Purga fraterna del buon Francesco
Non solo Burke. I cardinali rinnovati sono parecchi e influenti. Era prevedibile (e legittimo). Qui le ragioni dell’amoveatur senza promoveatur. Al centro un’idea di chiesa e le questioni etiche
Non poteva che finire così, dicono oltretevere, commentando la rimozione del cardinale Raymond Burke dalla congregazione per i Vescovi. Troppo distante l’idea di chiesa che ha Francesco da quella dell’insigne canonista portato a Roma da St. Louis da Benedetto XVI e messo a capo del Supremo tribunale della segnatura apostolica.
Il primo, Bergoglio, quasi terrorizzato dalla prospettiva di vedere l’ospedale da campo invaso da preti tristi ridotti a fare da custodi a chiese museo; il secondo, invece, tenace sostenitore della messa tridentina coram Deo, delle mitre aurifregiate e delle cappe magne che non si vedevano più dal Conclave che elesse Paolo VI, cinquant’anni fa, quand’ancora in Sistina i seggi dei porporati erano sormontati dai baldacchini. E poi, l’inconciliabilità di posizioni sui princìpi non negoziabili aveva scavato nel tempo un solco profondo. Se Francesco celebrava sul sagrato di San Pietro l’anniversario dell’Evangelium Vitae citando solo una volta la grande enciclica giovanpaolina sulla tutela della vita dal concepimento alla fine naturale, Burke teneva nelle stesse ore una catechesi sul tema all’Urbaniana. Se il Papa invitava a non ossessionare il popolo di Dio e a parlare di valori non negoziabili solo in determinati contesti, il porporato americano metteva in guardia dai “ceppi virulenti di laicità” che si moltiplicano a vista d’occhio. “Basta leggere un quotidiano o accendere la tv per accorgersi che il cristiano è sempre meno tollerato, che l’ordine del giorno laicista non cessa nei suoi sforzi per mettere in secondo piano, intimidire e soffocare la testimonianza dei fedeli cristiani”, tuonava come un profeta biblico aprendo una conferenza promossa dall’Istituto Dignitatis Humanae. “Non possiamo soccombere a tali tattiche”, proseguiva Burke. Certo, diceva Francesco, la posizione della chiesa su questi temi è nota, non serve ripeterla ogni giorno. Intanto, però, spiegava apocalittico il cardinal prefetto, basta guardare agli Stati Uniti per accorgersi che “i leader politici sono impegnati ormai a sostenere inesorabilmente l’ulteriore liberalizzazione dell’aborto”. Peccato grave che merita pene severe, senza tanti richiami alla misericordia e alla bontà divina: “Non si può riconoscere chi sostiene queste violazioni della legge morale, non si può rendere loro onore. E’ uno scandalo, una contraddizione, un errore”, aggiungeva in un’intervista concessa qualche settimana più tardi a un mensile del Minnesota. Fino allo strappo finale sancito qualche giorno fa in un colloquio con il network Ewtn: “Negare la comunione ai politici cattolici abortisti è assolutamente giustificato; è una questione di disciplina. La santa eucaristia è sacra. E’ il corpo, il sangue e lo spirito di Cristo. Chi sa di essere in stato di peccato non dovrebbe neppure accostarsi alla comunione”. Il tutto corroborato dai dubbi sull’esortazione papale Evangelii Gaudium – “non sono ancora riuscito a trovare il modo esatto per descrivere questo documento, ma non mi sembra possa essere considerato parte del Magistero”. E ancora, il Papa dice che si parla troppo di aborto, nozze gay ed eutanasia? “Non parleremo mai abbastanza di questi temi. Siamo davanti a un massacro di non nati”, rispondeva Burke.
Punti di vista diametralmente opposti, dunque. Tra i due non c’è quella sintonia che era forte tra il canonista e Ratzinger, che sovente chiedeva al cardinale americano di indicargli qualche candidato idoneo all’episcopato degli Stati Uniti. In un editoriale, il Los Angeles Times si domanda se non si stia assistendo a una purga di cardinali conservatori – oltre a Burke sono stati sollevati dall’incarico anche Piacenza e Bagnasco – tanto da mettere in dubbio la porpora per Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia e primo, lo scorso luglio, a contestare pubblicamente il nuovo corso inaugurato da Bergoglio: “Penso che il Papa non abbia intenzione di essere coinvolto in questioni politiche”, diceva Chaput. “Ma questioni come l’aborto e il matrimonio non sono questioni politiche. Sono questioni di dottrina e morale. E noi vescovi, tutti, dobbiamo parlare di queste cose”.
Le scelte di Francesco circa declassamenti e promozioni alla congregazione per i Vescovi, commentava sul New York Times lo storico Alberto Melloni, stanno a significare che “non serve essere conservatori per diventare vescovi”. La rimozione di Burke, ad esempio, denota semplicemente la volontàlegittima del Pontefice di dare vita a una nuova “generazione episcopale”, aggiungeva il vaticanista John Allen. Una generazione ben diversa da quella cresciuta negli ultimi decenni.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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