clip_image002[1]L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele
Nell’articolo precedente si è visto che i «papi conciliari» ritengono che il contenuto del Cristianesimo va perfezionato nel corso del «progresso storico», per cui doveva incorporare i valori decantati negli ultimi 200 anni di rivoluzione illuminista.
È un fatto che questa nega la Grazia e vada oltre ogni «pelagianesimo».
Eppure, per i conciliari, nel Cristianesimo mancavano i suoi alti valori!
Il ritorno del pelagianesimo era stato denunciato da alcune voci negli ultimi decenni, in vista di un certo attivismo nella Chiesa, che svelava confidare troppo nei piani umani e nell’azione dell’uomo. Ciò finisce per svuotare l’azione della Grazia e per ridurre tutto alle capacità e comprendonio umano in un mondo che sempre più nega la Grazia.
Ora è Bergoglio che parla di una «corrente pelagiana che c’è attualmente nella Chiesa, parole pubblicate sul sito «Reflexion y liberación» e applicate ai gruppi «restauratori». “Ne conosco alcuni – avrebbe detto – mi è capitato di riceverli a Buenos Aires. Uno ha l’impressione di tornare indietro di 60 anni! Prima del Concilio…”. Francesco avrebbe quindi riferito questo episodio: “Quando mi hanno eletto, ho ricevuto una lettera da uno di questi gruppi e mi dicevano: “Santità, le offriamo questo tesoro spirituale, 3.525 rosari”. Non dicono preghiamo per lei, chiediamo… ma questo tenere una contabilità…”. Quindi, si tratterebbe secondo Bergoglio di un attivismo pelagiano attraverso il Rosario!
Tale strano accenno al mondo tradizionalista ha provocato la reazione di quanti vedono discontinuità con Benedetto 16 che, però, già parlava di un «pelagianesimo dei pii»: “Essi non vogliono avere nessun perdono e in genere nessun vero dono di Dio. Essi vogliono essere in ordine: non perdono ma giusta ricompensa. Vorrebbero non speranza ma sicurezza. Con un duro rigorismo di esercizi religiosi, con preghiere e azioni, essi vogliono procurarsi un diritto alla beatitudine. Manca loro l’umiltà essenziale per ogni amore, l’umiltà di ricevere doni al di là del nostro agire e meritare. La negazione della speranza a favore della sicurezza davanti a cui ora ci troviamo si fonda sull’incapacità di vivere la tensione verso ciò che deve venire e abbandonarsi alla bontà di Dio. Così questo pelagianesimo è un’apostasia dall’amore e dalla speranza, ma in profondità anche dalla fede”. («Guardare Cristo: esempi di fede, speranza e carità» dall’editrice Jaca Book)
Anche Bergoglio ora vuole mettere in guardia i cristiani contro filosofie e correnti di pensiero che finiscono per «svuotare» l’incarnazione. Si tratta di quella riguardante una corrente gnostica. “Sia il pelagianesimo che la gnosi, sono entrambe «correnti d’elite»”, avrebbe detto, “ma la seconda è di un’elite più formata… Ho saputo di una superiore generale che incoraggiava le suore della sua congregazione a non pregare al mattino, ma immergersi spiritualmente nel cosmo… cose così… Mi preoccupano perché saltano l’incarnazione! E il Figlio di Dio si è fatto carne nostra, il Verbo si è fatto carne… Che succede con i poveri e i loro dolori, quella è la nostra carne… Il Vangelo non è la legge antica, ma nemmeno questo panteismo. Se si guardano le periferie, i senza tetto… i drogati! Il traffico di esseri umani… Questo è il Vangelo. I poveri sono il Vangelo.”
Quale lo sproposito inerente al Vaticano 2º in tutto questo parlare, quindi, nel comune comprendonio dei «papi conciliari» da Giovanni 23 a Bergoglio, senza che spieghino quanto proprio il pensiero conciliare ha di pelagiano? Lo comprova una delle tirate bergogliona sulla Dottrina (cattolica) che non può essere un monolite: “la visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata»… Del resto, in ogni epoca l’uomo cerca di comprendere ed esprimere meglio se stesso. E dunque l’uomo col tempo cambia il modo di percepire se stesso…” e bla, bla, bla sugli artisti. Già prima aveva accusato un indefinito «pelagianesimo» tradizionalista!
Ebbene, il cattolico può capire in modo semplice come queste affermazioni sono, più che campate in aria, interamente invertite e pelagiane se riguardano il Cristianesimo nato dalla Grazia che fa capire l’uomo eterno e il suo fine. L’altro del tempo che cambia il modo di percepire meglio se stesso, si dimostra una vera vergogna, in quanto aliena ogni visione cattolica precedente fondante quel minimo di vera «civiltà», dove l’attività umana sta nell’eseguirla, no nell’inventarla.
In tal senso vediamo cosa ha prodotto la «visione illuminista», oggi imperante nel mondo e in Europa. Qui ci bastano le osservazioni scritte da Marcello Veneziani in «Un’Europa tra viltà e contabilità»: “Se l’Europa fosse una civiltà e non solo una contabilità, non se la sbrigherebbe dicendo che ci ha dato i soldi per fronteggiare i flussi migratori.”… All’esodo risponderebbe pattugliando il Mediterraneo per intercettare e colpire il traffico umano di clandestini. Porterebbe in salvo migranti e profughi per distinguerli e aiutarli, i primi a casa loro e concedendo asilo ai secondi. Tutto secondo il Diritto, per cui il criminale traffico di vite umane andrebbe interrotto se l’Europa fosse una civiltà, forte di valori e principi, applicabili ad ogni evenienza o emergenza storica per raggiungere un equilibrio realista chepercepire meglio l’uomo.
“Ma quest’Europa non è civiltà, è solo viltà & contabilità. È pronta a cacciarci dal club se sforiamo il debito, ma poi ci abbandona in alto mare a sbrigarcela con i migranti. E se protestiamo ci tira cinghiate sulla testa, come gli scafisti.” Fonte: Il Giornale, 5/10/2013
Vi sarà legame tra tali problemi e il «vangelo bergoglione» che dice: “Se si guardano periferie … drogati! Il traffico di esseri umani… Questo è il Vangelo. I poveri sono il Vangelo.” Ma la vera civiltà non deve affrontare proprio le questioni degli equilibri umani con criteri ordinati a un alto fine comune a tutti? Sarebbe estranea ai Vangeli, o era, al contrario, lontana da quel pelagianesimo e gnosticismo da essi stigmatizzati, ma presenti proprio in quel attivissimo spirito del concilio impegnato a cambiare tutto? Troviamo il nodo della matassa nell’intenzione confessata dei «gran dubbi pastorali», illuministi che impregnarono gli atti ed eventi del Vaticano 2º. Se qualcuno troverà errori in quanto sarà descritto, per favore lo spieghi in modo fondato sulla Dottrina cattolica (monolitica), non con sparate demagogiche, che solo confondono altre menti.
