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venerdì 7 marzo 2014

Le “aspettative eccessive” degli americani

su valori e matrimonio alla prova di Francesco

Il rapporto Kasper ai cardinali riuniti nel concistoro del febbraio 2014 è destinato ad avere vasta
diffusione negli Stati Uniti, e un impatto che va a sommarsi alla magnitudo del Francis effect nel
paese delle “guerre culturali” che hanno caratterizzato il dibattito religioso e morale degli ultimi 40 anni. Il cardinale Kasper ha compiuto importanti tour accademici in America: le università cattoliche più importanti (Notre Dame la primavera scorsa, Fordham il prossimo maggio) gli hanno dedicato convegni e giornate di studio (e la casa editrice Paulist Press, che sta per annunciare la pubblicazione delle opere complete di Kasper in inglese, in questi giorni sta traducendo il rapporto ai cardinali per il pubblico anglofono).
Kasper era diventato un simbolo della resistenza alla linea ufficiale ai tempi del dibattito ecclesiologico con Ratzinger su chiesa universale-locale tra 1999 e 2002. Con grande disappunto dei ratzingeriani, Papa Francesco ha fatto di Kasper il suo teologo di riferimento: la svolta del pontificato si sta consolidando e ha trovato il teologo all’altezza delle aspettative in quell’estremo occidente che è l’America.
Il rapporto Kasper dice alcune cose precise alla chiesa e alla teologia americana. Nel passaggio in
cui afferma che sulla questione dei divorziati risposati non si deve cercare “un adattamento liberale allo status quo, ma una posizione radicale”, Kasper interpella due anime particolarmente attive nel cattolicesimo in America: la teologia liberal da una parte e la teologia radicale postmoderna dall’altra. Quest’ultima consiste di due scuole di pensiero molto presenti nella teologia anglofona: la “radical orthodoxy” del teologo britannico John Milbank, e i molti attivissimi discepoli cattolici americani del teologo metodista americano Stanley Hauerwas che tendono a rigettare la modernità e a vedere il futuro del cattolicesimo nella postmodernità solo come “comunità” – un comunitarismo cattolico a forte intensità interna e rinunciatario rispetto alla sfera pubblica.
La teologia di Francesco (e quella di Kasper) rigetta entrambi i paradigmi, sia quello liberal che
quello antimoderno postmoderno. Il dibattito sul matrimonio ha un ruolo centrale in questi ambienti teologici, specialmente in quello “radical orthodoxy” che tende a vedere nella visione morale cattolica (del matrimonio e quindi del divorzio) una delle chiavi interpretative del rapporto tra cristianesimo e sfida della modernità.
Ma il rapporto Kasper parla in modo particolarmente diretto alla cultura americana tutta quando
affronta il problema delle “aspettative eccessive” come causa del fallimento di molti matrimoni. La cultura americana in generale rasenta l’idolatria per il matrimonio (un film come “Bridesmaids” non esagera di molto). Lo sposarsi (ovvero, trovare qualcuno da sposare/che ti sposi) è ancora visto come uno dei massimi traguardi, parte integrante del “make it”, del farcela: “College, marriage, children, job”. Quella americana è una nazione e una cultura che ha sempre premiato il lato “naturale”, tanto della questione matrimonio-famiglia-figli, quanto di altri aspetti tipici dell’americanismo (darwinismo sociale, pena di morte). La cultura americana (anche quella
cattolica) mainstream tende a non interrogarsi troppo sul rapporto tra istintualità e moralità di molte istituzioni e costumanze tipiche degli Stati Uniti, ovvero tende a moralizzare gli istinti (quello a riprodursi come quello alla violenza), senza porre domande radicali sulla consistenza teologica di quelle codificazioni morali (come la moralità del patriottismo e dell’eccezionalismo americano).
Il rapporto tra tradizione teologica e matrimonio è delicato per un cattolicesimo che si è formato
negli Stati Uniti in un movimento sia di distinzione dalla cultura protestante (il culto del latino) sia
di imitazione di essa (ancora, l’eccezionalismo della nazione americana). In questo senso, un altro
punto-chiave del rapporto Kasper è quello circa il diritto naturale: “Il diritto naturale rimane
generico e, quando si tratta di questioni concrete, ambiguo”. In una cultura legalistica come quella
americana, il posto del diritto naturale è preso molto più seriamente che altrove: non solo in una
tradizione intellettuale cattolica (basti pensare agli studi dell’ultimo cinquantennio, da Brian Tierney a John Finnis) ancora ancorata al binomio Agostino-Tommaso. Non è un mistero che l’espressione “valori non negoziabili” abbia avuto un ruolo particolare nella retorica delle culture wars americane sull’aborto, ma anche sul matrimonio. E’ evidente che la riproposizione da parte di Kasper dell’immagine usata da Francesco nell’intervista a Civiltà Cattolica della chiesa come “ospedale da campo” ha il valore in America di riproporre ai cattolici feriti sul campo di battaglia delle culture war un’idea di chiesa accogliente e aperta a quel numero statisticamente altissimo di famiglie atipiche, in un paese in cui sono molto atipici anche i percorsi religiosi individuali (una percentuale rilevante di americani cambia chiesa nel corso della propria vita, e il gruppo religioso più rilevante in America, dopo i protestanti, sono gli ex cattolici). L’idea di una chiesa accogliente parla in modo particolarmente chiaro ai cattolici e ai vescovi di un cattolicesimo in cui, negli ultimi anni in coda all’epoca Wojtyla-Ratzinger, si erano fatte evidenti le tendenze a introdurre degli elementi calvinisti (ovvero, settari) nell’esperienza delle parrocchie e delle scuole cattoliche (con numerosi casi di esclusione di cattolici apertamente gay e di figli adottati da coppie gay non solo dai sacramenti, ma anche dalla vita comunitaria).
Il punto dolente delle aperture di Kasper e Francesco sulla questione del matrimonio e divorzio, ma più in generale il punto veramente critico del rapporto tra il pontificato e la cultura americana,
concerne la questione del gender. La teologia cattolica americana post conciliare ha fatto propria la distinzione tra sex e gender. I teologi e specialmente le teologhe americane che speravano in una nuova primavera nella chiesa apprezzano Papa Francesco: ma hanno usato parole nette nel
giudicare negativamente il linguaggio bergogliano sulla questione della donna nella chiesa e nella
teologia. E’ una questione di traduzione in inglese, ma non solo, e il rapporto Kasper in questo è
fedele messaggero del gap più significativo tra cultura teologica nordamericana e quella del resto
del mondo.
di Massimo Faggioli
in “Il Foglio” del 7 marzo 2014
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201403/140307faggioli.pdf

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