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venerdì 25 aprile 2014

Bluff a poker?

Il poker di Bergoglio: la messa dei quattro papi, dopo la risurrezione, celebra l’ascensione della leadership della Chiesa

Roncalli e Wojtyla effigie del pontificato a doppia corsia di Bergoglio: la rivoluzione tranquilla e la riconquista del mondo



Roncalli Wojtyla
Ad appena una settimana dalla Pasqua, senza che scorrano i quaranta giorni di rito, il Colle Vaticano si trasforma nel Monte dell’Ascensione.
A “salire al cielo” non sono soltanto Karol Wojtyla e Angelo Roncalli, ma una intera istituzione: che consacra il proprio ritorno sugli altari, dopo essere risuscitata in tempo da record, con aggiunta trascrizione nei registri della santità secolare, da Time a Fortune. E’ questo il significato profondo e l’orizzonte politico della mossa di Francesco, che cala sul tavolo un poker d’assi, aggregando Joseph Ratzinger al tris della scorsa estate.

Non è infatti la prima volta che Roncalli e Wojtyla si affacciano insieme a San Pietro, evocati da Bergoglio. E’ già successo in quello che passerà alla storia come l’Angelus dei tre Papi, domenica 1° settembre dell’anno del Signore 2013. Anche se allora, rispetto all’odierna facciata della basilica, si devono essere trovati un po’ stretti, come stringente del resto era il contesto, alla finestra dell’appartamento papale, in una esternazione estemporanea last minute, mentre le navi dell’impero d’Occidente, all’input di Barack Obama, risalivano il Mar Rosso da Oriente per dare esito all’ineluttabile e bombardare Damasco.
L’anamnesi all’improvviso si fece analisi, la memoria storia: rivisitando il conto alla rovescia e la corsa contro il tempo dei due Papi, sulla scia del radiomessaggio che Giovanni XXIII aveva soffiato nel vento dell’etere, incontro alla flotta del Cremlino, in un RisiKo cubano drammaticamente giocato, fino all’ultimo istante, da Kennedy e Kruscev, il 25 ottobre del’62: “Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: Pace! Pace!”.
Espressioni, del volto e del lessico, analoghe a quelle di Giovanni Paolo II, nell’estremo appello a Saddam e Bush, il 16 marzo 2003, alla vigilia e già deriva di una odissea da cui l’Occidente ancora non fa ritorno: “Mai più la guerra!”, gridò il vecchio patriarca. “Di fronte alle tremende conseguenze che un'operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l'equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne, dico a tutti: c’è ancora tempo per negoziare.”
Dalla data fatidica del 1° settembre, che rievocava l’inizio delle seconda guerra mondiale, a quella canonica del 27 aprile: in ossequio a un richiamo genetico e di ragione, prima che meteorologico e di stagione, la scelta non poteva che cadere sull’ottava di Pasqua, festa della misericordia, intesa non solo quale categoria dello spirito ascetico, ma ispiratrice categorica di real politik.
Il Vescovo di Roma venuto dai confini del mondo aveva sin qui avuto come patroni sul suo cammino Ignazio di Loyola e Francesco d’Assisi: il primo di elezione, quando entrò nella Compagnia di Gesù, l’altro dall’elezione, quando è uscito dalla Cappella Sistina. Però di fronte alle sfide ad intra e ad extra, dalla crisi della Chiesa istituzione alle crisi delle istituzioni internazionali, un Pontefice ha bisogno anche di Papi protettori, che conoscano il mestiere dal di dentro e lo assistano con “professionalità”, oltre che santità.
San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II, forse più di San Francesco e dello stesso Ignazio, rappresentano in tal senso i due volti o se vogliamo le due anime di Bergoglio: la paternità rassicurante e la leadership travolgente. Sono stati loro infatti a tracciare la strada su cui procede il suo pontificato “a doppia corsia”: la rivoluzione tranquilla e la riconquista del mondo. La misericordia costituisce il DNA che apparenta e orienta tre personalità diversissime, scaturite da sorgenti culturali e sociali altrettanto distanti, eppure capaci di convergere, raggiungendo e cingendo i contemporanei con la suggestione di un progetto universale.
Dai due conclavi ottobrini del ‘58 e ‘78, a vent’anni uno dall’altro, si dipartono i fili che conducono alle coordinate australi e si annodano il 13 marzo 2013 nel nome dell’arcivescovo di Buenos Aires. L’uomo di Sotto il Monte e quello di Wadowice sintetizzano le attese di una Chiesa che cercava un nuovo Giovanni e un nuovo Karol: l’occhio del pastore che conta e accoglie le pecore una per una, nella loro individualità, e lo sguardo dello stratega che coglie e racconta il mondo a trecentosessanta gradi, nella sua interezza.
La canonizzazione congiunta, in tale prospettiva, non esprime solamente l’omaggio, ma il messaggio: il successore di Pietro assume il programma e somma le sfide dei predecessori. Papa Giovanni ereditava infatti una Chiesa statica ma coesa. Wojtyla invece divisa però dinamica. Bergoglio rileva infine la più ardua delle combinazioni: statica e divisa insieme. A tutti gli effetti, un doppio salto mortale, prendendo la rincorsa sui passi e sui gesti dei predecessori santi, ma predisponendo al tempo stesso una rete di salvataggio dottrinale, nella figura e nel ruolo del predecessore teologo.
La presenza del Papa emerito, unitamente alla conferma del suo delfino, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, alla guida dell’ex Sant’Uffizio, rinnova l’intuizione prudenziale di Wojtyla, che chiamò Ratzinger a presidiare le retrovie dottrinali della sua cavalcata tra i due millenni.
Anche in questo caso non si tratta solo di regia visiva, per un’immagine altamente coreografica da consegnare ai posteri, bensì di strategia visionaria, imprimendo nell’immaginario un disegno costituzionale alto.
Il quadrilatero dei quattro Papi modella e modula un’architettura del ventunesimo secolo, flessibile e futuribile, che apre orizzontalmente verso le zone più remote, dell’anima e dell’umanità, ma scopre e mostra verticalmente le propria fondamenta: quelle terrene, come un’acropoli classica, e quelle del cielo, come una biblica Città sopra il Monte.
Piero Schiavazzi, L'Huffington Post 
http://www.huffingtonpost.it/2014/04/25/roncalli-e-wojtyla-effigie-del-pontificato-a-doppia-corsia-di-bergoglio_n_5211328.html?utm_hp_ref=italy