Il pelagianesimo è un’eresia ispirata al Cristianesimo che prende il nome dal monaco irlandese Pelagio. Il cuore del pelagianesimo è la credenza che il Peccato originale non macchiò la natura umana e che la volontà dell’essere umano è ancora in grado di scegliere il bene o il male senza uno speciale aiuto divino (e lo Spirito Santo fu tenuto fuori del concilio pastorale!) la conseguenza è che il peccato di Adamo sarebbe solo di portare un «cattivo esempio» alla sua progenie, senza altra conseguenza per il suo agire. Nel pelagianesimo, il ruolo di Gesù è di presentare, invece, un «buon esempio» in grado di bilanciare quello di Adamo e di fornire l’espiazione per i peccati degli esseri umani. L’umanità avrebbe allora la possibilità di seguire i vangeli e dunque di assumere la responsabilità piena per i peccati. Quindi, i peccatori non sarebbero mai vittime, ma delinquenti consapevoli e bisognosi solo dell’espiazione e del perdono di Gesù Cristo.
Il pelagianesimo riduceva anche la salvezza eterna a qualcosa di «controllabile» dal buon uso della libertà umana. Anche un ideale di santità difficile da raggiungere sarebbe comunque raggiungibile dalla volontà autonoma dell’uomo.
Per la «Dottrina monolitica cattolica», invece, l’uomo è, a causa del Peccato originale, incapace di vivere appieno i doni di Dio senza l’ausilio decisivo della Grazia e dunque di quanto da essa deriva per l’ordine in terra. Ecco la «Dottrina» di quella Civiltà cristiana esistita e fondata sulla necessità dell’azione della Grazia per la salvezza, attraverso il Battesimo e i Sacramenti della Chiesa. Essi inducono l’ordine nelle coscienze e quindi l’ordine sociale della «Civiltà» in questo mondo confuso.
Il pelagianesimo fu combattuto da Sant’Agostino e definitivamente condannato come eresia nel Concilio di Efeso (431). Tuttavia continuò in altre versioni ad avere influenza in ambito ecclesiastico. Inutile dire che la questione pelagiana è continuata nel tempo sotto altre denominazioni di semi-pelagianesimo e via… fino ai «papi conciliari»!
Il semipelagianesimo è una teoria la cui formulazione risale a Giovanni Cassiano (circa 360-435), Vincenzo da Lerino (morto prima del 450) e ad altri monaci francesi. Secondo essi, gli esseri umani, ai fini della salvezza devono fare da sé stessi il primo passo verso Dio, cioè senza l’aiuto della grazia divina, la quale subentra solo in un secondo tempo. Quindi, mentre il pelagianesimo vuole che l’uomo possa fare il bene autonomamente senza la Grazia, il semi-pelagianesimo vuole lo stesso, ma riguardo al solo primo passo umano, il che lo rende ancora più ingannevole. Pur ammettendo (a differenza dal pelagianesimo), che la Grazia sia indispensabile alla salvezza, il semi‑pelagianesimo fu formalmente condannato nel secondo Concilio di Orange (529), ma fiorì nell’epoca dell’umanesimo e del rinascimento, rimanendo a tutt’oggi prevalente nel mondo in cui si tende ad accettare che l’essere umano si avvalga della propria libertà e autonoma per salvarsi, magari stimolato dalla grazia divina.

Come la Dottrina (monolitica) cattolica risolve la questione

Quale il punto della questione se non la nozione di «bene» da raggiungere? Ora, il «bene» è la perfezione dell’essere, per cui il bene di ognuno è la perfezione della propria persona, che però si misconosce. E ciò è reale: nessuno conosce bene se stesso, e niente della propria origine e fine ultimo da sé, autonomamente, senza la Grazia della divina Rivelazione. Ma questa conoscenza è imperfetta a causa della caduta originale. E con la Redenzione, schiusaci dall’incarnazione, passione e morte del Signore, quel che l’essere umano ha ricevuto, più che conoscenza perfetta, impossibile a noi data la nostra natura, è stata la Grazia senza la quale nessuno si salva. Allora, chi usa il libero arbitrio nella volontà di aderirvi, può trovare la salvezza.
Il discorso implica, quindi, piuttosto una direzione del «bene» umano, che può venire solo da Dio all’uomo, mentre il pelagianesimo è l’apologia della «direzione opposta»: dell’idea umana di «bene» verso la verità di Dio. Eppure la direzione evangelica è solo quella di Gesù Cristo rivelatosi Via, Verità e Vita, poiché non ci può essere un’altra via per la vita nel senso inverso. Ciò vorrebbe il pelagianesimo e consimili, anche il altre forme gesuiticamente mitigate dei «peccati filosofici».
E ci siamo; l’illuminismo è apertamente l’idea di una «verità», «via» e «vita», ideate nel tempo dei filosofi delle nuovi «luci» più risplendenti e aperte a nuovi orizzonti. Ora, basta leggere le deliberate aperture del Vaticano 2º, di Ratzinger e ora di Bergoglio, per capire che essi hanno intrapreso per la propria e per la «nuova coscienza della Chiesa», il senso inverso di quello di Dio all’uomo. L’uomo moderno, ormai adulto come vuole il gesuita Rahner, avrebbe capito essere il Cristianesimo carente dell’apertura alle larghe vie dell’illuminismo, per cui doveva finalmente incorporare i suoi diritti e il suo «bene umanitario» che purtroppo ignorava, così come la stessa «libertà di coscienza» che si deve schiudere oggi pure ai nuovi diritti, magari sull’omofobia e quant’altro!
Il pelagianesimo e i Gesuiti istruiti da Rahner
Nei tempi moderni, il pelagianesimo può essere visto come dottrina tipica del liberalismo (cristiano), che esalta l’autonomia e la libertà individuale rispetto all’autorità gerarchica, accusata di mantenere il proprio ruolo di mediazione tra la Grazia di Dio e gli uomini. Ciò, malgrado anche la prima «rivoluzione liberale» protestante, pur escludendo il ruolo di mediazione del clero, non nega il ruolo decisivo della Grazia.
Rimane, però, quello che oggi Bergoglio ripete: “in ogni epoca l’uomo cerca di comprendere ed esprimere meglio se stesso. E dunque l’uomo col tempo cambia il modo di percepire se stesso”… diviene «adulto», anche se non è cristiano né vuole esserlo. Il fatto è che da «adulto» sarà comunque un invisibile cristiano «anonimo»!
