ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 2 febbraio 2014

Tutti gli uccelli di Francesco

San Francesco predicava agli uccelli, la cosa è nota. Ma cosa predicava? Andiamo alle fonti:
San Francesco si recava un giorno, con alcuni frati, a Bevagna, cittadina dell’Umbria. Lungo la strada, alzando gli occhi, vide che su alcuni alberi era una grande quantità d’uccelli. Aspettatemi qui, disse ai compagni, io andrò a predicare a questi nostri fratelli. Ed entrato nel campo incominciò a predicare agli uccellini che, scesi dagli alberi, si erano raccolti attorno a lui. E finché S. Francesco parlò, essi stettero sempre fermi, senza fare il minimo movimento.
Fratelli miei, disse loro il Santo, voi dovete molta riconoscenza a Dio creatore, perché vi ha dato il grande dono di volare nell’aria. Voi non seminate, non mietete, eppure Dio vi nutre e vi da fiumi e fontane per bere. Voi non sapete filare e tessere, eppure Dio veste Voi e i vostri figliuoli col più morbido e grazioso dei vestitini di penne e piume. Mentre S. Francesco parlava, tutti gli uccellini aprivano i loro becchi, stendevano i colli, aprivano le ali, chinavano reverentemente le testoline sino a terra e dimostravano insomma, con i loro atti di ascoltare, d’intendere e d’approvare le parole del Santo.

