P. Cavalcoli, Vassallo e Pasqualucci: confronto e discussione sul Concilio Vaticano II
Dopo la pubblicazione, su Riscossa Cristiana dell’8 aprile 2014, del commento di Piero Vassallo al libro “Unam Sanctam” di Paolo Pasqualucci, P Giovanni Cavalcoli, OP, ha scritto una lettera a Piero Vassallo, con la quale confuta le posizioni di Pasqualucci (e dello stesso Vassallo) sul Concilio Vaticano II. Ne è nato un dibattito tra i tre illustri Autori, che reputiamo sia di grande interesse per quanti hanno a cuore il bene della Santa Chiesa, le cui miserevoli condizioni sono sotto gli occhi di tutti. Ringraziamo P. Cavalcoli e i proff. Vassallo e Pasqualucci, che ci hanno autorizzato a pubblicare questo epistolario, che proponiamo ai nostri lettori, con la certezza di fare un utile servizio al bene della Chiesa e quindi di operare per il bene e la salvezza di tutti.
Paolo Deotto
Lettera di P. Giovanni Cavalcoli, OP al prof. Piero Vassallo
Caro Professore,
ho letto il suo commento al libro di Pasqualucci “Unam Sanctam”. Vedo che, nonostante le chiarificazioni che io insieme con altri teologi e col Magistero degli ultimi Papi, compreso il “Catechismo della Chiesa Cattolica”, stiamo dando circa il vero significato delle dottrine del Concilio Vaticano II, purtroppo continuano a sussistere pericolosi equivoci, che si potrebbero riassumere nella sua affermazione: “il Vaticano II si può interpretare quale “grande illusione” nutrita da un’assemblea intesa all’esecuzione del suo progetto anacronistico: stabilire una pace ecumenica con ideologie in discesa furente verso il delirio l’autodistruzione“.
Questa è una calunnia bella e buona. Il Concilio non fa affatto la pace con gli errori della modernità, ma al contrario li denuncia e li corregge, e ci insegna a vivere un cattolicesimo sanamente moderno, che sappia discernere con saggezza ed assumere i valori della modernità, come già fecero il Maritain, il Congar, lo Journet ed altri precursori del Concilio.
Tutti gli storici seri, informati ed obbiettivi della cultura moderna sanno benissimo che la modernità non è un mostro, non è un semplice cumulo di errori, ma un complesso fenomeno nel quale è dato di trovare il buono e il cattivo, il sano e il malato, il pregio e il difetto, il santo e il criminale.
Il Concilio, con discernimento ispirato dallo Spirito Santo, ci insegna a “raccogliere il positivo e a respingere il negativo”. Accusare il Concilio di modernismo, come fanno i lefevriani, è stoltezza ed è a sua volta eretico, perché le dottrine di un Concilio ecumenico, siano o non siano esposte nella forma di definizioni solenni (qui Gherardini e De Mattei si sbagliano), sono sempre “infallibili” (purché rettamente interpretate), ossia “immutabilmente vere”, in quanto interpretazione ecclesiale della Parola di Dio.
Tutt’al più un Concilio può sbagliare nelle direttive pastorali, e qui possiamo anche avanzare delle riserve o delle critiche sugli insegnamenti del Concilio, tanto che non sarebbe forse male convocare un nuovo Concilio per dissipare gli equivoci e correggere gli errori pastorali, come sempre del resto si è fatto nella storia della Chiesa. Ma “non è assolutamente consentito accusare un Concilio di errori dottrinali o dogmatici, anche se non definiti”. E questo ovviamente non per un cieco partito preso fideistico o papolatrico, ma perché ad un attento esame dei testi risulta che i supposti errori effettivamente non esistono.
Le nuove dottrine sono un’esplicitazione, una spiegazione e uno sviluppo di quelle della Tradizione, come hanno detto i Papi un’infinità di volte, né diversamente potrebbe essere, perché allora vorrebbe dire – cosa impossibile – che è mancata l’assistenza dello Spirito Santo. Lo Spirito ha soffiato, ma i Padri non lo hanno ascoltato? Anche questo è un sospetto eretico. Queste cose lasciamole dire ai luterani, ma non sono idee da cattolici.
Certo al Concilio erano presenti dei mestatori e dei criptomodernisti, certo si fa fatica a capire come Papa Giovanni si stato così ingenuo da ammetterli al Concilio, ma resta sempre che i loro errori, benché essi abbiano tentato, non sono affatto penetrati nei documenti finali del Concilio. Qui De Mattei confonde ciò che si è discusso durante i lavori del Concilio con le conclusioni alle quali è arrivato.
Le obiezioni di Pasqualucci sono tutte risolvibili. La grande e dura battaglia da portare avanti non è contro il Concilio per un malinteso ritorno alla Tradizione ma contro il modernismo, “soprattutto quello di Rahner”. La “Messa di sempre” non è solo quella di S. Pio V, ma anche quella di Paolo VI; cambiano solo cose accidentali. Come ho dimostrato ad abundantiam nel mio libro, Rahner non è interprete, né tanto meno protagonista, ma FALSIFICATORE del Concilio. Lo vogliamo capire una buona volta? “Il rimedio al rahnerismo è proprio il Concilio!!” Finché interpreteremo il Concilio come modernista, faremo come l’ammalato che scambia il medico per la malattia.
