ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 23 gennaio 2014

Arriva la tempesta?

Chiesa, arriva la tempesta

La requisitoria del “vicepapa” operativo, il cardinale Maradiaga, contro le resistenze conservatrici. Toni duri e beffardi contro chi custodisce la dottrina e i nemici di Francesco

Pubblichiamo la traduzione dell’intervista che il cardinale honduregno Oscar Rodríguez Maradiaga, uno dei più stretti collaboratori di Papa Francesco e coordinatore del gruppo incaricato di riformare la curia romana, ha rilasciato il 20 gennaio scorso al quotidiano tedesco Kölner Stadt-Anzeiger.
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Signor cardinale, i sostenitori così come i detrattori di Papa Francesco si chiedono, dopo un anno dall’inizio del suo pontificato, quali siano i progetti del Papa riguardo alla chiesa. 

Oscar Rodríguez Maradiaga: Sono più che sicuro che ci troviamo all’inizio di una nuova èra. Molto simile a quella di cinquant’anni fa, quando Papa Giovanni XXIII spalancava le finestre della chiesa, per farvi entrare aria fresca. Papa Francesco vuole far imboccare alla chiesa quel cammino che lo Spirito Santo sta indicando anche a lui: cioè essere più vicino agli uomini, non ergersi sopra di loro ma vivere dentro di loro. Non va mai dimenticato che la chiesa non è semplicemente un’istituzione creata dall’uomo, ma è opera divina. Io sono sicurissimo che la scelta del marzo 2013 sia stata anche opera divina. Perché se fosse dipeso solo dall’uomo, allora Papa sarebbe diventato qualcun altro.
Ma cosa vuole il Papa concretamente?
Maradiaga: Per quel che riguarda le gerarchie ecclesiastiche – a cominciare da vescovi e sacerdoti – innanzitutto uno stile di vita e di conduzione della chiesa più sobrio. Non dobbiamo starcene nei nostri uffici, in attesa che le persone vengano da noi. Siamo noi che dobbiamo andare da loro. E questo è un modo nuovo di vedere le cose. Anzi, a dire il vero nuovo non è. Già Gesù lo insegnava. Ma noi ce ne siamo spesso dimenticati.
Il che vuol dire, che la cura delle anime viene prima di tutto?
Maradiaga: Sì, più cura pastorale che dottrina. L’insegnamento ecclesiastico, la teologia sono dati oramai assodati. A noi tocca ora far sì che con questi strumenti si raggiungano anche le persone semplici. Un altro punto, non meno importante per il Papa, è quello della misericordia, con la quale la chiesa opera nel mondo e aiuta i più bisognosi.
Una chiesa “misericordiosa” non deve cambiare il proprio insegnamento, considerato da molti tutt’altro che “misericordioso”? Basta pensare come la chiesa si pone verso i divorziati risposati!
Maradiaga: La chiesa è vincolata dai comandamenti divini. E per quel che riguarda il matrimonio Cristo dice: ciò che il Signore ha unito l’uomo non può separare. Sono parole che non si discutono. Si possono però interpretare. Se un matrimonio naufraga, ci possiamo per esempio chiedere: erano questi sposi veramente uniti nel Signore? Insomma, c’è ancora molto spazio per una comprensione più profonda. Senza per questo pensare che quel che oggi è nero domani sarà bianco.
Papa Francesco ha voluto chiedere ai cattolici, cosa pensano dell’insegnamento della chiesa a proposito di famiglia e morale sessuale. Quali conclusioni trarrà ora il sinodo dei vescovi di quest’anno riguardo a questi temi e alle risposte raccolte? Quelle raccolte nell’arcivescovado di Colonia, raffigurano una chiesa anacronistica e lontana dalla gente. 
Maradiaga: Ho chiesto al Papa: “Ma perché di nuovo un sinodo sulla famiglia? Ne abbiamo già tenuto uno nel 1980, e poi c’è la bellissima esortazione apostolica del 1983 di Papa Giovanni Paolo II ‘Familiaris consortio’”.
E cosa ha risposto Francesco?
