Homo quidam erat dives, qui habebat villicum: et hic diffamatus est apud illum quasi dissipasset bona ipsius (Lc. XVI, 2).
Il pauperismo di maniera del postconcilio ci ha imposto una visione demagogica che stride con la magnificenza della Chiesa Cattolica d'un tempo, che mai trascurò i poveri ed anzi fu promotrice di istituzioni ed Ordini religiosi con finalità caritative ed educative, le cui sedi rimangono ancora oggi, per mole e imponenza, come un monito severo alle loro versioni moderne.
In tutte le nostre città possiamo ammirare ospedali, orfanotrofi, istituti per le zitelle, scuole ed ospizi - tutti incamerati dallo Stato assieme al loro enorme patrimonio finanziario, artistico e culturale - che se da una parte erano destinati appunto a soccorrere i bisognosi, dall'altro non trascuravano le arti e il gusto del bello.
Oggi invece si preferisce abbassare ed umiliare gli alti valori del Cattolicesimo alla fruizione dei semplici, banalizzando la dottrina, sfrondando la morale, profanizzando la liturgia, appiattendo l'espressione artistica: questa tendenza pseudodemocratica finisce per annullare il divario tra vero e falso, tra buono e cattivo, tra giusto e sbagliato, tra bello e brutto, tra ricco e povero, tra colto e incolto; e questo processo viene imposto a danno di chi non ha. Diremmo anzi che questa mentalità distruttrice trova in costoro delle vittime, piuttosto che dei beneficati.
Il bambino abbandonato alla ruota di un convento poteva crescere in un palazzo in cui mai avrebbe abitato per esservi educato cristianamente; il povero accolto nell'ospizio riceveva il nutrimento del corpo e dell'anima, circondato da affreschi e quadri di grandi pittori; la ragazza periclitante era protetta dal mondo ed istruita al bello da concerti e composizioni sacre di musicisti famosi; il diseredato poteva assistere ad una liturgia che lo faceva sentire cittadino della Gerusalemme celeste, membro della Chiesa universale; il giovane meritevole senza mezzi era in grado di accedere ad una formazione superiore in conventi e scuole che avevano tra i propri insegnanti figure di grande dottrina e spiritualità. De stercore erigens pauperem, ut collocet eum cum principibus: sollevando dalla polvere il povero, per collocarlo assieme ai principi.
La mentalità rivoluzionaria, che ha in odio tutto ciò che direttamente o indirettamente richiama valori trascendenti ed ispira l'elevazione dell'intelletto e della volontà a Dio, nutre un'invidia distruttrice verso il vero, il buono, il bello, e finisce per abbassare i prìncipi senza sollevare gli umili. Questa avversione si è prima esplicitata a livello civile, per poi essere applicata a livello religioso e spirituale.
Questa strana democrazia, che toglie ai divites per nulla dare ai pauperes, ha trovato nella chiesa postconciliare un valido alleato, ed oggi ci si sente in imbarazzo a parlare di magnificenza, di splendore, di fasto della Chiesa del passato, quasi si tratti non di pregi encomiabili, ma di colpe finalmente corrette dalla mentalità conciliare. Così come il cosiddetto trionfalismo ha trovato nella fraintesa nobilis pulchritudo il proprio contraltare.
Il postconcilio ha di fatto permesso, in spregio a qualsiasi legge civile e canonica, di portare a compimento l'opera di distruzione materiale del grande edificio cattolico: gli antiquari di tutta Europa si sono arricchiti illecitamente - e con essi chierici senza scrupoli - comprando preziosi paramenti e suppellettili sacre, pale d'altare e candelieri, calici ed ostensori, inginocchiatoi e mobili da sacristia, reliquiari e statue. Un vero e proprio furto sacrilego, ai danni non solo della Chiesa, ma anche di quanti, con grandi sacrifici, ricchi e poveri, avevano offerto a Dio il meglio. La primavera conciliare ha svuotato i seminari, i conventi e le chiese, oggi venduti per esser trasformati in condomini, ristoranti, alberghi. Senza parlare del danno culturale, che non rende più leggibili quei beni, estrapolandoli dal contesto al quale erano destinati; e che confina in musei o case privati tesori che prima erano accessibili a tutti.
Inutile dire che nessuno potrà mai ricostituire il patrimonio svenduto a cuor leggero da chierici senza scrupoli e senza fede; anzi è evidente che questo smantellamento ha per scopo principale proprio quello di cancellare i segni di un glorioso passato e soprattutto di impedire che questo passato possa in qualche modo ritornare o, peggio, essere rimpianto.
Quello che non hanno fatto i barbari, i lanzichenecchi, i giannizzeri, i Francesi e i rivoluzionari durante i secoli scorsi, sono riusciti a farlo in qualche anno i parroci e i priori del postconcilio. E dall'interno.
Quello che non hanno fatto i barbari, i lanzichenecchi, i giannizzeri, i Francesi e i rivoluzionari durante i secoli scorsi, sono riusciti a farlo in qualche anno i parroci e i priori del postconcilio. E dall'interno.
Il danno è incommensurabile, ma si tratta pur sempre di cose materiali che, in uno sguardo soprannaturale, hanno comunque un valore limitato, anche se potevano costituire un mezzo di edificazione. Danno ben maggiore si è avuto, e si ha tuttora, quando lo smantellamento riguarda le cose spirituali.
Con lo stesso atteggiamento superficiale che ha contraddistinto l'alienazione dei tesori della Chiesa, moltissimi chierici svendono anche la Fede, la Morale, la Liturgia: si tratta anche in questo caso di una vera e propria alienazione, poiché essi non sono proprietari del depositum fidei, esattamente come non lo sono dei vasi sacri e delle suppellettili delle chiese.
Si dà quindi per scontato, con un comportamento invero classista e paternalistico, che il semplice non possa ascendere alla contemplazione delle verità eterne, per cui lo si priva della millenaria preghiera della Chiesa e gli si propina un pastone di luoghi comuni e di solidarismo spiccio in cui possa riconoscersi; niente latino, quindi; niente gregoriano, niente paramenti preziosi: che rimanga nella sua ignoranza religiosa a sentirsi indottrinare al verbo progressista, surrogato della verità. E si accontenti anche delle sforbiciate sulla dottrina, sulla morale, sulla spiritualità, sostituite con vacuitàad usum haereticorum, col vantaggio di allargare il numero degl'ingannati anche a quanti, errando nelle tenebre dell'errore e separati dalla comunione con l'unico Ovile cattolico, dovrebbero esser istruiti nelle sante verità della Fede e nel rischio di dannazione che corrono.
L'amministratore infedele - cui il Padrone chiederà conto: redde rationem villicationis tuae (Lc. XVI, 2) - ha usurpato un potere che non gli è proprio e si è permesso di svendere un tesoro che non gli appartiene, disponendone a proprio piacimento. C'è da chiedersi se, in questi saldi di fine stagione non voglia toglier di mezzo anche quelle scomode verità che lo rendono inviso al mondo e che, laddove invece affermate e predicate, mostrerebbero la grande contraddizione dell'infedeltà di cui si è macchiato, quasi dissipasset bona ipsius.
Arriverà il momento in cui l'amministratore infedele dovrà chiedersi: Quid faciam? quia dominus meus aufert a me villicationem. Fodere non valeo, mendicare erubesco (Lc. XVI, 3). Non stupiamoci se egli si comporta in questo modo: sta facendosi amici de mammona iniquitatis, affinché possa trovare accoglienza nelle loro case, quando sarà licenziato dal padrone.
Perché, questo è certo, prima o poi sarà cacciato.
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