Con viva cordialità
P. Giovanni Cavalcoli, OP
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Piero Vassallo ha così risposto:
Reverendo Padre, ho letto con attenzione la sua lettera e ne ho capito l’intenzione caritatevole, per cui la ringrazio di cuore. Le chiedo se possiamo pubblicare il suo testo e i commenti di Pasqualucci e mio nel sito Riscossa Cristiana. Devo dirle che ho la certezza che Benedetto XVI abbia iniziato (cautamente e con lo stile da gran signore) la revisione del Concilio, dicendo che la Gaudium et Spes parla di mondo moderno senza definirlo (è poi questa la principale obiezione che rivolgo io ai testi conciliari: una visione imprecisa e illusoria del “mondo moderno”, concetto ambiguo – anche Pio XII e Fabro appartengono al mondo moderno… – perché induce a cercare la bontà dove l’errore comanda la trafila dei pensieri).
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P. Giovanni Cavalcoli ha replicato:
Caro Professore,
non ho alcuna difficoltà a che la lettera che le ho scritto sia resa pubblica. Desidero tuttavia fare alcune precisazioni, soprattutto in relazione alla posizione di Benedetto XVI nei confronti dell’interpretazione del Concilio.
Come tutti i Papi da Giovanni XXIII fino al presente, Benedetto distingue nel Concilio una parte “dottrinale”, che deve ricevere la nostra incondizionata adesione essendo un’esplicitazione del patrimonio di fede della Tradizione (“continuità nel progresso”) e una parte “pastorale”, circa la quale Benedetto è stato il primo Papa del postconcilio a riconoscere che esistono elementi discutibili ed ha parlato addirittura della necessità di una “rottura” col passato, con particolare riferimento al fatto che il Vaticano II insegna il diritto alla libertà religiosa al posto della dottrina della religione di Stato, ancora in vigore con il concordato del 1929.
Questo implica che la Chiesa, mentre nel dogma (anche se non definito) è infallibile, invece nel campo delle direttive pastorali può cambiare e può sbagliare. inoltre Benedetto XVI, nelle trattative con i lefevriani, ammise che certe parti o modi di esprimersi del Concilio erano “discutibili”, cosa evidentemente da riferirsi alla pastorale o al linguaggio e non alla dottrina, a proposito della quale il Papa disse ai lefevriani che, se volevano essere in piena comunione con la Chiesa, dovevano “accettare tutte le dottrine”, certamente quelle dogmatiche, del Concilio.
Quanto alla questione della modernità, la cosa è molto semplice. Bisogna smetterla con la condanna globale della modernità secondo un modulo o linguaggio preconciliare, che si basa su di una visione parziale e quindi ingiusta della modernità, che fa il gioco dei modernisti. Nella vera e reale modernità non esistono solo errori, ma anche pregi e novità positive.
Non esiste forse un tomismo moderno? E nelle stesse ideologie moderne non si trovano forse elementi positivi? Tutto ciò va accolto ovviamente facendo uso di quei giusti criteri che il Concilio stesso ci offre, del resto nel solco della Tradizione. La vera, sana modernità non è il modernismo, ma è quella insegnataci dal Concilio.
Siamo stati in passato troppo acquiescenti a certe espressioni “ad usum delphini” che hanno fatto solo il danno della cultura cattolica, facendola passare per superata, come per esempio il chiamare Cartesio “fondatore della filosofia moderna”. Si deve invece dire che è stato l’iniziatore degli “errori “moderni, appunto perché la modernità non si risolve, grazie a Dio, negli errori di Cartesio. Sono stati gli storici e i
propagandisti cartesiani che per far adorare il loro idolo sono riusciti ad imporre quella ingannevole espressione. Ma adesso basta. Il Concilio ci insegna qual è la vera e “sana “modernità senza per questo cadere nella rete dei suoi errori. Il metodo è molto semplice, saggio profondo. E’ il metodo di S. Paolo: “provate tutto, tenete ciò che è buono”.
Con viva cordialità
P. Giovanni Cavalcoli, OP
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Ecco infine le risposte complete di Piero Vassallo e di Paolo Pasqualucci alle obiezioni di P. Giovanni Cavalcoli:
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Risposta di Piero Vassallo al rev. padre Giovanni Cavalcoli o. p.
Reverendo Padre e fraterno Amico, le ragioni del reciproco contendere (se non sbaglio) sono il giudizio sulla filosofia / ideologia moderna e la recezione generosa e forse incauta della sua improbabile autocorrezione nell’allocuzione Gaudet Mater Ecclesia e nel Concilio Vaticano II.
Ora il mio giudizio critico sulla filosofia moderna ha origine dalla condivisione delle critiche rivolte dal magistero di Pio XII, oltre che da illustri filosofi e teologi (Cornelio Fabro, Antonio Messineo e Nicola Petruzzellis, ad esempio) ai pensatori cattolici, che hanno abbandonato l’ortodossia tomista per seguire la “via modernorum“.
La infelicissima scelta dei modernizzanti (a mio avviso) ha lontana origine dal fraintendimento/tradimento del tomismo da parte della scolastica decadente e la tentazione (finalmente accolta da Cartesio) di affermare il primato del pensiero purosulla realtà, in ultima analisi la decisione di capovolgere la legge che stabilisce nihil in intellectu quin fuit prius in sensu.