Maradiaga: Che sono passati già 30 anni. Quel genere di famiglia oggi non esiste quasi più. E ha ragione. Ci sono i separati, le famiglie allargate, molti allevano i figli senza un partner; c’è il fenomeno delle maternità surrogate, e ci sono i matrimoni senza figli. E non vanno dimenticate le unioni tra persone dello stesso sesso. Nel 1980 di quest’ultime nemmeno si aveva sentore. Sono situazioni che richiedono risposte adatte al mondo di oggi. Non basta certo dire: beh, per tutto questo c’è la dottrina. Vero, e quella resterà, ma la sfida pastorale richiede risposte al passo con i tempi. Risposte che non possono più fondarsi sull’autoritarismo e il moralismo. Qui non stiamo parlando di “nuova evangelizzazione. Proprio no!”.
Il suo confratello e futuro cardinale Gerhard Ludwig Müller, nonché prefetto della congregazione della Fede, sembra tenere maggiormente in considerazione l’autorità della chiesa.
Maradiaga: (ride) Ho letto. E ho pensato: “Potresti avere ragione, ma anche torto”. Voglio dire, lo capisco. E’ un tedesco, e per giunta un professore, un professore di Teologia tedesco. La sua mentalità concepisce solo il giusto e lo sbagliato. Basta. Io però rispondo: “Fratello mio, il mondo non è così. Dovresti essere un po’ più flessibile nell’ascoltare i punti di vista altrui. Così non finisci per ritrovarti a dire solo altolà, qui è il muro e oltre non si va”. Ma penso che ci arriverà anche lui. Al momento è ancora agli inizi, e ascolta molto i suoi più stretti collaboratori.
Pensa di offrirgli i suoi consigli?
Maradiaga: Mah, fino a ora non ci siamo ancora parlati. Ma parleremo, senza dubbio. E’ sempre positivo intrattenere un dialogo proficuo.
Giusto la settimana scorsa si è incontrato con il Papa. A che punto sono le riforme strutturali che il Pontefice si attende da questa commissione che ha voluto fosse composta da lei e da altri sette cardinali?
Maradiaga: E va bene, cambiamo argomento! Certo, ci sono molte cose che devono cambiare nella chiesa. Lo sa il Papa, lo so io, e anche il Collegio cardinalizio ne era consapevole quando si è riunito in Conclave nel 2013. Le strutture devono essere al servizio delle persone. E se il mondo cambia velocemente, le strutture ecclesiastiche, della curia, devono riuscire a stare al passo con i mutamenti. E’ un compito piuttosto complesso. Stiamo raccogliendo pareri ed expertise. Poi faremo un passo dopo l’altro.
Il primo passo qual è?
Maradiaga: Al primo posto dell’agenda si trova il sinodo dei vescovi, che secondo il volere del Papa deve essere uno strumento di guida collegiale maneggevole, efficace, e non solo un meeting ogni tre anni a Roma. Poi ci si occuperà dei cambiamenti necessari nella segreteria di stato, visto che in passato ci sono state molte lamentele sul modo di lavorare di questo organismo. Nella precedente riunione della commissione, in dicembre, ci siamo occupati anche dei diversi dicasteri presenti in Vaticano. Noi proponiamo di istituire anche una congregazione per i laici. C’è la congregazione dei vescovi, quella dei sacerdoti, quella dei confratelli, ma non dei laici. Per loro c’è solo un Consiglio pontificio. E sì che sono proprio i laici a costituire la stragrande maggioranza del popolo di Dio.
Le amministrazioni sono normalmente nemici naturali di qualsiasi riforma. Lei ha sperimentato diffidenza, preclusione o resistenza da parte della curia nei confronti della sua commissione?
Maradiaga: Sì, certo. Per quanto nella curia stessa si trovano anche molte persone che dicono: così non si può più andare avanti. Queste ci sostengono avanzando le loro proposte. La curia non è un blocco monolitico. Alla fine delle nostre considerazioni ci sarà una nuova costituzione per la curia che prenderà il posto della costituzione apostolica Pastor Bonus del 1988 di Papa Giovanni Paolo II. Insomma si tratterà di qualcosa di completamente nuovo, e non solo di adattamenti o modifiche.