«Rahner, S. J., in nome di un presunto cristianesimo invisibile, scoraggia la predicazione missionaria nel mondo, e con ciò indirettamente propizia un’umanità senza influsso della Chiesa visibile. Tutti questi teologi convergono, nell’una o nell’altra versione, nel favorire lo sviluppo di un mondo, di un’umanità, di una civiltà, che si allontanano dalla Chiesa, da Cristo e da Dio, e camminano spinti da un movimento proprio che li porta a fini puramente terrestri. P. Julio Meinvielle (La Iglesia y el Mundo moderno,”El Progresismo en Congar y otros teólogos recientes”, (Chiesa e mondo moderno, il progressismo in Congar ed in altri teologi recenti). Ed. Teoría, Bs. Aires, anno 1966, Cap. IV, pp. 143 e ss.
Come si sa, se i veri Gesuiti furono grandi missionari, ora i gesuiti conciliari anche dopo aver scalato il Soglio di Pietro, pensano che l’uomo contemporaneo, adulto, possa esprimere il meglio di se stesso adeguandosi al tempo che cambia il modo di percepire se stesso, il mondo e magari raggiungere il punto Omega del Cristo cosmico ideando l’homo sapiens per l’ordine mondiale, la mutazione della Chiesa e la salvezza di tutti in quel mondo nuovo, socializzato, che cercano attivamente d’impiantare ovunque.
Ecco l’ermeneutica più pelagiana e gnostica delle false «elite» gesuitiche e conciliari, contraddittori velati della superiorità gerarchica della Grazia sul libero arbitrio, della Fede sulla ragione, della Provvidenza divina sulla libertà umana, della Chiesa sullo Stato, nella supremazia di Dio sull’uomo… “principi che non possono essere riattivati se non da chi li conosce, e nessuno li conosce se non la Chiesa cattolica”. (Juan Donoso Cortès).
Ecco che la Rivoluzione sapeva dove colpire. Solo una falsa chiesa guidata da un falso papa poteva sviare tanto dai principi cattolici. Ciò ora proviene dal vertice della Chiesa i cui occupanti s’impegnano ad impedire la restaurazione di codesti eterni principi sia nell’ambito religioso sia nell’ordine politico di cui dipende la salvezza delle società e delle anime. A noi oggi spetta testimoniarlo per l’onore della Madre Chiesa e la ferma speranza di vedere di nuovo tutto instaurato in Cristo Signore.
—————o0o—————
(Bergoglio, primo Angelus del 17 marzo 2013)
In questi giorni, ho potuto leggere un libro di un Cardinale – il Cardinale Kasper, un teologo in gamba, un buon teologo – sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene, quel libro, ma non crediate che faccia pubblicità ai libri dei miei cardinali! Non è così! Ma mi ha fatto tanto bene, tanto bene … Il Cardinale Kasper diceva che sentire misericordia, questa parola cambia tutto. E’ il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo.
Ecco un articolo sul Card. Kasper, definito nel maggio del 1989 dall’allora card. Ratzinger, poi Benedetto XVI come “un dono prezioso” “per la Chiesa Cattolica in Germania…”confezionato da Don Luigi Villa che dovrebbe fare rifletteri tutti quelli che credono di potere trattare con la sètta conciliare:
L’ERETICO TEOLOGO TEDESCO
card. WALTER KASPER
Ricordo ancora la scossa che ebbi alla nomina di “Segretario speciale”, nel Sinodo del gennaio 1983, del teologo (?) Walter Kasper, tutt’altro che ortodosso per tutte le eresie che ha sfornato dal Concilio ad oggi.
Per necessità di spazio, non posso dare, qui, che rapidi accenni alla sua dottrina nefasta.
Ad esempio: nel suo volume: “Ateismo e linguaggio” (Roma 1974) scrive:
«… dall’uomo e dal mondo non si può risalire a Dio».
Nel suo libro: “Introduzione alla Fede”, scrive:
«Certi dogmi possono essere totalmente unilaterali, testardi nel volere avere sempre ragione, stupidi e precipitosamente prematuri».
I miracoli di Gesù, per Lui, vanno visti sotto due aspetti: storici e scientifici, come la “tempesta sedata”, “la trasfigurazione”, “Gesù che cammina sulle acque”, “la moltiplicazione dei pani e dei pesci”, “la pesca miracolosa”, ecc., mentre “i miracoli sulla natura risultano della aggiunte secondarie alla tradizione originale”.
L’aver messo a “teologo” del Concilio questo squinternato tedesco è stato come un voler togliere la già poca credibilità dello zoppicante Vaticano II!
Kasper fu anche il responsabile principale del cosiddetto “Catechismo Tedesco per Adulti”, zeppo di manchevolezze, inesattezze ed errori dottrinali.
Da ricordare che egli fu anche il firmatario, nel 1972, del famoso “Manifesto” dei 32 teologi. Nel 1989, invece, non firmò il “Manifesto” dei 163, solo perché già sapeva della sua infausta nomina a Vescovo.
A scrivere su l’aberrante Rivista “Concilium”, nella sezione “Ecumenismo”, iniziò con lo scritto: “La Chiesa sotto la Parola di Dio”. Era l’introduzione a una dogmatica rinnovata secondo il Vaticano II.
La sua strategia di modernista fu quella di suggerire che “un uomo moderno non può credere, perché incontra ostacoli che non riesce a superare, per cui deve accettare questa impossibilità”.
E in un suo articolo del 14 luglio 1989, riportato dalla “Schweizerische Katholische Wochensentung”, afferma che è impossibile conservare la fede nella Chiesa, rimasta un misterioso grano di senape.
Il suo libro “Introduzione alla Fede”, edito dalla Queriniana nel 1973, fu subito criticato dal salesiano Luigi Bogliolo, allora professore nella Pontificia Università Lateranense, nella sua monografia: “Ateismo e linguaggio” dove spiega perché Kasper afferma che è in questione anche la nostra fede, anzi “la Fede stessa”, perché – secondo Kasper – «non è più praticabile per arrivare a Dio, né la via ontologica della tradizionale filosofia cristiana sulla base della sola esperienza, perché l’uomo ha trasformato il mondo in naturale della sua libertà, né la via delle esigenze interiori della coscienza, che reclama Dio come postulato, al modo di Kant». Il che significherebbe appunto – secondo Kasper – che “dall’uomo e dal mondo non si può risalire a Dio”.
Ma anche la teologia, come scienza, può far poco – sempre secondo Kasper – perché “non è possibile una filosofia che porti alla fede quale fondamento umano della fede stessa. Non è possibile una teologia filosofica capace di dire qualcosa intorno a Dio”.
L’insignificanza del linguaggio teologico si risolve “nel-l’impossibilità, per l’intelligenza umana, di conoscere Dio, prima e fuori della fede”.
Ora, questo è in contraddizione con la Rivelazione1 e col Magistero infallibile della Chiesa:
«Se qualcuno dirà che l’unico e vero Dio, Creatore e Signore nostro, non può essere conosciuto col lume della ragione, attraverso le cose create, sia scomunicato»2.
Ma Kasper se ne infischia dell’uno e dell’altro, impregnato com’è di modernismo, cadendo anche sotto gli anatemi precisi dell’enciclica “Pascendi” di S. Pio X.