Che il pensiero dei filosofi procedenti sulla “via modernorum” sia afflitto da un tale male è indubitabile. Chi possiede una modesta conoscenza dei filosofi idealisti conosce la loro avversione al metodo classico, che afferma il primato dell’essere rispetto al pensiero e perciò riconosce la necessità di astrarre i concetti dalle cose.
Rosmini ha intuito il paradosso che inficia gli idealismi moderni dimostrando che Hegel afferma che in Dio è presente l’essere e il non essere, e che nella mente umana (mente divina caduta nel mondo) si raccolgono i concetti e la materia delle cose.
Il pensiero moderno (moderno nel senso sopra definito), a mio parere, non è altro che il risultato estremo e catastrofico del cammino sulla infeconda via modernorum.
Che bisogno c’è di cercare in Hegel e nei moderni della sua classe (Heidegger, ad esempio) le verità esposta con espressioni insuperabili da San Tommaso d’Aquino? Perché mai dovremmo contrastare il senso comune addentrandoci nella foresta tenebrosa dell’idealismo? Perché dovremmo credere nell’attitudine della tradizione moderna a correggersi? Visibile è soltanto la retrocessione del “moderno” all’arcaico.
Io sono convinto (pronto a ricredermi a chi dimostrasse vero il contrario) che Cartesio è il prodotto “penultimo” della scolastica decadente e perciò il padre (o il pre-padre) della filosofia che afferma il primato del pensiero sull’essere (filosofia da me giudicata prosecuzione catastrofica dell’errore avviato dai pensatori cattolici in cammino sulla via modernorum).
E’ per me arduo capire quale utile lezione si possa cavare dalle opere dei filosofi che hanno battuta la via indicata dalcogito di Cartesio.
Che cosa possiamo apprendere se non l’avversione alle verità di ragione, da Spinoza, da Kant, da Hegel, da Heidegger, da Sartre e dai neognostici francofortesi, affossatori del “moderno”?
Il “vertice speculativo della modernità“, l’opera di Hegel, è peraltro inquinata da concetti di provenienza gnostica. Lo ha dimostrato un allievo di Hegel, Karl Rosenkranz e, in anni recenti, lo hanno magistralmente confermato padre Ennio Pintacuda e il prof. Massimo Borghesi.
E da Heidegger cosa possiamo apprendere se non gli errori madornali che sono esposti nelle fluviali opere di Karl Rahner, suo venerante discepolo e anima nera del Vaticano II?
Ovviamente non affermo l’obbligo di ignorare i problemi posti dai filosofi moderni. Ho difficoltà a credere che nelle loro opere si trovino idee utili a rafforzare la ragione e la fede.
Lo stesso giudizio si può facilmente applicare all’ideologia comunista, anche senza bisogno di ricordare il suo dichiarato fallimento. Qui, a mio avviso, si incontra il nodo stretto da Maritain e non ancora sciolto dai cattolici (quelli della scuola bolognese, ad esempio) che, al seguito di “Umanesimo integrale” e dei commenti di don Dossetti, hanno vissuto l’avventura della teologia progressista.
Nel saggio ”À travers la victoire”, Maritain affermava: “Lo spirito della Resistenza ha modellato tra gli uomini della rivoluzione e quelli della speranza cristiana vincoli d’intesa e di collaborazione, che, liquidando i vecchi pregiudizi, hanno aperto la strada ad una nuova democrazia”.
E di seguito: “Abbiamo combattuto insieme nella resistenza, contro il nemico comune. Dunque continuiamo a guerra finita a collaborare strettamente. Costruiamo insieme una società radiosa. Congeliamo le nostre differenze; prima umanizziamo, evangelizzeremo dopo”.
Che cosa rimane di quei vincoli dopo la fine patetica dell’avventura comunista? Che cosa rimane del glorioso Arcipelago Gulag? Che cosa rimane del sogno di costruire una società radiosa con i teorici della società concentrazionaria? Infine che cosa rimane dei pensieri prodotti dai marciatori sulla via modernorum? Temo rimanga soltanto l’utopia ultramoderna – apostasia totale, negazione babilonese dell’onesto benessere, sovversione della famiglia, avversione alla vita, promozione dell’omosessualità – una mostruosità realizzata dal “profeta” cattocomunista Fiesoli nella comunità del Forteto.
Le edizioni Settecolori in questi giorni hanno pubblicato, in Lamezia Terme, a cura di Stefano Berselli, una raccolta di saggi intitolato “Il Forteto, destino e catastrofe del cattocomunista”. Si tratta di un documento che indica il capolinea del cattocomunismo e la dissoluzione della modernità apprezzata dal Vaticano II: la guerra malthusiana alla famiglia combattuta con l’arma dell’inversione pederastica. E’ l’ultima, definitiva lezione del moderno.