Non teme che al Papa, che ha 77 anni, non resti sufficiente tempo per portare a compimento tutti questi cambiamenti? 
Maradiaga: Da una parte credo che si sia già raggiunto un “point of no return”. Dall’altra, vedo l’energia che abita il Pontefice, un’energia che mi stupisce ogni volta.  Prima del Conclave ci eravamo parlati e lui mi aveva detto: “A proposito, ho già inoltrato le dimissioni”. E invece dal Conclave è uscito Papa. E da allora è come trasformato.
Anche se si dice che abbia problemi polmonari.
Maradiaga: Si è trattato di propaganda negativa, con la quale qualcuno dell’“inner circle” gli voleva nuocere prima del Conclave. Io stesso una volta, durante un pranzo ho toccato l’argomento salute, ho accennato al fatto che avesse solo un polmone e fosse dunque fisicamente debilitato. Lui allora si era messo a ridere: “Mah, che! Ho avuto una cisti nella parte alta del polmone sinistro. La cisti è stata operata, fine della storia”. A quel punto mi sono alzato e sono andato di tavolo in tavolo dicendo: “Ascoltatemi bene, chi tra di voi va in giro dicendo che Bergoglio ha solo un polmone, si sbaglia di grosso”.
Il filo diretto che ha con Francesco e la sua prontezza nelle risposte, la rendono agli occhi di alcuni cattolici conservatori un “terribile capo consigliere”. La sua commissione viene chiamta “la clique degli otto” di Bergoglio & Co. Tutto questo farebbe pensare a un fronte compatto anti Bergoglio.
Maradiaga: Compatto forse, ma non numeroso. La maggior parte dei cattolici sostiene il Pontefice. I suoi avversari sono persone avulse dalla realtà. Prendiamo le reazioni che si sono registrate in alcuni ambienti economici americani, alla critica sul capitalismo contenuta nell’enciclica di Francesco “Evangelii Gaudium”. Ma chi è che sostiene ancora che il capitalismo sia un sistema perfetto? Chi è stato maggiormente colpito dalla recente crisi finanziaria? Certo non i ceti benestanti americani o europei. E questa crisi non è stata l’invenzione della teologia della liberazione e nemmeno la conseguenza dell’“opzione preferenziale dei poveri”. Sbaglia chi non critica il capitalismo. E non il Papa. Ma se vogliono, lo attacchino pure, si arrabbino pure con lui. Io cerco di seguire la mia coscienza.
Il Papa auspica una “chiesa povera”. La chiesa tedesca è ricca. Molto ricca. Ma può rimanere “una chiesa ricca”, fintantoché con i suoi soldi aiuta i poveri? 
Maradiaga: Aiutare i poveri non vuol dire essere poveri. Quello che conta è dividere veramente ciò che si ha con il prossimo. Lei ha ragione, la chiesa tedesca è ricca – ricca di storia, di cultura, di meravigliose opere d’arte. Ed è necessario che preservi tutto questo. Saremmo pazzi se volessimo dare l’assalto ai quadri, come si fece in epoca medievale.
Non dimentichi la tassa ecclesiastica!
Maradiaga: Questo è un altro aspetto della ricchezza. I tedeschi, noti per le loro doti organizzative, hanno optato per questo sistema di finanziamento. E non sta certo a me criticarlo. Quello che vedo, invece, è che la chiesa tedesca ha un occhio vigile, un cuore aperto, e che usa la propria ricchezza per aiutare il prossimo. Non ci sono altre parrocchie al mondo che aiutano più di quelle tedesche. Questo va detto. E io, non essendo tedesco, sono sicuramente la persona più adatta a sottolineare questo aspetto positivo.
Vuol dire che la chiesa tedesca ha un’opinione troppo negativa di sé?