Nel suo libro: “Gesù il Cristo”, scrive, apertis verbis, che Gesù non è Figlio di Dio. È questo in senso vero e proprio, sia in senso metafisico che ontologico. Secondo Lui, infatti, «questa confessione di Gesù Cristo Figlio di Dio… anche oggi viene accolta con notevole diffidenza da parecchi fedeli (sic!). Secondo l’obiezione più corrente, che è poi anche la più importante, qui ci troveremmo di fronte a un residuo di mentalità mitica passivamente accettata»3.
Nei Vangeli sinottici – secondo Kasper – «Gesù non si qualifica mai come Figlio di Dio. Una simile enunciazione deriva, quindi, chiaramente dalla confessione di fede della Chiesa».
Che cosa ne ha fatto, allora, Kasper della confessione di Pietro, a Cesarea di Filippo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»4, subito sanzionata da Cristo stesso:
«Beato te, Simone Bar Jona, perché non la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli»?..
E la risposta di Gesù: «Sì, lo sono!», davanti al-l’Alto Consiglio, per Kasper, Gesù lo disse perché “fu costretto a dichiararsi Messia”!
E quando, dopo la Pasqua, la comunità cristiana confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Kasper non Gli riconosce “una dignità che andrebbe ben oltre le sue pretese”.
Affermando, poi, che “nella scuola paolina e negli scritti giovannei, si giunge così ad una confessione esplicita della divinità di Gesù”, Kasper viene ad attribuire la divinità di Gesù ad una invenzione di San Paolo e di San Giovanni.
***
E per Kasper non ci sono miracoli nel Vangelo.
Infatti, per Lui, i “miracoli”, sono “leggende”, “racconti non storici”, né costituiscono una prova della divinità di Gesù Cristo; anzi, i miracoli sono “un problema che rende piuttosto strana e difficilmente comprensibile all’uomo moderno l’attività di Gesù”.
Per diminuirne il valore, poi, scrive:
«Dal punto di vista letterario, si può notare una tendenza ad amplificare e moltiplicare i miracoli».
E continua:
«I racconti miracolosi del Nuovo Testamento, sono strutturati in modo analogo a quelli che già conosciamo nell’antichità»; «Si ha, quindi, l’impressione che il Nuovo Testamento abbia arricchito la figura di Gesù di numerosi motivi extra-cristiani, per sottolinearne la grandezza e l’autorità».
E continua a demolirli:
«Alcuni racconti miracolosi si sono dimostrati, all’indagine della storia delle forme (?!) come proiezioni dell’esperienza pasquale sulla vita terrena di Gesù, o come anticipazioni sull’attività del Cristo glorificato. Tra queste storie epifaniche vanno annoverati, ad esempio, il miracolo della tempesta sedata, la scena della trasfigurazione, il cammino sulle acque, la moltiplicazione dei pani per 4-5.000 persone, la pesca miracolosa. I racconti del risveglio della figlia di Giairo, del giovanetto di Naim e di Lazzaro, non mirano ad altro che a presentare Gesù come Signore della vita e sulla morte».
E prosegue:
«Molte storie miracolose riferiteci dai Vangeli devono essere considerate leggendarie. Molte leggende vanno analizzate non tanto nel loro contenuto storico, bensì in quello teologico», e cioè:
«questi racconti non storici sono enunciati di fede su significato salvifico della persona e del messaggio di Gesù»5.
Incredibile! Questo sbruffone della teologia moderna fa di tutto il Vangelo una grande impostura della storia! E, benché ammetta che “Gesù ha compiuto delle opere straordinarie che lasciarono stupefatti i contemporanei”, tuttavia, aggiunge che questo “ha un’importanza piuttosto relativa”, anche perché questi “miracoli” “possono essere interpretati anche come opera del demonio. In se stessi non sono, poi, così chiari, e non contribuiscono necessariamente una prova della divinità di Gesù”.
Anche qui, è chiaro come Kasper è contro la Tradizione e contro il Vaticano I, che sentenziò che «i miracoli di Gesù sono argomenti certissimi della divina Rivelazione e adatti all’intelligenza di tutti»6 (“Miracula divinae Revelationis signa sunt certissima per omnium intelligentiae accomodata”).
Ma per questo traditore della Fede, intriso di superbia satanica, “il concetto apologetico di miracolo si rivela formula vuota”, perché i miracoli «sarebbero sicuramente accertabili soltanto nel caso in cui noi fossimo in grado di conoscere in modo completo tutte le leggi della natura e di penetrare fino in fondo ogni singolo caso», per cui «queste e altre analoghe difficoltà hanno indotto i teologi (?) a superare, in parte, o del tutto, il concetto apologetico di miracolo».
Ecco un altro sragionare che merita ancora l’altro anatema del Vaticano I:
«Se qualcuno dirà che i miracoli non sono possibili e che, perciò, tutti i racconti miracolosi contenuti anche nella sacra Scrittura devono essere relegati tra le leggende e i miti, o che i miracoli non possono giammai essere conosciuti con certezza, né con essi si può debitamente dimostrare l’origine divina della religione cristiana, sia scomunicato!»7.
***
Inoltre, per Kasper non c’è stata risurrezione corporea di Gesù.
Difatti, scrive:
«Quando si parla di Gesù risorto, il pensiero corre quasi spontaneamente ai dipinti di Matthias Grûnewald, dove osserviamo un Cristo che esce trasfigurato dal sepolcro. Ma basta gettare un rapido sguardo sul dato della Tradizione del Nuovo Testamento per rendersi conto che un simile quadro non rispecchia affatto il reale svolgimento dei fatti»8.
E continua:
«Gli enunciati della Tradizione neo-testamentaria della risurrezione di Gesù non sono affatto neutrali: sono confessioni e testimonianze prodotte da gente che crede».
E prosegue con sicumera che:
«dobbiamo supporre che non si tratti di cenni storici, ma soltanto di artifici stilistici, escogitati per richiamare l’attenzione e creare suspance».
E continua ancora:
«In ciò su cui si vuole richiamare l’attenzione non è il sepolcro vuoto; si annuncia la resurrezione, e il sepolcro viene considerato soltanto come segno di questa fede»…
comunque,
«La Rivelazione di un nucleo storico , presente nei racconti del sepolcro vuoto, non costituisce, certo, una prova della risurrezione». «Il sepolcro vuoto rappresenta un fenomeno ambiguo, aperto a diverse possibilità di interpretazioni».
Uno sragionare così può valere per deficienti mentali, non perché sa che “obiettivamente” è successo veramente così, ma perché sa che Gesù è veramente Dio. Perciò, questo scucito mentale di Kasper non può non cadere, anche qui, nell’altro anatema del Vaticano I:
«Se qualcuno dirà che la Rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni, e che perciò gli uomini non devono essere mossi alla fede se non da sola interna esperienza, o privata ispirazione, sia scomunicato!»9.
