Questo
è un argomento spinoso, poiché la mentalità odierna rifugge dall'idea
che, nelle questioni religiose, ci possano essere delle eresie: il
pluralismo religioso comporta in sé un implicito egualitarismo e, alla
fine, un inconfessato indifferentismo.
Invece
è bene mettere le cose al loro posto, non per lanciare anatemi verso
chichessia, ma per mostrare una "logica interna" nella realtà religiosa.
Quest'ultima, infatti, anche se si fonda sulla Rivelazione del Dio
ineffabile, che sorpassa ogni logica e conoscenza umana, è ordinata, da
disposizioni pratiche, in un senso strettamente logico.
Anche
la liturgia obbedisce a quest'ordine e non è né può essere il campo
dell'arbitrio umano ma il solo dominio dei "tecnici" dello Spirito,
ossia di chi ha una solida formazione spirituale.
In qualche commento del post precedente
accennavo al fatto che il cammino indicato al credente nella liturgia è
volto all'esperienza di qualcosa di sopra sensibile, pur servendosi di
realtà che, in questo mondo, non possono che essere sensibili.
Lo
stesso narratore dei fatti del post indica che, nella liturgia
pasquale, aveva provato determinate percezioni. Sì, la liturgia diventa
il luogo in cui si svela realmente qualcosa che supera questo mondo. È
qui in effetti la sua ortodossia, ossia la sua espressione corretta, ciò
che fa in modo che essa dia una "retta gloria".
Per
giungere a qualcosa che supera questo mondo, il culto deve avere tutto
un insieme di caratteristiche: i testi devono esprimere una corretta
disposizione verso Dio, non riflettere semplici attese e speranze umane,
né, tanto meno, esprimere disposizioni psicologiche.
Un
testo corretto è ad esempio: "O Dio dei vivi e dei morti, accogli
quest'anima nella tua gloria...". Il centro e gli occhi di tutti, in
questa breve preghiera, è inequivocabilmente Dio.
Un
testo errato (quindi eretico) è: "Dio, tu sai come in questo momento
soffriamo per l'assenza del nostro caro defunto....". Qui il centro non è
più Dio, per quanto venga formalmente espresso. Il centro siamo noi
stessi e, quel che è peggio, si appiattisce le persone nella
considerazione del loro dolore umano con il rischio di farle chiudere in
quello in modo che possano essere impedite ad aprirsi ad altro....
Il
primo è un testo tradizionale, il secondo è un testo di recente
composizione (che cito a memoria avendolo sentito in una messa di
esequie).
Se si
inizia ad osservare le liturgie di recente composizione con
quest'attenzione, si noteranno molte problematiche di questo tipo: sono
testi di taglio molto antropocentrico!
Mentre
i testi antichi tagliavano corto, non dando il minimo spago a
riflessioni psicologistiche o a distrazioni di altro genere - erano
liturgie ascetiche! - i testi attuali hanno totalmente appannato tutto
ciò. Per questo se mi capita estemporaneamente di andare ad una messa
(dopo che provengo da contesti liturgici tradizionali) mi sembra di
sentire chiacchiere quasi da osteria...
La cesura tra liturgia e spiritualità è, alla fine, la responsabile di questo glissamento.
È
come se, invece di scoccare una freccia per colpire il centro di un
bersaglio, si finisca sempre per lanciare la freccia ben lontano dal
centro!
Chi tiene un
arco sa che esiste una tecnica, sa che l'arco deve avere certe
caratteristiche e non altre. Se ne prescinde anche di poco compromette
il risultato.
La
spiritualità, ossia il metodo per incarnare il cristianesimo, non può
non informare in modo coerente la stessa liturgia. Nel momento in cui
non lo fa (ed emergono istanze puramente umane) il risultato è
compromesso, la liturgia non giunge al suo scopo, ossia alla percezione
di un mondo ultraterreno.
Parrocchia di Weiz: predica di padre Hannes Biber nell'ultima domenica di Carnevale. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=iWSvbRGNZZk |
In mancanza di questo scopo, la liturgia perde totalmente il suo senso originale e, pur di non annoiare le persone, la si trasforma in puro intrattenimento.
Questo è evidentissimo in certe
comunità protestanti in cui il ministro deve saper far ridere
l'assemblea, essere mondanamente affascinante e brillante, come un
presentatore televisivo.
Le stesse istanze da
mondo dello spettacolo oramai sembrano permeare molte liturgie del mondo
cattolico e ciò è inevitabile, dal momento che la liturgia ha perso il
suo fine originale.
Come
diceva l'anziano Paisios (del monte Athos) questi ministri "giocano"
sull'altare. Solo che mentre lui si riferiva a ministri che conservavano
almeno le apparenze di una realtà sacra (in Oriente i libri liturgici
non sono stati cambiati), in Occidente oramai pure l'apparenza è stata
persa, com'era logicamente conseguente che accadesse. La conclusione è
inevitabile: siamo in piena eresia poiché qui la freccia si lancia ben
lontano dal suo bersaglio.
Che efficacia può avere una liturgia del genere? Nessuna, assolutamente nessuna...
Viceversa
una realtà tradizionale che ha coscienza che nella liturgia c'è una
vera e propria "palestra dello spirito" apre tutto un altro mondo di
percezioni. Ma per questa, ci vogliono ministri ben formati, preparati,
coscienti che la liturgia non è un semplice intrattenimento dove si
propina una qualche istruzione religiosa e si aspira a semplici "valori
cristiani" (quando va "bene").
Ci vuole una preparazione spirituale "a tutto tondo" e bisogna crederci.
Ora, tutto questo da noi è quasi totalmente inesistente.
Le frecce scoccate da un arco ben poco teso, finiranno tutte fuori bersaglio...
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