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Risposta di Paolo Pasqualucci al padre Giovanni Cavalcoli, OP
Reverendo Padre Cavalcoli,
1. Non si può ammettere l’infallibilità implicita dei documenti di un Concilio solo pastorale
Nella sua accorata difesa del Vaticano II, lei tiene a ribadire la sua personale nozione di una infallibilità implicita degli insegnamenti di un Concilio Ecumenico, anche quando non impartiti come dogmi. E quindi di tutti i documenti di un Concilio solo pastorale quale ha voluto essere il Vaticano II. Lei, infatti, non si limita al caso del documento pastorale del Vaticano II che ribadisce un insegnamento infallibile del passato (vedi art. 25 della costituzione Lumen Gentium), non diventando per ciò stesso infallibile, il documento: va ben oltre! Chiamo “implicita” questa supposta infallibilità perché non risultante né dai segni né dai concetti tipici delle dichiarazioni solenni con le quali in passato i Concili ecumenici condannavano errori o definivano verità di fede da ritenersi come dogmi da parte di tutti e ciascuno. Ma una dogmaticità implicita o surrettizia non sarebbe cosa del tutto nuova nella storia della Chiesa? E in verità non la si può ammettere, già per il fatto che il fedele deve sapere con certezza quando si trova di fronte ad una dichiarazione dogmatica, visto che disattendervi significa cadere nel peccato mortale di eresia, prenotarsi un posto all’Inferno. Se le pronunce del non dogmatico Vaticano II (dotatosiespressamente di un “fine pastorale” – vedi le “Notificazioni” in appendice alla costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla Chiesa – “dogmatica” notoriamente senza dogmi) sono da ritenersi “infallibili” e quindi “immutabilmente vere”, come lei dice, per il semplice fatto di essere “interpretazione ecclesiale della Parola di Dio”, dobbiamo allora ritenere infallibile la dottrina esposta nello sconcertante art. 22.2 della costituzione Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, nel quale si afferma che “Infatti, con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo”? E dottrina infallibile anche la sua riesposizione senza lo “in certo modo”(quodammodo), ad opera dell’art. 432 del Catechismo della Chiesa Cattolica e di Giovanni Paolo II, nell’art. 13 della sua enciclica “Redemptor hominis”, intitolato appunto: Cristo si è unito ad ogni uomo; riesposizione nella quale lo stravolgimento dell’Incarnazione in senso panteistico ossia il pancristismoinfiltratosi nel testo conciliare appare in modo ancora più evidente? Quest’incredibile frase, che si situa in un contesto teso ad esaltare la dignità dell’uomo in quanto tale, cercandole un fondamento addirittura nell’Incarnazione, non sembra far riapparire un antico e gravissimo errore, già combattuto da san Giovanni Damasceno e confutato da san Tommaso? Se l’Incarnazione del Verbo, oltre che con l’individuo storico Gesù di Nazareth, ha realizzato un’unione con ognuno di noi, ognuno di noi viene innalzato ad una dignità sublime come quella dell’uomo perfetto (perché senza peccato) che era Nostro Signore, venendo così a partecipare della divinità del Verbo stesso! In tal modo non si divinizza l’uomo, rendendo incomprensibile il dogma dell’Incarnazione e non si fa, di fatto, sparire il dogma del peccato originale? E difatti, di quest’ultimo chi ne ha più sentito parlare dal Vaticano II in poi? E non si oscura anche la dottrina trinitaria ortodossa? Ma valga il vero: come avrebbe potuto il Verbo unirsi per il fatto stesso dell’Incarnazione “ad ogni uomo”, afflitto com’è “ogni uomo” dalla corruzione del peccato?
2. Se gli insegnamenti del Vaticano II sono infallibili, come mai ci sono stati “sbagli” nelle direttive pastorali che li attuavano?
Dopo aver dichiarato infallibile il Vaticano II, lei scrive tuttavia che “un Concilio può sbagliare nelle direttive pastorali”. Le critiche al Vaticano II dovrebbero perciò limitarsi agli errori emersi nella sua pastorale, non alla dottrina della quale la pastorale è l’applicazione. Ma come è possibile, mi chiedo, che direttive pastorali attuanti dottrine supposte infallibili possano essere “sbagliate”? Forse che l’assistenza dello Spirito Santo, che si suppone guidi l’enunciazione di ogni dottrina concernente il dogma, è venuta all’improvviso meno quando si è trattato di attuare nella prassi certe dottrine (supposte) infallibili del Vaticano II? Lo Spirito Santo non l’assiste sempre la Chiesa, anche quando non emette pronunce dogmatiche? (Certo, poiché Dio ci lascia l’uso del nostro libero arbitrio, volendo da noi una “obbedienza consapevole”, l’assistenza dello Spirito Santo bisogna anche volerla). E mi permetta di chiederle: forse che il Tridentino e il Vaticano primo, due concili ecumenici sicuramente dogmatici, nella forma e nelle intenzioni, hanno emanato “direttive pastorali sbagliate”?
3. Il sensus fidei dei credenti non può ammettere che certe singolari dottrine del Vaticano II provengano dallo Spirito Santo.
