Il 28 giugno del 1914, a Sarajevo, l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono imperiale, e sua moglie Sofia, furono uccisi in un attentato architettato dalla società segreta della “Mano nera”; il 28 luglio l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia e, per un gioco di alleanze, in breve tempo entrarono in guerra tutte le nazioni europee. Due guerre mondiali, milioni e milioni di morti, il tracollo di quattro grandi Imperi (Austria, Germania, Russia e Turchia), l’avvento del Comunismo e del Sionismo, la fine dell’Europa con la supremazia statunitense: i colpi di pistola di Sarajevo aprirono come un nuovo, infernale, vaso di Pandora, che ancor oggi, a cento anni di distanza, non è stato richiuso. Ma un altro avvenimento, di poco susseguente, ha lasciato una eredità ancora più tragica, al confronto della quale le due guerre mondiali sono poca cosa: la morte del Papa San Pio X, avvenuta il successivo 20 agosto. Certo, quel giorno, o meglio: quella notte, le porte del Cielo e della gloria si spalancarono per il grande Pontefice. Certo, la Chiesa ebbe ancora sul trono di Pietro tre successori per i quali, tutti, valgono le parole di Cristo: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa; conferma i tuoi fratelli; pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Ciò malgrado, è indubbio che la scomparsa del grande Pontefice fu per la Chiesa, umanamente parlando, una sventura più grave della Guerra che per anni avrebbe flagellato l’umanità.
San Pio X era ben conscio del pericolo gravissimo che correvano le anime. Egli aveva combattuto a viso aperto per difendere la Fede, minacciata dalla più terribile delle eresie: il Modernismo. Ed egli sapeva che i modernisti (giacché non c’è errore senza uomini che lo concepiscono e lo diffondono) erano non solo nemici della Chiesa, ma i più dannosi tra i nemici della Chiesa, perché “i loro consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa ma dentro di essa; ond’è che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro” (enc. Pascendi, 1907).
Questi nemici appartenevano non solo al laicato, ma anche – denunciava San Pio X – al ceto sacerdotale. Sette anni dopo, mentre gli illusi, gli adulatori, i falsi amici, gridavano a gran voce che il modernismo era sconfitto e dissolto, che non esisteva più, che ormai apparteneva al passato (leggi: che era inutile continuare a combatterlo), San Pio X, nel suo ultimo Concistoro, l’anno della sua morte, lanciava al contrario un angosciato grido d’allarme: non più solo tra il semplice clero, ma tra i vescovi stessi, ormai, si celavano i modernisti!
Dopo la condanna solenne nell’enciclica Pascendi, i modernisti si erano solamente – tranne i pochi scoperti e colpiti nominalmente, come Loisy – meglio nascosti, “appiattiti”, appunto, aiutati da tanti complici, da tanti cooperatori, da tanti simpatizzanti. Il modernismo fu spezzato ufficialmente nelle sue forze più virulente – negatrici della divinità di Cristo – ma sopravviveva invece e prosperava il modernismo sociale, malgrado la condanna del Sillon e della prima Democrazia cristiana di Romolo Murri. Abbandonato provvisoriamente il campo minato del dogma, il modernista si faceva piuttosto riformatore, e preparava il terreno per il futuro. Là dove il contingente lascia maggior spazio allo spirito riformatore, là lavorava il modernista mimetizzato: nel movimento liturgico ed ecumenico, nell’apologetica e nella filosofia (Blondel), nella spiritualità e nella pastorale (come già gli americanisti condannati da Leone XIII), nell’ambito politico e sociale.
Le grandi questioni della fine del pontificato di Papa Sarto furono eminentemente pratiche: la (a)confessionalità dei sindacati, della stampa e dei partiti cattolici, i rapporti tra Stato e Chiesa. Il nuovo pontificato di Benedetto XV non proseguì – con il cardinal Pietro Gasparri alla Segreteria di Stato – la politica ecclesiastica di San Pio X, e questo non solo perché la grande guerra aveva distolto l’attenzione dai problemi interni della Chiesa.
Antonio Gramsci – lucido nemico della Chiesa e attento osservatore dell’aspetto umano della medesima, l’unico che egli fosse in grado di percepire – studiò nelle sue Note sul Machiavelli i tre “partiti” che si confrontavano allora tra i cattolici: quello modernista, messo all’angolo da San Pio X, quello “integrale” che aveva goduto del pieno appoggio di Papa Sarto che era stato ora abbandonato sotto il nuovo pontificato, e quello da lui denominato “gesuita” che risultava, concretamente, vincitore. Era un “partito” che non era modernista, anzi ne era ufficialmente distante, ma che era tuttavia fermamente deciso a mettere la parola “fine” alla lotta antimodernista di San Pio X, e a ridurre al silenzio quel “cattolicesimo integrale” sostenuto dalla Santa Sede fino al 1914.