Vaticano, il New York Times contro la santificazione di papa Wojtyla: "Non fece nulla per le vittime di pedofilia" (VIDEO)



new york times wojtyla
"La Chiesa sta dando il premio più alto alla persona che avrebbe potuto fermare questa macchia e non fece nulla", scrive l'editorialista Maureen Dowd che già nel 2011 si era scagliata dalle colonne del prestigioso quotidiano statunitense contro la beatificazione di Wojtyla. "È orribile e ferisce il fatto che per la Chiesa quelle migliaia di vittime tradite e danneggiate siano date per scontate come un asterisco che lentamente scompare".
Per Dowd, dunque, papa Giovanni Paolo II non dovrebbe diventare santo: "Può essere considerato una figura rivoluzionaria nella storia, ma un uomo che fece finta di non vedere la crisi morale non può essere descritto come un santo". Infine, l'affondo: "Quando la Chiesa lo eleva, è come se facesse l'occhiolino all'inferno che causò a numerosissimi bambini e ragazzi".
Washington Post: "Abbiamo ancora bisogno di santi?". Più interlocutorio - ma comunque critico - il commento del Washington Post a firma di James Martin, gesuita americano editorialista di "America", il più importante magazine cattolico degli Stati Uniti e autore del libro "Gesù, un pellegrinaggio".
"Per centinaia di milioni di cattolici la festa di domenica sarà un'occasione di grande gioia", scrive Martin, ricordando che Giovanni XXIII "mise in moto il processo di aggiornamento della Chiesa", mentre Giovanni Paolo II, "l'unico Papa che i cattolici più giovani hanno conosciuto prima di Benedetto XVI e Francesco, è stato "un colosso della Chiesa, che ha esercitato la sua influenza non solo in quanto instancabile evangelizzatore, ma anche sulla scena mondiale, giocando un ruolo decisivo nella caduta del comunismo".
Ciò premesso, il gesuita sottolinea come "per alcuni la reazione alla doppia canonizzazione sia: chi se ne importa? Anche tra i cattolici ci sono quelli che pensano il processo di canonizzazione sia disperatamente arcano, che il 'culto dei santi' sia superato, che credere nei miracoli sia assurdo e, in questo caso, che la canonizzazione sia una cattiva idea". Quindi, la domanda è: "Abbiamo ancora bisogno di santi?". La risposta del gesuita, dopo l'elencazione di tutte le critiche che riguardano il processo di canonizzazione, è semplice: "Non è la Chiesa che crea i santi, ma Dio, la Chiesa soltanto li riconosce. Naturalmente il processo di canonizzazione è imperfetto, la Chiesa dovrebbe riconoscere più santi laici e sposati, tuttavia, in complesso funziona". "E fino a quando Dio continuerà a darci santi, che siano papi o altro - chiosa - la Chiesa dovrà riconoscerli. Dunque, in fondo, la domanda non è, 'abbiamo ancora bisogno di santi', ma, 'quale lezione possiamo imparare dai santi che Dio ci manda'?".
La difesa di Joaquin Navarro: "Wojtyla visse con dolore notizie abusi". Il tuono del New York Times non è rimasto inascoltato in Vaticano. A rispondere interviene lo storico portavoce del pontefice polacco, Joaquin Navarro-Valls: "'È un'opinione che non tiene conto dei fatti. Per il caso Maciel, ad esempio, la procedura penale canonica è cominciata nel Pontificato di Giovanni Paolo II. Ed è finita nel primo anno del Pontificato di Benedetto XVI".
Secondo Navarro, "la procedura per far accertare quanto accaduto smentisce la teoria per la quale il fondatore dei Legionari era intoccabile durante il Pontificato wojtyliano". Giovanni Paolo II viveva le vicende relative a abusi sessuali compiuti da sacerdoti delle quali aveva notizia "con grande dolore e partecipazione e sentendo il dovere di farsene carico, portando a Roma la competenza sui casi di abuso affinché non potessero esserci attenuanti ne insabbiamenti di nessun tipo. Fu lui che dieci anni fa volle riunire in Vaticano tutti i cardinali degli Stati Uniti, per affrontare nel modo più autorevole questo tema".
Unconventional Pope
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I 266 Papi della storia
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