Fenomeno in gran parte mediatico? Rinnovamento solo pastorale? O inizio di una nuova ermeneutica dottrinale? Ad un anno esatto dalla sua elezione, Papa Bergoglio continua a sollevare interesse e forti interrogativi. Ma per molti aspetti rimane ancora un enigma.
Tra devoti entusiasti, clericali mugugnanti e laici che volonterosamente offrono la loro spiegazione.
Papa Francesco va per la sua strada, sostento da una fede formidabile. Tutto il resto attorno a lui è
incerto. Talvolta dà l’impressione di essere sostanzialmente solo. Incarnando perfettamente il nostro
tempo mediatico, affascina direttamente la gente (fedeli e non) con il suo sorriso e le sue parole
semplici e penetranti. Smonta l’aura sacrale del suo altissimo ruolo entro cui agivano o su cui si
appoggiavano i suoi predecessori. Ma molti temono che questo atteggiamento prima o poi minerà la
sua autorità.
In realtà il progetto di Papa Francesco è restaurare l’autorità (e l’attrattività) della Chiesa intesa
come espressione di una autentica comunità di credenti, che ragionano e dialogano a partire dal
vissuto quotidiano. Non una Chiesa che si avvolge nel mistero ma poi si esprime attraverso un
apparato istituzionale che dal vertice distribuisce certezze con il rischio di diventare «una Chiesa
fredda che dimentica la speranza e la tenerezza, che non sa dove andare e si imbroglia» - come disse
mesi fa in una intervista a questo giornale.
Qual è lo strumento principale per questo audace progetto? E’ il linguaggio. Il linguaggio parlato e
dell’immagine, che attinge al vissuto, alla sensibilità umana, al modo di esprimersi comprensibile a
tutti per la sua carica emotiva («dolcezza», «misericordia). Una semantica che sembra introdurre ad
una nuova ermeneutica della dottrina tradizionale. Ma questa è ancora tutta da inventare.
Tutto ciò spiazza i critici che avevano previsto (non senza buone ragioni) una collisione tra dottrina
tradizionale e azione pastorale. In realtà siamo appena all’inizio di un conflitto che può rivelarsi più
duro e più lungo del previsto, perché trova impreparati gran parte degli uomini di Chiesa.
Qui urtiamo in un brutto paradosso perché l’azione di Bergoglio è efficace se non è una pressione
dall’alto. Il Papa non solo non vuole creare tensioni o divisioni all’interno della Chiesa, ma come
nessun altro dei suoi predecessori intende valorizzare al massimo le forme di collegialità esistenti.
Soprattutto vuole restaurare la piena autorità dei vescovi radicati nel loro popolo. Ma se questi sono
i primi a non capire la rivoluzione semantica ed ermeneutica di Bergoglio e vi vedono soltanto
pericoli per le certezze dottrinali?
Oggi all’ordine del giorno c’è la «teologia della famiglia», che indirettamente porta alla luce
questioni radicali che toccano in profondità quella «antropologia» (o condizione umana o
semplicemente natura umana) che sino a qualche tempo fa veniva affermata in modo perentorio e in
contrapposizione ad ogni altra concezione, subito declassata a relativismo, immoralismo, laicismo,
nichilismo ecc. Adesso finalmente sentiamo autorevoli uomini di Chiesa che pubblicamente parlano
di amori e unioni matrimoniali autentiche ma fragili, difficili e infine fallite. Soprattutto della
legittimità morale che progetti di vita comune incolpevolmente falliti possano ritrovare una loro
soluzione positiva in un altro matrimonio. Ovvero in termini giuridici: divorzio e ricostituzione di
un’altra famiglia. Naturalmente per gli uomini di Chiesa l’ottica che conta è quella della piena
permanenza nella vita ecclesiale degli uomini e delle donne che patiscono la situazione ora descritta
e desiderano vivere interamente la loro fede. Sbrigativamente e giornalisticamente questo problema
si condensa nel tema della «comunione per i divorziati». In realtà la questione è più sofisticata: si
parla di percorsi «penitenziali che abbiamo come esito la ritrovata comunione eucaristica».
Con tutto il rispetto per questa impostazione, qui mi preme dire che dietro a questa problematica
sono in gioco molto di più delle «patologie» della famiglia o del matrimonio. E’ l’intero discorso
sulla «natura umana». Discorso ampio e impegnativo, attorno al quale il confronto tra visione laica
e visione religioso-cattolica da tempo si è bloccato.Vorrei concludere, accennando ad un altro tema, riprendendo un passaggio ironico, breve ma
significativo dell’intervista di Bergoglio alla «Stampa» di mesi fa. «Le donne nella Chiesa devono
essere valorizzate, non clericalizzate, facendole magari cardinali». L’arguzia dell’affermazione
evade la sostanza di un problema dottrinale eluso. Non intendo affatto in questa sede sollevare la
problematica del sacerdozio femminile che nella dottrina cattolica ha una lunga e argomentata
tradizione di rifiuto. Ma Papa Francesco avrebbe potuto semplicemente dire: «La donna collocata in
posti decisionali e in ruoli istituzionali essenziali, potrà senz’altro de-clericalizzare la Chiesa così
come è oggi». Perché non ha detto queste parole? Sarebbe stato un elegante e ancora ortodosso
contributo ad una nuova ermeneutica dottrinale.
di Gian Enrico Rusconi
in “La Stampa” del 13 marzo 2014
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201403/140313rusconi.pdf
Il Cardinale Ciappi, il teologo di papi, da Pio XII a Giovanni Paolo II (all’inizio del suo pontificato): “Il Terzo Segreto dice che la grande apostasia nella Chiesa inizia dal suo vertice. La conferma ufficiale del segreto de La Salette (1846): “La Chiesa subirà una terribile crisi. Essa sarà eclissata. Roma (il Vaticano) perderà la fede e diventare la sede dell’Anticristo “.
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