Lei poi sembra addirittura terrorizzato dall’idea che rilevare gli errori infiltratisi in certi testi del Concilio, comporti negare l’assistenza dello Spirito Santo allo stesso. Ma da semplice cattolico, come posso credere che lo Spirito Santo abbia ispirato la nuova dottrina dell’Incarnazione, appena richiamata, o la nuova definizione della Chiesa di Cristo di cui a Lumen Gentium 8, e al decreto Unitatis redintegratio 3: quella della Chiesa del “subsistit in”, che include nella Chiesa di Cristo anche gli acattolici, pur se in comunione non piena o imperfetta con la Chiesa cattolica (ma che vuol dire?). O l’incredibiledualismo provocato dalla nuova collegialità, di cui all’art. 22 della Lumen Gentium, che ha creato due titolari della somma potestà di giurisdizione sulla Chiesa, il Papa da solo (come da tradizione) e il collegio dei vescovi con il Papa, con l’unico limite per il collegio di non poter esercitare la somma potestà se non con l’autorizzazione del Papa, che invece non ha (ovviamente) bisogno del permesso di nessuno per esercitarla. Due organi titolari della suprema potestà e due esercizi della stessa, uno libero ed uno limitato: un dualismo fonte di perenne conflitto tra il Papato e le Conferenze Episcopali nazionali, che ha indebolito il Primato di Pietro e contribuito ampiamente all’anarchia oggi dilagante nella Chiesa. E dottrina infallibile devono ritenersi anche le straordinarie aperture del Concilio alla creatività liturgica, contenute nella costituzioneSacrosanctum Concilium sulla liturgia (artt. 22, 37-40), contrarie a tutta la Tradizione della Chiesa ed in passato sempre riprovate dal Magistero? O la nuovissima dottrina sulla “libertà religiosa” (dichiarazione conciliare Dignitatis humanae) che appare un calco di consimili dottrine profane, frutto quest’ultime dell’agnosticismo, della miscredenza, del rifiuto del Sovrannaturale, dell’avversione a Nostro Signore che caratterizzano il pensiero moderno e contemporaneo?
Reverendo Padre, mi consenta di dirle, in tutta franchezza: tanto meglio, se lo Spirito Santo non ci ha avuto a che fare, con certi testi del Concilio: un domani sarà cosa ancor più semplice per un Papa o un Concilio Ecumenico r i f o r m a r l i , purgandoli dagli errori.
4. Il vero Vaticano II non è quello che conosciamo dai testi finali.
Sulle ambiguità e gli errori penetrati nei documenti conciliari, c’è da fare un’ulteriore, fondamentale considerazione. Il Vaticano II che conosciamo non è il vero Vaticano II. Il vero Concilio era quello preparato dalla Curia, sotto la guida del cardinale Alfredo Ottaviani e di padre Cornelius Tromp, gesuita olandese, eminente teologo, sentiti i pareri di tutti i vescovi, in tre anni di duro lavoro, con documenti del tutto ortodossi, contenenti concessioni di poco rilievo alle istanze dei “progressisti”, rappresentate nella fase preparatoria dai ben noti cardinali Liénart, Bea, Frings, Koenig, Doepfner, Suenens, Lercaro, e alcuni altri. Un eccellente e validissimo lavoro, al quale avevano preso parte i migliori teologi ortodossi, fu buttato a mare nella convulsa ed anomala fase iniziale del Concilio, grazie ad una serie di colpi di mano procedurali dei “progressisti”, che riuscirono a conquistare la prevalenza nelle dieci Commissioni conciliari incaricate di elaborare gli schemi dei testi da sottoporre all’assemblea e ad inserire le Conferenze Episcopali nei lavori del Concilio. L’approntamento dei nuovi testi si rivelò ovviamente tanto laborioso quanto ambiguo e tormentato, anche per l’opposizione degli elementi “conservatori”, dato che le istanze che si volevano far valere in questi nuovi testi erano in sostanza quelle – lei lo sa meglio di me – dei vari Rahner, de Lubac, Congar, Chenu, etc., tutti teologi sottoposti a censure e costretti al silenzio da Pio XII a causa delle loro cattive dottrine, fatti invece partecipare da Giovanni XXIII alle Commissioni conciliari in veste di periti, già nella fase preparatoria. L’azzeramento del “Concilio preparato”, come lo chiamò Romano Amerio, grazie ad un vero e proprio “brigantaggio procedurale” che consegnò in pratica il Concilio alla minoranza degli adepti della “nouvelle théologie” neomodernista, non sarebbe stato possibile senza l’acquiescenza e la complicità di Angelo Roncalli.
Con i miei più cordiali saluti, in corde Mariae,
Paolo Pasqualucci
http://www.riscossacristiana.it/p-cavalcoli-vassallo-pasqualucci-confronto-discussione-sul-concilio-vaticano-ii/
Lettera di P. Giovanni Cavalcoli, OP al prof. Piero Vassallo
Caro Professore,
ho letto il suo commento al libro di Pasqualucci “Unam Sanctam”. Vedo che, nonostante le chiarificazioni che io insieme con altri teologi e col Magistero degli ultimi Papi, compreso il “Catechismo della Chiesa Cattolica”, stiamo dando circa il vero significato delle dottrine del Concilio Vaticano II, purtroppo continuano a sussistere pericolosi equivoci, che si potrebbero riassumere nella sua affermazione: “il Vaticano II si può interpretare quale “grande illusione” nutrita da un’assemblea intesa all’esecuzione del suo progetto anacronistico: stabilire una pace ecumenica con ideologie in discesa furente verso il delirio l’autodistruzione“.
Questa è una calunnia bella e buona. Il Concilio non fa affatto la pace con gli errori della modernità, ma al contrario li denuncia e li corregge, e ci insegna a vivere un cattolicesimo sanamente moderno, che sappia discernere con saggezza ed assumere i valori della modernità, come già fecero il Maritain, il Congar, lo Journet ed altri precursori del Concilio.
Tutti gli storici seri, informati ed obbiettivi della cultura moderna sanno benissimo che la modernità non è un mostro, non è un semplice cumulo di errori, ma un complesso fenomeno nel quale è dato di trovare il buono e il cattivo, il sano e il malato, il pregio e il difetto, il santo e il criminale.
