La mobilitazione francese sui princìpi non negoziabili imbarazza i vescovi. In pubblico
“La gente è stanca di manifestazioni” e poi i fedeli vorrebbero vedere una mobilitazione analoga “in favore della povertà o dell’ecologia”. E di “eccessivo manifestare” parla anche il vescovo di Angoulême, mons. Claude Dagens che, pur “fermamente contrario” alla legge Taubira sulle nozze gay, si dice spaventato dalla prospettiva che questo continuo sfilare per le strade cittadine dietro striscioni e bandiere – accanto a quelle nazionali c’erano pure quelle giallo bianche del Vaticano – possa “far sentire alcune persone escluse dalla chiesa”. Si contano su una mano, spiega qualche vescovo riottoso a scendere in piazza per protestare contro il governo, i presuli che non hanno ricevuto lettere di fedeli omosessuali in cui si esprime sofferenza per il senso di esclusione. Il punto è semplice, spiegava mons. Brunin: la chiesa non deve fare propria la lotta politica. Non le compete, non è cosa sua. “Lo ha scritto anche Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate”, dopotutto. E pazienza se già qualche settimana fa l’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois, pur “rallegrandosi per le numerose adesioni di cattolici” alle diverse Manif pour Tous, aveva ripetuto che “quella contro le nozze omosessuali non è una protesta della chiesa cattolica contro il governo”.
A casa dunque, la piazza non fa per i presuli. “Il vescovo esprime al governo la sua opinione. Deve prendersi le proprie responsabilità ma allo stesso tempo non deve entrare sul terreno della politica, cosa che gli farebbe perdere la sua libertà”, sostiene alla Croix il vescovo di Tolone, mons. Dominique Rey. Una libertà che insomma deve manifestarsi nelle chiese o al più con qualche commento sui giornali diocesani o con lunghe lettere ai grandi quotidiani del paese. Non di certo sfilando in strada dietro striscioni e palloncini colorati. L’obiettivo, semmai, deve essere quello di costringere il governo a scendere a patti, a dar vita a un tavolo di confronto perenne con le confessioni religiose (non solo quella cattolica, s’affretta a chiarire qualche vescovo transalpino assai attento al politicamente corretto) per superare i motivi di frizione e di contestazione. Un po’ come avviene nella vicina Germania, dove però la conferenza episcopale è forte, ricca e fa ben sentire la sua voce non solo in patria ma anche a Roma, anche e soprattutto – come dimostra il dibattito in vista del Sinodo straordinario del prossimo ottobre – in riferimento alle tematiche legate a matrimonio e famiglia.
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