Maradiaga: Forse sbaglia nel valutarsi. Prendiamo la diocesi di Limburg. Certo che soffro insieme ai cattolici tedeschi per i problemi venuti alla luce lì. Ma si tratta di un caso singolo! Ed è probabile che nonostante tutto anche questo caso abbia qualcosa di positivo. In spagnolo si usa dire che non vi è nulla dal quale non scaturisca anche qualcosa di buono.
E cosa ci sarebbe di buono in questo caso?
Maradiaga: Che tra le gerarchie ecclesiali si sia fatta larga la consapevolezza, che un po’ di cose vanno cambiate, e non solo a Limburg.
Secondo lei il vescovo Franz-Peter Tebartz-van Elst tornerà nella sua diocesi?
Maradiaga: No, non credo proprio. Quando uno sbaglia deve assumersene la responsabilità, scusarsi e cercarsi un altro posto. So che ci sono numerosi fedeli della diocesi di Limburg, profondamente feriti dal comportamento del vescovo. E le ferite non si rimarginano certo spargendovi sopra sale.
Anche il Papa è di questo avviso?
Maradiaga: E’ evidente che tra la sua esortazione per una chiesa povera e il suo stile di vita personale c’è sempre stata coerenza, indipendentemente che fosse padre gesuita, arcivescovo e ora Papa.
Con questo vuol dire che ha poca comprensione per residenze vescovili opulente ed eccentriche vasche da bagno? 
Maradiaga: Per persone come lui, o come me, che vengono dall’America latina è difficile capire. Certo il tenore di vita tedesco è diverso dal nostro. Ciò nonostante molte delle cose di cui ho sentito parlare mi paiono inutili. Credi che una doccia, una toilette, possano bastare. Perlomeno bastano alla maggioranza delle persone. E bastano anche al Papa, nel suo appartamento di tre stanze, come ben saprà. A me è piaciuto molto quello che il Pontefice ha detto in occasione della festa dei morti. “Non ho mai assistito a un funerale con la bara seguita da un camion dei traslochi”.
(traduzione di Andrea Affaticati)

Piccola mappa di una disputa globale, aspra e forte

Il capo della commissione che consiglia il Papa sul governo della chiesa universale contro il capo del Sant’Uffizio. Il tutto a mezzo stampa e senza averne prima parlato con il diretto interessato – “il che è un po’ sorprendente”, nota il vaticanista Marco Tosatti. Oscar Maradiaga, l’ascoltatissimo (a Santa Marta) porporato honduregno, salesiano, strenuo nemico del capitalismo e dei grandi circoli finanziari mondiali, suggerisce a Gerhard Müller, che Hans Küng aveva bollato come il “nuovo Ottaviani” (dal nome di un celebre principe della chiesa di Pio XII che capeggiò i conservatori durante il Concilio), di mostrarsi più flessibile. “E’ tedesco, un teologo tedesco, per lui esistono solo giusto e sbagliato”, diceva il presule al quotidiano Kölner Stadt-Anzeiger. Non ha vie di mezzo, insomma, e lo si vede bene dalla sua posizione sui divorziati risposati, questione sulla quale curia ed episcopati nazionali non se le sono mandate a dire in vista del sinodo straordinario sulla famiglia in programma il prossimo ottobre. L’attacco di Maradiaga a Müller – dice al Foglio il vaticanista dell’Espresso, Sandro Magister – spiega come “una parte dell’alta gerarchia si senta ormai autorizzata a usare con coloro che sono individuati come i tutori dell’ordine e della dottrina, la stessa disinvoltura mostrata su più fronti dal Papa in questi mesi. Diciamo che c’è un clima generale che incoraggia queste uscite”.