Il Concilio, con discernimento ispirato dallo Spirito Santo, ci insegna a “raccogliere il positivo e a respingere il negativo”. Accusare il Concilio di modernismo, come fanno i lefevriani, è stoltezza ed è a sua volta eretico, perché le dottrine di un Concilio ecumenico, siano o non siano esposte nella forma di definizioni solenni (qui Gherardini e De Mattei si sbagliano), sono sempre “infallibili” (purché rettamente interpretate), ossia “immutabilmente vere”, in quanto interpretazione ecclesiale della Parola di Dio.
Tutt’al più un Concilio può sbagliare nelle direttive pastorali, e qui possiamo anche avanzare delle riserve o delle critiche sugli insegnamenti del Concilio, tanto che non sarebbe forse male convocare un nuovo Concilio per dissipare gli equivoci e correggere gli errori pastorali, come sempre del resto si è fatto nella storia della Chiesa. Ma “non è assolutamente consentito accusare un Concilio di errori dottrinali o dogmatici, anche se non definiti”. E questo ovviamente non per un cieco partito preso fideistico o papolatrico, ma perché ad un attento esame dei testi risulta che i supposti errori effettivamente non esistono.
Le nuove dottrine sono un’esplicitazione, una spiegazione e uno sviluppo di quelle della Tradizione, come hanno detto i Papi un’infinità di volte, né diversamente potrebbe essere, perché allora vorrebbe dire – cosa impossibile – che è mancata l’assistenza dello Spirito Santo. Lo Spirito ha soffiato, ma i Padri non lo hanno ascoltato? Anche questo è un sospetto eretico. Queste cose lasciamole dire ai luterani, ma non sono idee da cattolici.
Certo al Concilio erano presenti dei mestatori e dei criptomodernisti, certo si fa fatica a capire come Papa Giovanni si stato così ingenuo da ammetterli al Concilio, ma resta sempre che i loro errori, benché essi abbiano tentato, non sono affatto penetrati nei documenti finali del Concilio. Qui De Mattei confonde ciò che si è discusso durante i lavori del Concilio con le conclusioni alle quali è arrivato.
Le obiezioni di Pasqualucci sono tutte risolvibili. La grande e dura battaglia da portare avanti non è contro il Concilio per un malinteso ritorno alla Tradizione ma contro il modernismo, “soprattutto quello di Rahner”. La “Messa di sempre” non è solo quella di S. Pio V, ma anche quella di Paolo VI; cambiano solo cose accidentali. Come ho dimostrato ad abundantiam nel mio libro, Rahner non è interprete, né tanto meno protagonista, ma FALSIFICATORE del Concilio. Lo vogliamo capire una buona volta? “Il rimedio al rahnerismo è proprio il Concilio!!” Finché interpreteremo il Concilio come modernista, faremo come l’ammalato che scambia il medico per la malattia.
Con viva cordialità
P. Giovanni Cavalcoli, OP
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Piero Vassallo ha così risposto:
Reverendo Padre, ho letto con attenzione la sua lettera e ne ho capito l’intenzione caritatevole, per cui la ringrazio di cuore. Le chiedo se possiamo pubblicare il suo testo e i commenti di Pasqualucci e mio nel sito Riscossa Cristiana. Devo dirle che ho la certezza che Benedetto XVI abbia iniziato (cautamente e con lo stile da gran signore) la revisione del Concilio, dicendo che la Gaudium et Spes parla di mondo moderno senza definirlo (è poi questa la principale obiezione che rivolgo io ai testi conciliari: una visione imprecisa e illusoria del “mondo moderno”, concetto ambiguo – anche Pio XII e Fabro appartengono al mondo moderno… – perché induce a cercare la bontà dove l’errore comanda la trafila dei pensieri).
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P. Giovanni Cavalcoli ha replicato:
Caro Professore,
non ho alcuna difficoltà a che la lettera che le ho scritto sia resa pubblica. Desidero tuttavia fare alcune precisazioni, soprattutto in relazione alla posizione di Benedetto XVI nei confronti dell’interpretazione del Concilio.
Come tutti i Papi da Giovanni XXIII fino al presente, Benedetto distingue nel Concilio una parte “dottrinale”, che deve ricevere la nostra incondizionata adesione essendo un’esplicitazione del patrimonio di fede della Tradizione (“continuità nel progresso”) e una parte “pastorale”, circa la quale Benedetto è stato il primo Papa del postconcilio a riconoscere che esistono elementi discutibili ed ha parlato addirittura della necessità di una “rottura” col passato, con particolare riferimento al fatto che il Vaticano II insegna il diritto alla libertà religiosa al posto della dottrina della religione di Stato, ancora in vigore con il concordato del 1929.
Questo implica che la Chiesa, mentre nel dogma (anche se non definito) è infallibile, invece nel campo delle direttive pastorali può cambiare e può sbagliare. inoltre Benedetto XVI, nelle trattative con i lefevriani, ammise che certe parti o modi di esprimersi del Concilio erano “discutibili”, cosa evidentemente da riferirsi alla pastorale o al linguaggio e non alla dottrina, a proposito della quale il Papa disse ai lefevriani che, se volevano essere in piena comunione con la Chiesa, dovevano “accettare tutte le dottrine”, certamente quelle dogmatiche, del Concilio.