La Civiltà Cattolica in Italia, Etudes in Francia, Stimmen aus Maria-Laach in Germania, con la scuola di Colonia, furono tra le prestigiose riviste che sostennero una nuova linea, che si rivelò vincente. Lo scioglimento delSodalitium pianum – l’opera antimodernista di Mons. Umberto Benigni sempre sostenuta da San Pio X – fu ottenuta nel 1922 con una manovra tutt’altro che limpida che prese le mosse, nel 1915, negli ambienti democratici cristiani di Colonia, che fu ripresa in mano dai gesuiti francesi nel 1921 e che trovò nel cardinal Gasparri la sponda indispensabile a Roma; proprio quel cardinal Gasparri che nel 1928 testimoniò contro San Pio X durante il processo di beatificazione del Pontefice che pure lo aveva creato cardinale. Erano i tempi in cui fervevano le trattative tra la Segreteria di Stato ed il governo francese per chiudere con un compromesso diplomatico la frattura inaugurata dalle leggi laiche del 1905 condannate dall’enciclica Vehementer nos di San Pio X (11 febbraio 1906), e che si conclusero con l’enciclica Maximam gravissimamquedel 18 gennaio 1924.
Il governo francese, con un alto tasso di massoni tra i suoi ranghi, non mancò di appoggiare le manovre anti-integriste, e di creare anzi – grazie all’alto funzionario governativo Louis Canet, esecutore testamentario di Loisy – una vera e propria “leggenda nera” contro l’orribile “integrismo” cattolico.
Quando dieci anni dopo, il 27 febbraio 1934, Mons. Benigni morì a Roma, ottanta anni fa, era già da tempo come morto negli ambienti ecclesiastici che contano. Come stupirsene, se nel luglio 1931 il cardinale Arcivescovo di Parigi, Mons. Verdier, poteva dichiarare impunemente che “il Sillon è all’origine del grande movimento sociale contemporaneo… è di fatto il Sillon che ha dato il via a tutte le iniziative giovanili nate in seguito”. Il cardinale parlava dello stesso Sillon di cui San Pio X scriveva: “Il Sillon scorta il Socialismo con l’occhio fisso su di una chimera. (…) d’ora innanzi forma solo un misero affluente del grande movimento di apostasia, organizzato in tutti i paesi, per l’instaurazione di una Chiesa universale che non avrà né dogmi né gerarchia…”.
Come stupirsi se le magnifiche encicliche di Benedetto XV e Pio XI restavano poi lettera morta? Come stupirsi pertanto – umanamente parlando – degli esiti del Vaticano II, aperto da quel Giovanni XXIII che, giovane sacerdote, ebbe a deplorare e subire il pontificato di San Pio X, mentre si entusiasmava nella lettura degli americanisti e del fondatore del Sillon, Marc Sangnier?
La beatificazione di Pio X nel 1951, la sua canonizzazione nel 1954, fortemente volute da Pio XII, che vedeva rinascere nella Nouvelle Théologie il mai spento modernismo, sono stati come l’ultimo suggello della Divina Provvidenza per confortare i cattolici fedeli prima della traversata del deserto spirituale che sembra non avere fine. L’infallibile parola del Vicario di Cristo ci assicura che seguendo le orme di Papa Pio X i cattolici sono sicuri di restare saldi nella Fede, e di poter vincerne tutti i nemici, spirituali e temporali, interni ed esterni, che cercano, invano, di spegnerla, e di metterne per sempre a tacere la voce.
San Pio X, prega per noi, e soccorri la Chiesa che ti fu affidata da Cristo!
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV694_Sodalitium_2014_Centenario_morte_S-Pio-X.html
Questi nemici appartenevano non solo al laicato, ma anche – denunciava San Pio X – al ceto sacerdotale. Sette anni dopo, mentre gli illusi, gli adulatori, i falsi amici, gridavano a gran voce che il modernismo era sconfitto e dissolto, che non esisteva più, che ormai apparteneva al passato (leggi: che era inutile continuare a combatterlo), San Pio X, nel suo ultimo Concistoro, l’anno della sua morte, lanciava al contrario un angosciato grido d’allarme: non più solo tra il semplice clero, ma tra i vescovi stessi, ormai, si celavano i modernisti!
Dopo la condanna solenne nell’enciclica Pascendi, i modernisti si erano solamente – tranne i pochi scoperti e colpiti nominalmente, come Loisy – meglio nascosti, “appiattiti”, appunto, aiutati da tanti complici, da tanti cooperatori, da tanti simpatizzanti. Il modernismo fu spezzato ufficialmente nelle sue forze più virulente – negatrici della divinità di Cristo – ma sopravviveva invece e prosperava il modernismo sociale, malgrado la condanna del Sillon e della prima Democrazia cristiana di Romolo Murri. Abbandonato provvisoriamente il campo minato del dogma, il modernista si faceva piuttosto riformatore, e preparava il terreno per il futuro. Là dove il contingente lascia maggior spazio allo spirito riformatore, là lavorava il modernista mimetizzato: nel movimento liturgico ed ecumenico, nell’apologetica e nella filosofia (Blondel), nella spiritualità e nella pastorale (come già gli americanisti condannati da Leone XIII), nell’ambito politico e sociale.
