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martedì 4 febbraio 2014

Gerarchie divise

La mobilitazione francese sui princìpi non negoziabili imbarazza i vescovi. In pubblico

La linea ufficiale dell’episcopato francese è quella ribadita anche lo scorso novembre all’assemblea plenaria di Lourdes: opposizione netta alla legge Taubira che legalizza le unioni tra persone dello stesso sesso. Il matrimonio è solo tra un uomo e una donna e la chiesa ha il dovere di difendere questa istituzione. Il che non significa, però, che la strategia per riaffermare questo principio debba essere uguale per tutti. Su come esprimere dissenso nei confronti delle politiche governative sulla famiglia, insomma, si può discutere. D’altronde, “consenso non significa unanimità”, spiegava qualche vescovo in queste settimane di manifestazioni per la famiglia e la vita. Per rendersene conto, bastava registrare chi, tra i vescovi francesi era presente alla Manif pour Tous di domenica scorsa a Lione e chi, invece, ha preferito rimanere chiuso nel proprio palazzo a guardare la manifestazione trasmessa sugli schermi televisivi.
In prima fila, come aveva fatto sapere per tempo, c’era il cardinale Philippe Barbarin, autore qualche giorno fa di una lettera al quotidiano cattolico la Croix in cui si chiedeva se si sarebbe dovuto “sopportare ancora una volta l’ingiustizia fatta propria dalla legge”. Davanti a ciò che definiva nient’altro che un “cambiamento di civiltà” ormai prossimo a essere realizzato – a sostegno della tesi citava procreazione medicalmente assistita, utero in affitto, aborto –, l’arcivescovo di Lione chiamava a raccolta il popolo fedele per “pregare, agire e manifestare in nome del Vangelo”. Assente, invece, il presidente del Consiglio per la Famiglia e la società della Conferenza episcopale francese, il vescovo di Le Havre, monsignor Jean-Luc Brunin.
“La gente è stanca di manifestazioni” e poi i fedeli vorrebbero vedere una mobilitazione analoga “in favore della povertà o dell’ecologia”. E di “eccessivo manifestare” parla anche il vescovo di Angoulême, mons. Claude Dagens che, pur “fermamente contrario” alla legge Taubira sulle nozze gay, si dice spaventato dalla prospettiva che questo continuo sfilare per le strade cittadine dietro striscioni e bandiere – accanto a quelle nazionali c’erano pure quelle giallo bianche del Vaticano – possa “far sentire alcune persone escluse dalla chiesa”. Si contano su una mano, spiega qualche vescovo riottoso a scendere in piazza per protestare contro il governo, i presuli che non hanno ricevuto lettere di fedeli omosessuali in cui si esprime sofferenza per il senso di esclusione. Il punto è semplice, spiegava mons. Brunin: la chiesa non deve fare propria la lotta politica. Non le compete, non è cosa sua. “Lo ha scritto anche Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate”, dopotutto. E pazienza se già qualche settimana fa l’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois, pur “rallegrandosi per le numerose adesioni di cattolici” alle diverse Manif pour Tous, aveva ripetuto  che “quella contro le nozze omosessuali non è una  protesta della chiesa cattolica contro il governo”.
A casa dunque, la piazza non fa per i presuli. “Il vescovo esprime al governo la sua opinione. Deve prendersi le proprie responsabilità ma allo stesso tempo non deve entrare sul terreno della politica, cosa che gli farebbe perdere la sua libertà”, sostiene alla Croix il vescovo di Tolone, mons. Dominique Rey. Una libertà che insomma deve manifestarsi nelle chiese o al più con qualche commento sui giornali diocesani o con lunghe lettere ai grandi quotidiani del paese. Non di certo sfilando in strada dietro striscioni e palloncini colorati. L’obiettivo, semmai, deve essere quello di costringere il governo a scendere a patti, a dar vita a un tavolo di confronto perenne con le confessioni religiose (non solo quella cattolica, s’affretta a chiarire qualche vescovo transalpino assai attento al politicamente corretto) per superare i motivi di frizione e di contestazione. Un po’ come avviene nella vicina Germania, dove però la conferenza episcopale è forte, ricca e fa ben sentire la sua voce non solo in patria ma anche a Roma, anche e soprattutto – come dimostra il dibattito in vista del Sinodo straordinario del prossimo ottobre –  in riferimento alle tematiche legate a matrimonio e famiglia.

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