Ma anche l’Ascensione di Cristo in cielo, per Kasper, non ci fu, come non ci furono le apparizioni.
Per Lui, Cristo non è mai asceso al cielo, perché non ne era mai disceso:
«Queste nubi che sottraggono Gesù allo sguardo dei discepoli attoniti, quindi, non sono un fenomeno meteorologico, ma un simbolo teologico».
Come si vede, la sua cristologia è sempre senza Fede: niente divinità di Cristo, niente resurrezione, niente Ascensione, niente apparizioni.
Di tutto questo, infatti, Egli scrive:
«Questi racconti vanno interpretati alla luce di quanto essi vogliono esprimere», per cui questi testi «dove si parla di un Risorto che viene toccato con le mani e che consuma dei pasti coi discepoli10 non vanno presi alla lettera», ma solo «sono confessioni e testimonianze prodotte da gente che crede».
Quindi, Kasper sentenzia:
«Bisognerà dunque partire dal fatto che questo loro “vedere” è stato reso possibile dalla fede, o meglio si è trattato di una esperienza condotta nella “fede”»…
E così, Kasper liquida, d’un sol colpo, tutto il Vangelo delle apparizioni!
***
E così crolla anche la “Mariologia”
È la sua logica. Infranta la cristologia, Kasper va all’attacco anche della Mariologia. Infatti, scrive di
«difficili problemi teologici-biblici che la tematica (?) del concepimento verginale solleva», per cui la verginale maternità di Maria è «ancora aperta sul piano biblico».
E spezza una lancia anche in difesa di Nestorio, il negatore della divina maternità di Maria, scrivendo:
«(A Nestorio) vennero attribuite le più gravi deviazioni dottrinali, mentre il Concilio di Efeso lo bollò addirittura con l’appellativo di “Giuda redivivo”. Oggi, però, in seguito alle ricerche condotte dalla teologia storica (?) si è propensi ad una riabilitazione».
Un altro “Giuda redivivo”, però, oggi, per noi, è proprio Lui, Kasper, il “Giuda moderno”, che elimina logicamente anche l’infallibilità della Chiesa.
Come Hans Küng, suo degno collega in eresie, nega infatti l’infallibilità della Chiesa ed entrambi, con la loro “nuova cristologia”, “ripudiano il Magistero e l’autorità della Chiesa”11.
***
Chiudo, qui, queste enunciazioni di apostasia della Fede cattolica, pubblicate e insegnate addirittura da un cardinale della Chiesa cattolica.
Purtroppo, dopo il Vaticano II, gli “errori teologici” vengono solo “dichiarati” e non più condannati né anatemizzati. E ancora peggio, gli “eretici”, oggi, li vediamo persino protetti dall’alto e anche promossi, com’è stato con questo eretico teologo tedesco, promosso persino a vescovo e, poi, a cardinale!
Ancora prima, fu però scelto come membro della “Commissione Teologica Internazionale”; poi, fu eletto a Consulente del “Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani”; dopo, fu “teologo” del Sinodo speciale del 1985; e, a coronamento, infine, fu eletto Vescovo, scrivendogli persino che “per la Chiesa cattolica in Germania, in un periodo turbolento, Lei è un dono prezioso»12.
Per me, invece, è uno dei tanti esempi di azione modernista, la più sfacciata e impudente. Altro che “dono”, fatto da Roma alla Germania germanica, ma bensì un fumo per cervelli già annebbiati dall’aura del Vaticano II, impregnata di idealismo, di esistenzialismo e di immanentismo di tante altre filosofie moderne.
C’è solo, quindi, da rabbrividire e da sdegnarsi di queste promozioni ecclesiastiche che sembrano insediate per minare, definitivamente, la Chiesa di Cristo!
Ma… “Non prevalebunt!”.
NOTE
1 Cfr. San Paolo, Rom. 1, 20 – Rom. 2, 14 ss.
2 Cfr. Dz 180.
3 Cfr. Walter Kasper, “Gesù il Cristo”, p. 223.
4 Cfr. Mt. 16, 16.
5 Cfr. Walter Kasper, “Gesù il Cristo”, p. 118.
6 Cfr. Denz. 1790.
7 Cfr. Denz. 1813.
8 Cfr. Walter Kasper, “Gesù il Cristo”, p. 175.
Cfr.Denz. 1812.
10 Cfr. Lc. 24, 38 ss; Jo. 20, 26 ss.
11 Cfr. Leone XIII, “Vigilantiae”.
12 Cfr. Lettera del card. Ratzinger, in “30 giorni”, maggio 1989.
———————–o0o————————

E il Pontefice elogia Kasper

«È un buon teologo»

SENTIRE papa Francesco citare ed elogiare, al suo primo Angelus e sulla misericordia, Walter Kasper — «è un buon teologo» — fa una certa impressione. Di primo acchito il riferimento è suonato come un segno di continuità con il predecessore Benedetto XVI di cui il pensatore, già allievo del ribelle …
SENTIRE papa Francesco citare ed elogiare, al suo primo Angelus e sulla misericordia, Walter Kasper — «è un buon teologo» — fa una certa impressione. Di primo acchito il riferimento è suonato come un segno di continuità con il predecessore Benedetto XVI di cui il pensatore, già allievo del ribelle Hans Kueng, nonché elettore più anziano nell’ultimo conclave, è amico di vecchia data. Ma non sempre l’amicizia garantisce identità di vedute, per di più non tiene alla larga da confronti serrati. Come, per l’appunto, quelli tra il predecessore di papa Bergoglio e l’ex presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, nominato da Giovanni Paolo II e pensionato tre anni fa da Benedetto XVI, senza troppi encomi, per raggiunti limiti di età. Ratzinger e Kasper, entrambi tedeschi, hanno due concezioni della Chiesa piuttosto diverse, tanto che il futuro Benedetto XVI nel 2000, in occasione di un convegno sulla visione ecclesiale del Concilio ecumenico Vaticano II, non rinunciò a prendere le distanze dalle tesi del connazionale: per l’Emerito di Roma prima viene la Chiesa universale poi quella particolare-diocesana. Di contro Kasper sottolinea l’universalità della Chiesa già nella comunità diocesana, sia questa quella di Rovigo o Boston, dando così priorità alle singole porzioni del popolo di Dio. Questo, in estrema sintesi, significa concedere maggiore autonomia alle Chiese locali e più collegialità episcopale. Due aspetti sui quali papa Francesco appare particolarmente sensibile. Non a caso continua a preferire per sé la dizione di vescovo di Roma a quella di Pontefice e a rimarcare l’esigenza di un cammino comune del popolo con il proprio pastore.