Le grandi questioni della fine del pontificato di Papa Sarto furono eminentemente pratiche: la (a)confessionalità dei sindacati, della stampa e dei partiti cattolici, i rapporti tra Stato e Chiesa. Il nuovo pontificato di Benedetto XV non proseguì – con il cardinal Pietro Gasparri alla Segreteria di Stato – la politica ecclesiastica di San Pio X, e questo non solo perché la grande guerra aveva distolto l’attenzione dai problemi interni della Chiesa.
Antonio Gramsci – lucido nemico della Chiesa e attento osservatore dell’aspetto umano della medesima, l’unico che egli fosse in grado di percepire – studiò nelle sue Note sul Machiavelli i tre “partiti” che si confrontavano allora tra i cattolici: quello modernista, messo all’angolo da San Pio X, quello “integrale” che aveva goduto del pieno appoggio di Papa Sarto che era stato ora abbandonato sotto il nuovo pontificato, e quello da lui denominato “gesuita” che risultava, concretamente, vincitore. Era un “partito” che non era modernista, anzi ne era ufficialmente distante, ma che era tuttavia fermamente deciso a mettere la parola “fine” alla lotta antimodernista di San Pio X, e a ridurre al silenzio quel “cattolicesimo integrale” sostenuto dalla Santa Sede fino al 1914.
La Civiltà Cattolica in Italia, Etudes in Francia, Stimmen aus Maria-Laach in Germania, con la scuola di Colonia, furono tra le prestigiose riviste che sostennero una nuova linea, che si rivelò vincente. Lo scioglimento delSodalitium pianum – l’opera antimodernista di Mons. Umberto Benigni sempre sostenuta da San Pio X – fu ottenuta nel 1922 con una manovra tutt’altro che limpida che prese le mosse, nel 1915, negli ambienti democratici cristiani di Colonia, che fu ripresa in mano dai gesuiti francesi nel 1921 e che trovò nel cardinal Gasparri la sponda indispensabile a Roma; proprio quel cardinal Gasparri che nel 1928 testimoniò contro San Pio X durante il processo di beatificazione del Pontefice che pure lo aveva creato cardinale. Erano i tempi in cui fervevano le trattative tra la Segreteria di Stato ed il governo francese per chiudere con un compromesso diplomatico la frattura inaugurata dalle leggi laiche del 1905 condannate dall’enciclica Vehementer nos di San Pio X (11 febbraio 1906), e che si conclusero con l’enciclica Maximam gravissimamquedel 18 gennaio 1924.
Il governo francese, con un alto tasso di massoni tra i suoi ranghi, non mancò di appoggiare le manovre anti-integriste, e di creare anzi – grazie all’alto funzionario governativo Louis Canet, esecutore testamentario di Loisy – una vera e propria “leggenda nera” contro l’orribile “integrismo” cattolico.
Quando dieci anni dopo, il 27 febbraio 1934, Mons. Benigni morì a Roma, ottanta anni fa, era già da tempo come morto negli ambienti ecclesiastici che contano. Come stupirsene, se nel luglio 1931 il cardinale Arcivescovo di Parigi, Mons. Verdier, poteva dichiarare impunemente che “il Sillon è all’origine del grande movimento sociale contemporaneo… è di fatto il Sillon che ha dato il via a tutte le iniziative giovanili nate in seguito”. Il cardinale parlava dello stesso Sillon di cui San Pio X scriveva: “Il Sillon scorta il Socialismo con l’occhio fisso su di una chimera. (…) d’ora innanzi forma solo un misero affluente del grande movimento di apostasia, organizzato in tutti i paesi, per l’instaurazione di una Chiesa universale che non avrà né dogmi né gerarchia…”.
Come stupirsi se le magnifiche encicliche di Benedetto XV e Pio XI restavano poi lettera morta? Come stupirsi pertanto – umanamente parlando – degli esiti del Vaticano II, aperto da quel Giovanni XXIII che, giovane sacerdote, ebbe a deplorare e subire il pontificato di San Pio X, mentre si entusiasmava nella lettura degli americanisti e del fondatore del Sillon, Marc Sangnier?
La beatificazione di Pio X nel 1951, la sua canonizzazione nel 1954, fortemente volute da Pio XII, che vedeva rinascere nella Nouvelle Théologie il mai spento modernismo, sono stati come l’ultimo suggello della Divina Provvidenza per confortare i cattolici fedeli prima della traversata del deserto spirituale che sembra non avere fine. L’infallibile parola del Vicario di Cristo ci assicura che seguendo le orme di Papa Pio X i cattolici sono sicuri di restare saldi nella Fede, e di poter vincerne tutti i nemici, spirituali e temporali, interni ed esterni, che cercano, invano, di spegnerla, e di metterne per sempre a tacere la voce.
San Pio X, prega per noi, e soccorri la Chiesa che ti fu affidata da Cristo!
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