Il tema scelto per il sinodo è di quelli forti, capaci di esasperare gli animi e portare allo scontro, ma che “alla fine, però, considerata la mole di istanze messe sul tavolo, potrebbe  perfino portare al nulla, a nessuna conclusione”, ipotizza Magister. D’altronde, Robert Zollitsch, capo dei vescovi tedeschi, l’aveva detto: “Al sinodo sulla famiglia faremo sentire la nostra voce”. Da quando Papa Francesco ha indetto l’assise sulla pastorale familiare, c’è stata la corsa a invocare la svolta, a riprendere in mano un tema affrontato l’ultima volta da Giovanni Paolo II trent’anni fa, con l’esortazione Familiaris Consortio, figlia del sinodo del 1980. Di tempo, da allora, ne è passato. Quel modello di famiglia non esiste quasi più, tra genitori non sposati, figli che nascono sempre meno. E poi ci sono le famiglie patchwork, assillo del cardinale principe Christoph von Schönborn. Da Friburgo, un ufficio diocesano subito annunciava la riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti: “La fiducia e la misericordia di Dio vale anche per coloro il cui progetto di vita è fallito”, facevano sapere dalla diocesi tedesca. Tutto giusto, se non fosse che “la misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della chiesa”, scriveva sull’Osservatore Romano del 23 ottobre il prefetto custode della fede, monsignor Gerhard Müller. “Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia”, aggiungeva il teologo scelto da Benedetto XVI e tra i primi, lo scorso settembre, a essere confermati stabilmente nell’incarico da Francesco.
Immediate furono le reazioni a quella che sembrava una chiusura del Sant’Uffizio alle aperture papaline annunciate durante il volo aereo dello scorso luglio (compresa la prassi ortodossa di concedere ai divorziati una seconda possibilità). Sempre dalla Germania, l’arcivescovo di Monaco Reinhard Marx invitava il collega Müller a stare al proprio posto, ricordandogli che non era compito suo troncare dibattiti aperti da altri e che di tutte le questioni all’attenzione del sinodo – “che richiedono una risposta necessaria e urgente” – si sarebbe discusso in “modo ampio, con risultati che ora non so prevedere”. E poi basta parlare sempre di princìpi non negoziabili, ci vuole più flessibilità, appunto. E se qualche cardinale curiale come l’americano Raymond Burke faceva presente che quello espresso dal prefetto custode dell’ortodossia non era affatto un parere personale bensì “l’insegnamento della chiesa, che non può essere cambiato”, altri rispondevano con le citazioni estrapolate dall’intervista concessa dal Papa alla Civiltà Cattolica la scorsa estate: “Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto”. Parole che segnalavano un cambio di priorità nell’agenda papale, come per altro si era già capito dai rari accenni di Francesco ai temi dell’Evangelium Vitae durante la giornata dedicata (lo scorso giugno) alla grande enciclica giovanpaolina in difesa della vita. Certo, il Papa ha usato parole violente contro il crimine di uccidere i bambini non nati, ha incoraggiato i fedeli francesi a continuare la loro battaglia antiabortista. Ma la priorità ora è la missione, l’uscita in periferia, e la “pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza”. Ciò che serve è “un nuovo equilibrio”. Un cambio di marcia avvertito particolarmente e con conseguente spaesamento negli Stati Uniti, il contesto dove più negli anni si era acuito lo scontro tra stato e chiesa sulla triade non negoziabile. Dai pulpiti delle cattedrali, arcivescovi come Timothy Dolan si scagliavano contro le nozze gay, la riforma sanitaria promossa da Obama, l’aborto. E neppure il successore del cardinale di New York, il “moderato” Joseph Kurtz, ha cambiato le cose, anzi. Se da Roma il Papa predica attenzione ai poveri e la necessità di convertire i cuori, in America i vescovi scrivono lettere di fine anno alla Casa Bianca in cui accusano il presidente di mettere a rischio la libertà di professare liberamente la propria religione con l’Obamacare. La linea è dovuta anche al fatto “che la grande maggioranza dell’episcopato americano è conservatore ed è unito nella difesa dei princìpi non negoziabili”, dice Magister. E così sull’aborto, con la Spagna che irridisce la propria normativa e i cattolici francesi che scendono in strada esponendo beffardamente cartelli con su scritto “Sono incinta, e se lo tenessi?”. Il caso francese, aggiunge il vaticanista dell’Espresso, “rappresenta il caso opposto rispetto a quello americano. Qui si fanno le marce, si scrivono appelli, la resistenza dei fedeli c’è ed è forte. Il problema è che i vescovi, qui, non sono una presenza significativa”.

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