quell'eresia dei fedelissimi di Benedetto
Davide Brullo nel romanzio Rinuncio svela i misteri dietro il ritiro di Ratzinger. E che cosa accadrà alla sua morte
Davide Brullo nel romanzio Rinuncio svela i misteri dietro il ritiro di Ratzinger. E che cosa accadrà alla sua morte
«In ogni caso il mistero si infittisce», così Antonio Socci chiude una controreplica ad Andrea Tornielli dopo che nei giorni scorsi Joseph Ratzinger aveva chiarito con una lettera alla Stampa i dubbi circa le propria libera e «valida» rinuncia.
Dubbi che circolano da un anno, nonostante le smentite.
Dubbi da vaticanisti, si dirà: perché Ratzinger indossi ancora la veste bianca e abbia mantenuto il nome Benedetto XVI, o perché abbia accettato lo status di «Papa emerito», sono sottili distinzioni che a molti non dicono nulla. Ma a fronte degli scandali fuori e dentro le mura petrine, dei bisbigli e delle intercettazioni, delle questioni finanziarie ed economiche, la richiesta di Ratzinger nella Messa di insediamento appare ora preveggente: «Pregate per me, perché io non fugga per paura davanti ai lupi».
Il mistero dunque si infittisce e che la diarchia conclamata di due papi presenti insieme al Concistoro per la prima volta in duemila anni sia premonizione di una futura apocalisse è convinzione di Davide Brullo. Nello straziante romanzo Rinuncio (Guaraldi, pagg. 138, euro 12,90) immagina la vera storia di Ratzinger, il cui sosia frequenta la curia romana, ma il cui fantasma giace in un romitorio di alta montagna tra preghiera e penitenza, sorvegliato da un novizio, Giusto, e accudito da una ragazzina valdese dal nome biblico Abisag. Il silenzio e il sonno del Papa, le cui mani somigliano «al fiore della magnolia», sono appunto stravolti da branchi e «truppe» di lupi bianchi che egli ricorda popolare le leggende e le fiabe della sua infanzia. I lupi sono il simbolo degli evangelisti, di Dio o della Chiesa o dello Spirito Santo, della bontà e della ferocia, dell'evangelizzazione e della morte.
Gli ultimi anni del Papa emerito sono descritti attraverso documenti raccolti dopo la sua morte dai frati che lo hanno ospitato: brani di lettere al «frater carissimo» Georg, al successore Francesco, ad Abisag, marginalia ai «libri mei peculiaris», lacerti e pensieri vergati sulle lenzuola, aforismi nelle pagine del poema Exil di Saint-John Perse... La confessione, onirica e profetica, di chi rinuncia a tutto per amare davvero, di chi fa di sé una «rientranza», desidera una «sconfitta» per vincere, crede l'umiliazione «una forma di indipendenza», nel gesto assurdo vede il «carisma del cristianesimo», il cristianesimo che «si realizza solo nei momenti in cui tutto sembra perduto», il cristianesimo che «si avvera nella solitudine, nel rifiuto totale dell'uomo», il cristianesimo che «è una preparazione ad accogliere le confessioni intime di Dio».
Davide Brullo, il poeta più significativo della generazione dei trentenni, voce eccentrica, scontrosa e separata, dà una prova matura delle possibilità della letteratura pur in tempo di povertà: una prosa acuminata, una parola veritiera di cui si faticherebbe a scovare le fonti se non si conoscesse il suo percorso formativo fra studi e traduzioni bibliche e grande poesia straniera. Un libro, Rinuncio, lontano dal mid cult di tanta editoria d'occasione, dalle mene dei giovani scrittori invischiati nella sociologia spicciola del proprio tempo.
Il tema in questo caso è ispido (varrebbe la pena che Ratzinger - Tornielli e Socci permettendo - leggesse il breve tomo). Al di là del plot narrativo, ridotto ai minimi termini - sulle spoglie del Papa emerito esplode un'eresia capitanata da Giusto e Abisag, quella dei «rinunciatari», una specie di riedizione degli «umiliati», i gruppi di vagabondi che nel Medioevo intendevano rigenerare il cristianesimo nella povertà - e dei riflessi biografici che Brullo non teme di esibire (il suicidio del proprio padre), la forza del libro sta nella profondità della scrittura e della riflessione teologica ardita a cui spinge una mano e una mente ben addestrata.
«Tra Dio e l'uomo - ci dice Brullo - il rapporto è di reciproca necessità: si sostengono a vicenda nella tempesta della storia. Come se la terra fosse una seduzione sbagliata di Dio, il cui desiderio è unirsi alla sua creatura. Dio si offre come incomparabile esempio, ma è probabile che l'uomo abbia insegnato a Dio l'amore». E ancora: «Dio, che atrocemente ama la sua creatura, incapace di combatterla, la soddisfa in ogni sua più infida perversione»; «il cristiano sa di essere il bersaglio del male, non ne schiva gli assalti né ha premura di difendersi. Anch'io, dunque, abbraccio il male, accarezzo i capelli e il viso di Satana, ho misericordia della sua ira, della sua divampante invidia»; «Dio, non devo dimenticarlo, è carnivoro»; «solo quando Gesù dubita trova Dio»; «capii che Dio frequenta gli estremi, che freme nei luoghi dove non vogliamo cercarlo. La mia rinuncia è una forma di conversione: desidero che il cristianesimo torni a germinare genuino. E questo è possibile soltanto frequentando, ancora, l'esilio, riducendo San Pietro a un deserto, a una tenda. Spero di aver sterminato i tiepidi, gli araldi del buoncostume, allievi del demonio. Il cristiano frequenta con consuetudine l'inaccettabile, sa che la sua fede è intrecciata alla morte».
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