condanna i legalisti farisei non è l’osservare i precetti, ma il trasformare in alienazione quel metodo che dovrebbe insegnare ad amare «in scioltezza». Un po’ come quando s’impara a scrivere: si comincia col riempire le pagine di letterine, per diventare, magari, dei nuovi Scalfari.

Il peccato, allora, non può essere «abolito», perché non è la trasgressione di un comando, ma la scelta consapevole di rinunciare a un legame. Come qualsiasi relazione amorosa, anche il nostro rapporto con Dio è caratterizzato da infedeltà, tradimenti, bugie, litigi, soprusi. Ogniqualvolta noi tradiamo la Sua fiducia, abusiamo della Sua misericordia, deviamo dal Suo cammino, noi pecchiamo. In ciò consiste, si può dire, lo «spirito della lettera»: vivere di, per e con l’Amato. Perciò la trasgressione è peccato: interrompere quella relazione. Non si può abolire il peccato senza abolire l’Amore. Non si può eliminare l’inferno senza privarsi di Dio e della libertà di amarLo. Non è questione di libertà di coscienza e di libera ricerca sulla morale: il papa fa appello alla coscienza non in vece delle Scritture, ma perché la coscienza reca l’indelebile traccia del suo Creatore e sperimenta l’ininterrotta tensione verso di Lui. In tal senso, non stupisce che Francesco parli di un Dio che «è in tutte le anime»: niente a che vedere con il Deus sive Natura, che è invece l’errore di Spinoza nel concepire Dio come Sostanza, a rigore unica, e quindi di fare di Dio il sostrato di tutte le cose. Il creato reca la traccia di Dio (il Tutto è in tutti) ma Dio è trascendente – e senza bisogno di tirare fuori eresie, per comprendere la compresenza di immanenza e trascendenza divine basta pensare alla Trinità.
Smettiamola di fantasticare sulle rivoluzioni di Francesco. Lasciamoci stupire dalla fantasia creativa dello Spirito, che agisce al di fuori degli schemi e dei compartimenti ideologici. Scalfari dialoga con il Papa per concludere che sta dando ragione a lui, ma fino a un certo punto perché è pur sempre un Papa, e che tutto sommato, se non scrivesse su Repubblica, il papa potrebbe farlo lui. Che importa se non ha la fede: si comincia col cassare il peccato e si finisce col cancellare Dio.

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