UN’ALTRA controversia, stavolta di carattere più pastorale, fra Kasper e Ratzinger, ha interessato la Comunione ai divorziati risposati. Il primo assieme al cardinale Karl Lehmann — con Kasper un altro sicuro elettore di Bergoglio in conclave — era più possibilista, mentre Ratzinger più rigorista. Non va poi dimenticato lo scontro sul lasciapassare all’aborto, indirettamente rilasciato dai consultori cattolici in Germania. E che dire dell’apertura, a firma ancora una volta del Kasper, sul diaconato femminile, anche se fuori dall’ordine sacro? Il via libera è arrivato solo quale settimana fa, guarda caso dopo l’annuncio choc delle dimissioni di Benedetto XVI, da sempre contrario ai ministeri ecclesiali per le donne. Certo, il riferimento di Bergoglio al teologo di per sé non significa un’adesione del Papa alle posizioni liberal del cardinale. Solo i provvedimenti concreti potranno confermare i gesti innovativi di queste ore. Con i quali, per dirla con Kasper, che confessa di essere «molto, molto contento per l’elezione di Francesco» e «sorpreso per la piacevole citazione, mi ha fatto molto piacere», il Papa «ritorna alla semplicità apostolica, agli inizi del cristianesimo».
——————–o0o——————–
——————–o0o——————–
——————–o0o——————–

AMBIGUITÀ DEL VATICANO 2 CONDANNATE SENZA AMBIGUITÀ

WalterKasperCard 200806.pngL’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele
Al discorso del card. Walter Kasper sul Vaticano due (L’Osservatore Romano, 12.04. 2013) segue il commento di Sandro Pelegrineti de Pontes: “Kasper ha riconosciuto l’ovvio, ossia che il Vaticano II è stato ambiguo per favorire interpretazioni spurie. 
di Walter Kasper
“Era l’epoca della guerra fredda; l’anno prima dell’inizio del concilio era stato costruito il Muro di Berlino e, durante il periodo della prima sessione, il mondo, a causa della crisi di Cuba, si ritrovò sull’orlo del baratro della guerra atomica. Oggi, cinquant’anni dopo, viviamo in un mondo globalizzato, completamente diverso e in rapido cambiamento, con nuove questioni e nuove sfide. La fede ottimistica nel progresso e lo spirito dell’incamminarsi verso nuovi confini sono volati via da tempo. Per la maggior parte dei cattolici, gli sviluppi, messi in moto dal concilio, fanno parte della vita quotidiana della Chiesa. Ma ciò che vi sperimentano non è il grande avvio e non è la primavera della Chiesa che ci aspettavamo allora, ma è, piuttosto, una Chiesa dall’aspetto invernale, che mostra segni chiari di crisi.
Per chi conosca la storia dei venti concili riconosciuti come ecumenici, questo non costituirà una sorpresa. I tempi postconciliari furono quasi sempre turbolenti. Il Vaticano II, però, rappresenta un caso particolare. Diversamente dai concili precedenti, non fu convocato per estromettere dottrine eretiche o per comporre uno scisma; non proclamò alcun dogma formale e non prese nemmeno deliberazioni disciplinari formali. Giovanni XXIII aveva una prospettiva più ampia [aperta alle logge e sinagoghe!...]. Una minoranza influente oppose resistenza pervicace a questo tentativo della maggioranza. Il successore di Giovanni XXIII, Papa Paolo VI, era fondamentalmente dalla parte della maggioranza, ma cercò di coinvolgere la minoranza e, in linea con l’antica tradizione conciliare, di raggiungere un’approvazione, per quanto possibile all’unanimità, dei documenti conciliari, che in totale furono sedici. Ci riuscì; ma si pagò un prezzo. In molti punti, si dovettero trovare formule di compromesso, in cui, spesso, le posizioni della maggioranza si trovano immediatamente accanto a quelle della minoranza, pensate per delimitarle.
Così, i testi conciliari hanno in sé un enorme potenziale conflittuale; aprono la porta a una ricezione selettiva nell’una o nell’altra direzione.
Quale direzione indica la bussola del concilio e dove conduce il cammino della Chiesa cattolica, nell’ancor giovane XXI secolo? […]
Si possono distinguere tre fasi della ricezione, fino ai giorni nostri. Anzitutto, la prima fase della ricezione entusiastica. Karl Rahner, subito dopo essere ritornato dal concilio, in una conferenza a Monaco parlò di “inizio dell’inizio”. Ma Rahner restò cautamente scettico in ciò che riguardava il futuro. Altri si spinsero oltre e vollero lasciare in disparte ciò che considerarono elementi della tradizione trascinati nel concilio come accessori, frutto di compromesso, e, come Hans Küng, effettuando un salto di quasi duemila anni di storia della Chiesa, interpretarono la dottrina della Chiesa in modo del tutto nuovo, partendo dalla Sacra Scrittura.
La reazione non si fece attendere a lungo. Venne non solo dall’arcivescovo Lefebvre e dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, da lui fondata, ma anche da teologi che, durante il concilio, erano stati annoverati tra i progressisti (Jacques Maritain, Louis Bouyer, Henri de Lubac). Diversamente da Lefebvre, loro non criticarono il concilio in sé, ma criticarono la sua ricezione. Di fatto, nei primi due decenni dopo il concilio, si ebbe un esodo di molti sacerdoti e religiosi; in molti ambiti si ebbero uno scadimento della prassi ecclesiastica e movimenti di protesta di sacerdoti, religiosi e laici. Papa Paolo VI parlò di «fumo di Satana», entrato da qualche fessura nel tempio di Dio.
Ancora oggi, alcuni critici considerano il Vaticano II, nel contesto della storia della Chiesa, come una sciagura e come la maggiore calamità in tempi recenti. Ma rappresenta un cortocircuito ritenere che tutto quel che avvenne dopo il concilio sia accaduto anche a causa del concilio. I critici misconoscono i trend di lungo respiro che agirono già prima del concilio e che conobbero una notevole accelerazione nei rivolgimenti sociali connessi con la protesta dei giovani e degli studenti nel 1968. Dopo il 1968 le tendenze emancipatrici ebbero effetti anche in ambiti ecclesiastici. Durante il concilio, furono i progressisti a essere i veri conservatori, che volevano rinnovare la tradizione antica; dopo, presero la parola progressisti di nuovo genere, che non si orientavano tanto alla tradizione più antica, quanto invece ai “segni dei tempi” e che volevano interpretare il Vangelo in base alla mutata situazione sociale.