Quanto alla questione della modernità, la cosa è molto semplice. Bisogna smetterla con la condanna globale della modernità secondo un modulo o linguaggio preconciliare, che si basa su di una visione parziale e quindi ingiusta della modernità, che fa il gioco dei modernisti. Nella vera e reale modernità non esistono solo errori, ma anche pregi e novità positive.
Non esiste forse un tomismo moderno? E nelle stesse ideologie moderne non si trovano forse elementi positivi? Tutto ciò va accolto ovviamente facendo uso di quei giusti criteri che il Concilio stesso ci offre, del resto nel solco della Tradizione. La vera, sana modernità non è il modernismo, ma è quella insegnataci dal Concilio.
Siamo stati in passato troppo acquiescenti a certe espressioni “ad usum delphini” che hanno fatto solo il danno della cultura cattolica, facendola passare per superata, come per esempio il chiamare Cartesio “fondatore della filosofia moderna”. Si deve invece dire che è stato l’iniziatore degli “errori “moderni, appunto perché la modernità non si risolve, grazie a Dio, negli errori di Cartesio. Sono stati gli storici e i
propagandisti cartesiani che per far adorare il loro idolo sono riusciti ad imporre quella ingannevole espressione. Ma adesso basta. Il Concilio ci insegna qual è la vera e “sana “modernità senza per questo cadere nella rete dei suoi errori. Il metodo è molto semplice, saggio profondo. E’ il metodo di S. Paolo: “provate tutto, tenete ciò che è buono”.
Con viva cordialità
P. Giovanni Cavalcoli, OP
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Ecco infine le risposte complete di Piero Vassallo e di Paolo Pasqualucci alle obiezioni di P. Giovanni Cavalcoli:
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Risposta di Piero Vassallo al rev. padre Giovanni Cavalcoli o. p.
Reverendo Padre e fraterno Amico, le ragioni del reciproco contendere (se non sbaglio) sono il giudizio sulla filosofia / ideologia moderna e la recezione generosa e forse incauta della sua improbabile autocorrezione nell’allocuzione Gaudet Mater Ecclesia e nel Concilio Vaticano II.
Ora il mio giudizio critico sulla filosofia moderna ha origine dalla condivisione delle critiche rivolte dal magistero di Pio XII, oltre che da illustri filosofi e teologi (Cornelio Fabro, Antonio Messineo e Nicola Petruzzellis, ad esempio) ai pensatori cattolici, che hanno abbandonato l’ortodossia tomista per seguire la “via modernorum“.
La infelicissima scelta dei modernizzanti (a mio avviso) ha lontana origine dal fraintendimento/tradimento del tomismo da parte della scolastica decadente e la tentazione (finalmente accolta da Cartesio) di affermare il primato del pensiero purosulla realtà, in ultima analisi la decisione di capovolgere la legge che stabilisce nihil in intellectu quin fuit prius in sensu.
Che il pensiero dei filosofi procedenti sulla “via modernorum” sia afflitto da un tale male è indubitabile. Chi possiede una modesta conoscenza dei filosofi idealisti conosce la loro avversione al metodo classico, che afferma il primato dell’essere rispetto al pensiero e perciò riconosce la necessità di astrarre i concetti dalle cose.
Rosmini ha intuito il paradosso che inficia gli idealismi moderni dimostrando che Hegel afferma che in Dio è presente l’essere e il non essere, e che nella mente umana (mente divina caduta nel mondo) si raccolgono i concetti e la materia delle cose.
Il pensiero moderno (moderno nel senso sopra definito), a mio parere, non è altro che il risultato estremo e catastrofico del cammino sulla infeconda via modernorum.
Che bisogno c’è di cercare in Hegel e nei moderni della sua classe (Heidegger, ad esempio) le verità esposta con espressioni insuperabili da San Tommaso d’Aquino? Perché mai dovremmo contrastare il senso comune addentrandoci nella foresta tenebrosa dell’idealismo? Perché dovremmo credere nell’attitudine della tradizione moderna a correggersi? Visibile è soltanto la retrocessione del “moderno” all’arcaico.
Io sono convinto (pronto a ricredermi a chi dimostrasse vero il contrario) che Cartesio è il prodotto “penultimo” della scolastica decadente e perciò il padre (o il pre-padre) della filosofia che afferma il primato del pensiero sull’essere (filosofia da me giudicata prosecuzione catastrofica dell’errore avviato dai pensatori cattolici in cammino sulla via modernorum).
E’ per me arduo capire quale utile lezione si possa cavare dalle opere dei filosofi che hanno battuta la via indicata dalcogito di Cartesio.
Che cosa possiamo apprendere se non l’avversione alle verità di ragione, da Spinoza, da Kant, da Hegel, da Heidegger, da Sartre e dai neognostici francofortesi, affossatori del “moderno”?
Il “vertice speculativo della modernità“, l’opera di Hegel, è peraltro inquinata da concetti di provenienza gnostica. Lo ha dimostrato un allievo di Hegel, Karl Rosenkranz e, in anni recenti, lo hanno magistralmente confermato padre Ennio Pintacuda e il prof. Massimo Borghesi.
E da Heidegger cosa possiamo apprendere se non gli errori madornali che sono esposti nelle fluviali opere di Karl Rahner, suo venerante discepolo e anima nera del Vaticano II?
Ovviamente non affermo l’obbligo di ignorare i problemi posti dai filosofi moderni. Ho difficoltà a credere che nelle loro opere si trovino idee utili a rafforzare la ragione e la fede.
