ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 27 gennaio 2014

Papa dixit: Internet «dono di Dio»

Papa Francesco, però, è andato oltre. Molto oltre. E nella sua ansia di mostrarsi al passo coi tempi e, quindi, bendisposto anche verso i social network (sia pure con le numerose raccomandazioni su cui ci si sofferma nel messaggio integrale) non ha resistito alla tentazione di attribuire la nascita di Internet direttamente a Dio. Manco se Lui fosse apparso in sogno ad alcuni prescelti e, dopo averli illuminati a dovere, li avesse specificamente incaricati di diffondere il Verbo ai quattro angoli del mondo. Al posto di Lourdes, o di Fatima, i laboratori dell’Arpa, la Advanced Research Projects Agency che diede inizio al progetto, o il “mitico” garage dei fondatori di Google. Al posto di Bernadette o dei tre pastorelli, i tecnici al soldo del Pentagono o i giovani genietti del computer al soldo di sé stessi.
Ma questa è solo la versione sarcastica, e con tutta la sua apparente virulenza non fa che restare in superficie. Quando invece, nella sconcertante sortita del papa, ci sono delle implicazioni ben più profonde che vanno indicate, sviscerate, denunciate. La chiave di volta è la pretesa, strisciante, di ricondurre Internet sotto l’egida della Chiesa: premesso che è«un dono di Dio», da un lato la gratitudine nei Suoi confronti andrà riverberata su chi Lo rappresenta su questa terra, mentre dall’altro ci si dovrà attenere, nell’utilizzo, alle indicazioni provenienti dal clero cattolico, dal papa in giù. Nobilitato al sommo grado, e però in astratto, lo strumento in quanto tale, il passaggio successivo consiste nello spostare l’attenzione sul suo uso concreto, dove l’aura divina cede il passo alle prescrizioni ecclesiastiche. Quello di Papa Francesco – ma forse sarebbe meglio dire del cardinale Bergoglio, e ricordare che nel suo passato, e dietro quel suo candore tanto insistito, ci sono 55 anni nell’ordine dei Gesuiti e un percorso di studi tutt’altro che sommari, visto che come si legge nella sua nota biografica ufficiale «fra il 1964 e il 1965 è professore di letteratura e psicologia nel collegio dell’Immacolata di Santa Fé e nel 1966 insegna le stesse materie nel collegio del Salvatore a Buenos Aires. Dal 1967 al 1970 studia teologia laureandosi sempre al collegio San Giuseppe» – è un tipico esempio di captatio benevolentiae: prima si elogia ciò che appassiona l’uditorio, allo scopo di stabilire un legame empatico potente, e nelle intenzioni definitivo, dopo di che si prova a ricondurre la simpatia ottenuta, che sembra inscriversi in un rapporto tra pari, nell’alveo della propria autorità, che implica una funzione di guida. E quindi di condizionamento.
L’altra grande zona d’ombra, che non si può certo imputare specificamente alla Chiesa ma nella quale essa non manca di insinuarsi, è la scarsa o nulla consapevolezza, da parte di tantissimi utenti della Rete, delle insidie connaturate a questo tipo di medium. Le sottolineature contenute nelle riflessioni papali sono per lo più delle quasi banalità, e il fatto stesso che chissà quanti non le abbiano già acquisite attesta il fallimento dell’istruzione di massa, ma non sono che il prologo del vero punto d’arrivo. Le bonarie avvertenze che occupano gran parte del testo preparano il terreno alla semina autentica: «La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane. La neutralità dei media è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento. Il coinvolgimento personale è la radice stessa dell’affidabilità di un comunicatore. Proprio per questo la testimonianza cristiana, grazie alla rete, può raggiungere le periferie esistenziali».
L’evangelizzazione 2.0, in teoria. Il marketing vaticano del Terzo millennio, in pratica.
Federico Zamboni

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