Mi chiedo se non sia il caso di riprendere la lettura anche oggi, dato che abbiamo un Papa di nome Francesco, e una serie di episodi ameni in tema di ornitologia, peraltro tutti concentrati in pochi giorni. O quasi. Però non garantisco nessuna interpretazione efficace, in quanto nei miei corsi giovanili di esoterismo saltai proprio le lezioni di perfezionamento come augure e aruspice.
L’augure è il vecchio sacerdote latino incaricato di scrutare il volo degli uccelli per comprendere se ci fosse o meno benevolenza dagli dei sul tempo presente.
E’ curioso scoprire due note: la prima è che gli auguri usavano un bastone ricurvo a forma di punto interrogativo, tipo certi pastorali contemporanei che sembrano i calzascarpe di Polifemo. La seconda è che l’Ordine fu abolito da Teodosio, quello che segnò l’inizio del cristianesimo come religione ufficiale di Stato.
Quindi parlare di auguri non so se sia di buon auspicio o meno, ma significa tornare a riferirsi a un’epoca in cui il cristianesimo non era ufficiale e in cui erano diffusi i bastoni-calzascarpe (detti lituo).
Mantellati, dotati di lituo e di cappello conico, gli aruspici erano invece un gruppo non ufficiale di divinatori – stile i fan di Medjugorie oggi – che leggevano segni ovunque, ma soprattutto nelle viscere degli uccelli sacrificati. Bastava confrontare il fegato della bestia con una mappa convenzionata, a metà tra le linee della mano e la frenologia di Lombroso.
Veniamo a noi. Ecco tutti gli uccelli di Francesco che ho selezionato finora.
Il gabbiano: appollaiato sul comignolo in attesa della fumata bianca
Il corvo che insegue le colombine minaccioso
Nuovamente il gabbiano – sarà lo stesso di prima? – che addenta le colombine e ne influenza e guida il volo per qualche metro, sbattendole sul cornicione impietosamente.
E infine il pappagallo Amore
Dei tre però il più inquietante è il pappagallo. Leggiamone la storia
«Papa Francesco ha notato subito tra la folla Amore, il mio pappagallo. Mi ha sorriso divertito e mi ha fatto cenno di avvicinarmi. Con grande emozione l’ho fatto passare dalla mia alla sua mano. Il Papa lo ha tenuto per qualche istante e lo ha benedetto». Ghibly, al secolo Francesco Lombardi, 47 anni, di Trezzano sul Naviglio (Milano), non nasconde la commozione raccontando dello «strano incontro» avvenuto mercoledì mattina nel consueto giro del Pontefice tra i fedeli di piazza San Pietro prima dell’Udienza Generale. Tra i fedeli, accanto a circensi e artisti di strada, c’era anche quest’uomo alto quasi due metri, con la famiglia e il pappagallo Amore, che ha suscitato la curiosità di Papa Francesco. Incontro più singolare se si pensa che Ghibly è stato uno dei più noti spogliarellisti italiani e vanta nel curriculum partecipazioni a diversi film erotici tra cui «Fermo posta Tinto Brass», «Belle al bar», «La bruttina stagionata» e «Bambola» con Valeria Marini. Per vent’anni si è esibito nei locali di striptease e ha ballato persino per Alda Merini nel giorno del suo 73esimo compleanno all’Istituto Redaelli dove lei era ricoverata per un problema di salute.
Di più.
A portare la moda dello strip tease maschile in Italia è stato lui, Franco Lombardi, in arte Ghyblj, ben 18 anni fa. Un uomo, un mito, un vento del deserto. Alto più di 1 metro e 90 per 95 chili, Ghyblj è piuttosto un fiume in piena, a guardare un po’ nel suo “nudo” curriculum. 
«Tutto cominciò durante una festa di addio al nubilato - racconta Ghyblj -. Iniziai a ballare e per il caldo decisi di togliermi la camicia. Ci fu un boato fra le donne. Allora feci per sfilarmi i pantaloni. Alla festa c’erano anche le ballerine del gruppo Cacao Meravigliao e il loro impresario che mi chiese di portare in Italia la moda dello strip maschile».
Dunque, per i primi due la lettura è chiara.
Il corvo è immagine della malizia che insidia continuamente le calcagna della Chiesa, del fumo di satana che si insinua e avvolge, ma non raggiunge: non prevalebunt. Questa frase resiste pure sul frontespizio dell’Osservatore, il che è tutto dire, e forse è il segno maggiore della sua autenticità.
Il gabbiano a mio giudizio, variante del pennuto precedente, è simbolo di quelle forze che cercano di avvinghiare la Catholica, e la afferrano per la coda, trascinandola di qui e di lì, bloccandola per qualche tempo, ma in fondo non nuocendole. C’è un che di apocalittico, ricorda i tre anni dell’abominio di desolazione, il tempo di libertà concesso a Satana e altre immagini in cui si rivela con decisione che qualche danno in casa lo riporteremo e sarà forte, ma sarà temporaneo e riparabile.
Il pappagallo invece proprio non me lo spiego. Mi viene in mente qualche pontefice rinacimentale che si adornava di ori, di arte e di bestie esotiche, ma non ce lo vedo a fare il paio col Papa di santa Marta e delle croci ferree.
Cerco di capire in che senso sia emblematico il triangolo proprietario-nome dell’uccello-pontefice di santa romana Chiesa. Uno spogliarellista, con precedenti in notevoli spezzoni del grande Brass, consegna al Papa un uccello di un metro e mezzo chiamato Amore. Forse qui rientra il secondo dei motti dell’Osservatore: uniquique suum.
O forse ricorda il valore dello spogliarsi di vesti superflue.
Boh. La fede è davvero misteriosa. A volte.
Sarà un richiamo alle potenze dell’aria?
Sia quel che sia Francesco in tema di uccelli scricchiola un po’ col suo carisma mediatico. E ancora, mentre il Papa col nome del poverello non riesce a custodire le colombe, ma solo l’uccello da un metro e mezzo di nome Amore, si rimedia pure la solita polemica animalista. Se poi scoprono la storia di Amore il Papa si becca una querela dalle femministe e perde pure il voto degli asessuati.
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Fine. Sarò un nostalgico, ma a me resta sempre in mente questa molto più franceschiana scena: quando le colombe volevano restare “nella casa del Papa” (beh, allora lo era…). Già, meglio lì, piuttosto che in preda a corvi e gabbiani o a un metro e mezzo di uccello utile per striptease di vecchie signore all’Ospizio.
Morale della favola: facciamo anche noi come gli uccellini di san Francesco e le colombine di Benedetto XVI, restiamo nella casa del Papa e affidiamoci alla provvidenza divina. E questo è tutto.

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