Il Sinodo episcopale straordinario del 1985, venti anni dopo la fine del concilio, iniziò la terza fase della recezione [ambigua]. Il Sinodo ebbe il compito di fare un bilancio. Consapevole della crisi, non volle però unirsi al diffuso coro di lamenti. Parlò di situazione ambivalente, in cui, oltre ad aspetti negativi, c’erano anche buoni frutti: il rinnovamento liturgico, che portò a una maggiore sottolineatura della Parola di Dio e a una partecipazione più forte dell’intera comunità celebrante; la partecipazione e cooperazione rafforzate dei laici alla vita della Chiesa; gli avvicinamenti ecumenici; le aperture al mondo moderno e alla sua cultura e molti altri ancora. […]
I documenti conciliari non sono rimasti lettera morta. Hanno dato l’impronta alla vita in diocesi, parrocchie e comunità religiose, mediante il rinnovamento della liturgia, una spiritualità caratterizzata da un più forte connotato biblico e la partecipazione dei laici e stimolato il dialogo ecumenico e interreligioso. Il concilio è stato accolto positivamente in particolare dai nuovi movimenti spirituali, sorti negli anni Settanta, che hanno portato alla luce, in modo nuovo, la molteplicità dei carismi e la vocazione universale alla santità [!]. Neanche la ricezione ufficiale è rimasta ferma. In parte, è passata dal concilio nelle riforme liturgiche, in cui il concilio si atteneva ancora al latino come lingua normale liturgica e non si parlava di una celebrazione orientata verso il popolo. Lo stesso vale per le indicazioni sociali ed etiche di Papa Giovanni Paolo II per l’attuazione della libertà religiosa mediante la rescissione di concordati che collidevano contro di essa e, infine, riguardo alla “politica” dei diritti umani, con cui Giovanni Paolo II ha fornito un contributo essenziale alla sconfitta delle dittature comuniste dell’Europa Orientale [mai con la ostpolitik conciliare!]. Vale anche accennare alla sua enciclica sull’ecumenismo, Ut unum sint (1995), che ha approfondito le enunciazioni ecumeniche del concilio portandole avanti con energia. Tutto questo ha trasformato positivamente [?], sotto molti aspetti, il volto della Chiesa tanto all’interno quanto all’esterno. L’ecumenismo, altro tema importante, ha dato molti buoni frutti, più di quanti ci si aspettasse al tempo del concilio.
Una Chiesa che si appoggi al mainstream sociale diventa, in ultimo, superfluaNon diventa interessante se si orna con piume non sue, ma se fa valere la propria causa in modo credibile e convincente e se compare come contrafforte all’opinione pubblica dominante. […]
Un ulteriore, importante indizio l’ha dato Papa Benedetto XVI, in un discorso ai cardinali e ai collaboratori della Curia romana, tenuto il 22 dicembre 2005, in occasione del quarantesimo anniversario della chiusura del concilio. Così ha introdotto la fase più recente del dibattito sull’interpretazione del concilio. Ha chiarito che il consenso non deve essere solo sincronico (riguardante la Chiesa attuale) ma anche diacronico (riguardante la Chiesa in ogni epoca). Ha contrapposto due ermeneutiche: quella della discontinuità e della rottura, che respinse, e quella «della riforma, del rinnovamento». Le parole del Papa sono state, spesso, interpretate in modo unilaterale, tralasciando di considerare che non ha contrapposto, come molti affermano, l’ermeneutica della discontinuità all’ermeneutica della continuità. Il Papa parlò di un’ermeneutica della riforma e del «rinnovamento nella continuità» della Chiesa.Quello della riforma è, nel complesso della Tradizione medioevale, un termine fondamentale e una sfida che si ripropone di continuo. Riforma non significa solo necessario adattamento pratico di singoli paragrafi a circostanze nuove. Chi parla di riforma, presuppone che sussistano deficit e disfunzioni che rendono necessario rifarsi a tradizioni più antiche, dimenticate, in particolare all’inizio apostolico, rinnovandole creativamente.
Il discorso del Papa sulla riforma e il rinnovamento nella continuità, riflette una concezione viva della Tradizione, che, se alle argomentazioni fondamentali seguono conseguenze pratiche, potrebbe riaccendere nuovamente il fuoco del concilio, cioè potrebbe, nella continuità, portare di nuovo l’impulso innovatore del concilio.
Domandiamo: Come può apparire tale rinnovamento e verso dove può andare il cammino ulteriore? Come applicare la eredità dei Papi Giovanni XXIII e Paolo VI oggi? Non ho un programma complessivo. Posso, accennare solo ad alcuni, pochi, punti di vista. Innanzitutto, il concilio ha accolto, in modo critico-costruttivo, richieste importanti della modernità. Oggi, mezzo secolo dopo, dall’età moderna siamo passati a quella postmoderna. Molte vecchie questioni si pongono in modo nuovo; anche molti ideali dell’illuminismo vengono oggi messi in discussione. La fede nel progresso, che c’era allora, come pure la fiducia nella ragione, sono scosse. Ciò non significa che il concilio non sia più attuale. La Chiesa deve prendere sul serio le richiese legittime dell’età moderna. Deve difendere [discutere] la fede sia contro il pluralismo e il relativismo postmoderni sia contro le tendenze fondamentaliste che rifuggono dalla ragione.Seconda sfida: Nell’era postmoderna, è quella che viene non solo dal nostro mondo occidentale secolarizzato e relativista ma dall’emisfero Sud, cioè la sfida della povertà della grande maggioranza degli uomini. Papa Francesco con la sua opzione per una Chiesa povera per i poveri lo ha ricordato. Lo ha fatto in continuità con il Vaticano II, che nella Lumen gentium in una sezione spesso dimenticata parla della sequela del Gesù diventato per noi povero e della povertà e semplicità apostolica della Chiesa. In questo sensoPapa Francesco sin dal primo giorno del suo pontificato ha dato la sua interpretazione direi profetica del concilio e ha dato avvio a una nuova fase della sua recezione. Lui ha cambiato l’agenda: in testa adesso ci sono i problemi dell’emisfero Sud. […]
L’ultimo punto è il più importante: la questione di Dio. Già il concilio ha annoverato l’ateismo, nelle sue varie modulazioni, tra le questioni serie di quest’epoca. Tale situazione, da allora, si è acuita in modo drammatico. Il problema di oggi è, che Dio per molti non è più un problema, ovvero sembra che non sia più un problema e che la sua esistenza non interessi più.Il problema è l’indifferenza. […] Le persone lì fuori, nell’“atrio delle genti”, hanno altre domande: da dove vengo e dove vado? Perché e per quale fine esisto? Perché il male, perché la sofferenza del mondo? Perché devo soffrire? […]
Il cammino avviato dal concilio non è finito. L’eredità ricca che i due Papi Giovanni XXIII e Paolo VI ci hanno lasciata ancora non è esaurita.Dobbiamo percorrerlo, con pazienza ma anche con determinazione e coraggio e, nonostante tutto, con hilaritas, gioia interiore. Come disse il profeta: «La gioia per Dio è la nostra forza» (Neemia, 8, 10). Il concilio ha destato la gioia per Dio, per la fede, per la Chiesa [?...].” (L’Osservatore Romano 12 aprile 2013, rilievi nostri)
* * *
“Senza dilungarci, ricordiamo qui l’insegnamento della Chiesa, che condanna le ambiguità proprio perché permettono varie interpretazioni, divenendo un mezzo comune utilizzato da eretici che cercano di introdurre errori nella veste di verità.
