Morale cattolica? Roba vecchia.
La chiesa deve cambiare il suo atteggiamento sulla morale sessuale. E’ il 2014 d. C., da un pezzo siamo nel Terzo millennio. Impensabile che Roma contempli solo celibato e matrimonio come alternative che danno senso alla vita. A scriverlo, nero su bianco, sono alcuni tra i più eminenti rappresentanti dell’Associazione dei teologi morali di Germania e della Conferenza dei teologi pastorali di lingua tedesca. A essere coinvolte sono le università di Münster, Tubinga, Friburgo. Nel documento si chiede un superamento della dottrina basata sul dare un giudizio morale circa gli atti sessuali degli individui.
“E’ tempo di adottare un nuovo paradigma, fondato sulla fragilità del matrimonio e le esperienze personali in campo sessuale”. Insomma, Roma deve capire che è giunta l’ora di considerare il matrimonio non più come “un obbligo, bensì come un’istituzione che protegge la fragilità delle persone, la loro vulnerabilità”. A chiederlo, specificano i diciassette firmatari dell’appello, non sono tanto loro, quanto i fedeli. Per farsene un’idea, basta scorgere le prime risposte al questionario proposto alle diocesi del mondo in vista del Sinodo straordinario sulla famiglia del prossimo ottobre: in generale, si invoca un cambio di passo, una svolta. Più misericordia e meno bastone, un po’ come chiede da tempo la maggioranza dei vescovi tedeschi. “Gli insegnamenti della chiesa non sono accettati nella pratica e spesso non sono connessi alla realtà”, continuano i teologi morali nel loro documento: “Appare evidente che l’insegnamento morale cristiano che limita la sessualità al contesto del matrimonio non dà la giusta importanza alle tante forme di sessualità al di fuori di esso”. Il testo recepisce parte di quanto sostenuto nei mesi scorsi dal capo dell’episcopato tedesco, mons. Robert Zollitsch, che di famiglia e pastorale matrimoniale parlerà a fine mese, nel corso del consiglio permanente della Conferenza episcopale in programma a fine gennaio. L’obiettivo è quello di arrivare a dare il via libera al riaccostamento dei divorziati risposati ai sacramenti, come prevedeva un documento diffuso lo scorso autunno dall’ufficio per la cura delle anime della diocesi di Friburgo. Un testo che il prefetto della Dottrina della fede, il tedesco Gerhard Müller, voleva fosse ritirato, senza successo. Per Zollitsch e Marx, il cardinale arcivescovo di Monaco e Frisinga, chi doveva rivedere le proprie posizioni era proprio lui, il custode dell’ortodossia cattolica messo all’ex Sant’Uffizio da Ratzinger e confermato da Bergoglio. Uno scontro aperto e violento, al punto che – ne ha dato notizia qualche giorno fa il quotidiano bavarese Passauer Neue Presse – un gruppo di vescovi locali avrebbe chiesto con tatto e delicatezza a Francesco di depennare il nome di Müller dalla lista dei prossimi cardinali. A corredo della singolare petizione, un rapporto pubblicato sul settimanale Zeit in cui si definiva il prefetto come uno tra i più “ostinati avversari” del Pontefice e una sentenza di Hans Küng, convinto che Müller sia “il nuovo Ottaviani”. Da Santa Marta, come dimostra l’elenco letto domenica scorsa al termine dell’Angelus, la petizione è stata rispedita al mittente. Il prossimo 22 febbraio, il custode della fede riceverà la porpora. Ha altro a cui pensare, Bergoglio, rispetto agli articoli di Küng.
Ieri, ad esempio, ha rivoluzionato la commissione cardinalizia di vigilanza sullo Ior. Fuori quattro dei cinque eminentissimi nominati il 16 febbraio di un anno fa da Benedetto XVI. Tra questi, spicca l’ex segretario di stato, Tarcisio Bertone. Un assetto, quello definito a Ratzinger dimissionario lo scorso inverno, che avrebbe dovuto avere mandato quinquennale, ma che creò non poche polemiche in una curia che vedeva quelle nomine come il colpo di coda finale del plenipotenziario del Papa dimissionario. L’unico superstite del vecchio organigramma è il cardinale Jean-Louis Tauran, protodiacono di Santa romana chiesa e fedelissimo di Francesco. Con lui, ci saranno i cardinali Christoph Schönborn, Pietro Parolin, Christopher Collins (arcivescovo di Toronto) e l’arciprete di Santa Maria Maggiore, lo spagnolo Santos Abril y Castelló, favorito per assumerne la presidenza.
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