Vale notare che la stessa condanna di Pio VI è ripetuta da San Pio X nella «Pascendi»”. (http://cumexapostolatusofficio.blogspot.pt/2013/04/ambiguidades-condenadas-sem-nenhuma.html )
Vediamo le parole di Papa Pio VI condannando il Sinodo di Pistoia:
I Pontefici Nostri Predecessori, i Vescovi di grande autorità, ed anche, legalmente, certi Concilii generali conoscevano benel’arte maliziosa propria degli innovatorii qualitemendodi offenderele orecchie deicattolici, si adoperano per coprire sotto fraudolenti giri di parole i lacci delle loro astuzie, affinché l’errore, nascosto fra senso e senso (San Leone M., Lettera129 dell’edizione Baller), s’insinui negli animi più facilmente e avvenga che – alterata la verità della sentenza per mezzo di una brevissima aggiunta o variante – la testimonianza che doveva portare la salute, a seguito di una certa sottile modifica, conduca alla morte. Se questa involuta e fallace maniera di dissertare è viziosa in qualsiasi manifestazione oratoria, in nessun modo è da praticare in un Sinodo, il cui primo merito deve consistere nell’adottare nell’insegnamento un’espressione talmente chiara e limpida che non lasci spazio al pericolo di contrasti. Però se nel parlare si sbaglia, non si può ammettere quella subdola difesa che si è soliti addurre e per la quale, allorché sia stata pronunciata qualche espressione troppo dura, si trova la medesima spiegata più chiaramente altrove, o anche corretta, quasi che questa sfrenata licenza di affermare e di negare a piacimento, che fu sempre una fraudolenta astuzia degl’innovatori a copertura dell’errore, non dovesse valere piuttosto per denunciare l’errore anziché per giustificarlo: come se alle persone particolarmente impreparate ad affrontare casualmente questa o quella parte di un Sinodo esposto a tutti in lingua volgare fossero sempre presenti gli altri passi da contrapporre, e che nel confrontarli ognuno disponesse di tale preparazione da ricondurli, da solo, a tal punto da evitare qualsiasi pericolo d’inganno che costoro spargono erroneamente. È dannosissima quest’abilità d’insinuare l’errore che il Nostro Predecessore Celestino (San Celestino, Lettera 13, n. 2, presso il Coust) scoperse nelle lettere del vescovo Nestorio di Costantinopoli e condannò con durissimo richiamo. L’impostore, scoperto, richiamato e raggiunto per tali lettere, con il suo incoerente multiloquio avvolgeva d’oscuro il vero e, di nuovo confondendo l’una e l’altra cosa, confessava quello che aveva negato o si sforzava di negare quello che aveva confessato.
Contro tali insidie, purtroppo rinnovatesi in ogni età, non fu messo in opera modo migliore che quello di esporre le sentenze le quali, sotto il velo dell’ambiguità, avviluppano una pericolosa discrepanza di sensi, segnalando il perverso significato sotto il quale si trova l’errore che la Dottrina Cattolica condanna.” Pio VI, Bolla AuctoremFidei, del 29 agosto 1794.
Questa condanna di Pio VI riguarda in pieno il Vaticano 2, che oltre la sua ambiguità è stato propriamente eretizante e anche eretico; sistematicamente ambiguo per inoculare errori e eresie! Il Magistero condanna i modernisti, la cui elaborata ambiguità è intrinsecamente perversa perché mira a un piano di mutazione radicale della Chiesa. Eppure, la stragrande maggioranza dei cattolici ancora dorme dopo l’invito di guardare alla luna di Giovanni 23; è continuata assopita dopo con i baci dei suoi successori ai nemici del Papato e della Chiesa, e ora con i baci e abbracci di Bergoglio ai disarmati della chiesa smobilitante.
Tutto ciò riguarda l’apparato ecumenista conciliare, ispirato nella sindrome delle nuove «ermeneutiche» del bacio di Giuda!
—————o0o—————

Le quotidiane eresie dei conciliari

In data odierna il cosidetto Pontefice della “nuova chiesa apostata conciliare”ha incontrato il laico, eretico, falso Arcivescovo di Canterbury e Primate della Comunione eretica e scismatica Anglicana, Justin Welby con moglie al seguito.
Oltre alle solite fandonie conciliari sulla fantomatica unità nel nome dell’eretica dottrina conciliare sull’ecumenismo, colpisce il saluto di “Bergoglione”, abusando e distorcendo la Parola di Dio come fece il suo degno predecessore Paolo VI, a questo insensato eretico e scismatico pagliaccio di Inghilterra:
“Vostra Grazia, cari amici,
nella felice circostanza del nostro primo incontro, desidero darvi il benvenuto con le stesse parole con cui il mio predecessore, il Venerabile Servo di Dio Paolo VI, si rivolse all’Arcivescovo Michael Ramsey durante la sua storica visita del 1966: «I Suoi passi non arrivano in una casa straniera […] Noi siamo lieti di aprirLe le porte e, con le porte, il Nostro cuore; perché Noi siamo contenti ed onorati […] di accoglierla “non come ospite e forestiero, ma come concittadino dei Santi e della Famiglia di Dio” (cfr Ef 2, 19-20)».
Questo è quanto Bergoglione ha compiuto durante la sua giornata; ma al mattino si è cimentato nelle sue quotidiane eresie, questa volta ad essere stravolto è il Sacramento della Confessione, (tralasciamo di commentare il pessimo italiano di questo signore, che sembra parlare come l’eretico Kiko Arguello):
“Ma cosa è la riconciliazione? Prendere uno da questa parte, prenderne un altro e farli uniti: no, questa è parte ma non è… La vera riconciliazione è che Dio, in Cristo, ha preso i nostri peccati e Lui si è fatto peccato per noi. E quando noi andiamo a confessarci, per esempio, non è che diciamo il peccato e Dio ci perdona. No, non è quello! Noi troviamo Gesù Cristo e gli diciamo: ‘Questo è tuo e io ti faccio peccato un’altra volta’. E a Lui piace quello, perché è stata la sua missione: farsi peccato per noi, per liberare a noi”.

http://lahoradedespertar.files.wordpress.com/2012/07/satanc3a1s.jpg?w=240&h=179
L’APOSTASIA DEGLI UOMINI DI CHIESA AVANZA A LARGHI PASSI VERSO IL REGNO DI SATANA, (che è già stato sconfitto da Nostro Signore Gesu’ Cristo).
IL BREVE REGNO DELL’ANTICRISTO E’ ALLE PORTE E BERGOGLIONE CON LA SUA CERCHIA DI PERNICIOSI MODERNISTI NE STANNO ACCELLERANDO L’AVVENTO.