Lo stesso giudizio si può facilmente applicare all’ideologia comunista, anche senza bisogno di ricordare il suo dichiarato fallimento. Qui, a mio avviso, si incontra il nodo stretto da Maritain e non ancora sciolto dai cattolici (quelli della scuola bolognese, ad esempio) che, al seguito di “Umanesimo integrale” e dei commenti di don Dossetti, hanno vissuto l’avventura della teologia progressista.
Nel saggio ”À travers la victoire”, Maritain affermava: “Lo spirito della Resistenza ha modellato tra gli uomini della rivoluzione e quelli della speranza cristiana vincoli d’intesa e di collaborazione, che, liquidando i vecchi pregiudizi, hanno aperto la strada ad una nuova democrazia”.
E di seguito: “Abbiamo combattuto insieme nella resistenza, contro il nemico comune. Dunque continuiamo a guerra finita a collaborare strettamente. Costruiamo insieme una società radiosa. Congeliamo le nostre differenze; prima umanizziamo, evangelizzeremo dopo”.
Che cosa rimane di quei vincoli dopo la fine patetica dell’avventura comunista? Che cosa rimane del glorioso Arcipelago Gulag? Che cosa rimane del sogno di costruire una società radiosa con i teorici della società concentrazionaria? Infine che cosa rimane dei pensieri prodotti dai marciatori sulla via modernorum? Temo rimanga soltanto l’utopia ultramoderna – apostasia totale, negazione babilonese dell’onesto benessere, sovversione della famiglia, avversione alla vita, promozione dell’omosessualità – una mostruosità realizzata dal “profeta” cattocomunista Fiesoli nella comunità del Forteto.
Le edizioni Settecolori in questi giorni hanno pubblicato, in Lamezia Terme, a cura di Stefano Berselli, una raccolta di saggi intitolato “Il Forteto, destino e catastrofe del cattocomunista”. Si tratta di un documento che indica il capolinea del cattocomunismo e la dissoluzione della modernità apprezzata dal Vaticano II: la guerra malthusiana alla famiglia combattuta con l’arma dell’inversione pederastica. E’ l’ultima, definitiva lezione del moderno.
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Risposta di Paolo Pasqualucci al padre Giovanni Cavalcoli, OP
Reverendo Padre Cavalcoli,
1. Non si può ammettere l’infallibilità implicita dei documenti di un Concilio solo pastorale
Nella sua accorata difesa del Vaticano II, lei tiene a ribadire la sua personale nozione di una infallibilità implicita degli insegnamenti di un Concilio Ecumenico, anche quando non impartiti come dogmi. E quindi di tutti i documenti di un Concilio solo pastorale quale ha voluto essere il Vaticano II. Lei, infatti, non si limita al caso del documento pastorale del Vaticano II che ribadisce un insegnamento infallibile del passato (vedi art. 25 della costituzione Lumen Gentium), non diventando per ciò stesso infallibile, il documento: va ben oltre! Chiamo “implicita” questa supposta infallibilità perché non risultante né dai segni né dai concetti tipici delle dichiarazioni solenni con le quali in passato i Concili ecumenici condannavano errori o definivano verità di fede da ritenersi come dogmi da parte di tutti e ciascuno. Ma una dogmaticità implicita o surrettizia non sarebbe cosa del tutto nuova nella storia della Chiesa? E in verità non la si può ammettere, già per il fatto che il fedele deve sapere con certezza quando si trova di fronte ad una dichiarazione dogmatica, visto che disattendervi significa cadere nel peccato mortale di eresia, prenotarsi un posto all’Inferno. Se le pronunce del non dogmatico Vaticano II (dotatosiespressamente di un “fine pastorale” – vedi le “Notificazioni” in appendice alla costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla Chiesa – “dogmatica” notoriamente senza dogmi) sono da ritenersi “infallibili” e quindi “immutabilmente vere”, come lei dice, per il semplice fatto di essere “interpretazione ecclesiale della Parola di Dio”, dobbiamo allora ritenere infallibile la dottrina esposta nello sconcertante art. 22.2 della costituzione Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, nel quale si afferma che “Infatti, con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo”? E dottrina infallibile anche la sua riesposizione senza lo “in certo modo”(quodammodo), ad opera dell’art. 432 del Catechismo della Chiesa Cattolica e di Giovanni Paolo II, nell’art. 13 della sua enciclica “Redemptor hominis”, intitolato appunto: Cristo si è unito ad ogni uomo; riesposizione nella quale lo stravolgimento dell’Incarnazione in senso panteistico ossia il pancristismoinfiltratosi nel testo conciliare appare in modo ancora più evidente? Quest’incredibile frase, che si situa in un contesto teso ad esaltare la dignità dell’uomo in quanto tale, cercandole un fondamento addirittura nell’Incarnazione, non sembra far riapparire un antico e gravissimo errore, già combattuto da san Giovanni Damasceno e confutato da san Tommaso? Se l’Incarnazione del Verbo, oltre che con l’individuo storico Gesù di Nazareth, ha realizzato un’unione con ognuno di noi, ognuno di noi viene innalzato ad una dignità sublime come quella dell’uomo perfetto (perché senza peccato) che era Nostro Signore, venendo così a partecipare della divinità del Verbo stesso! In tal modo non si divinizza l’uomo, rendendo incomprensibile il dogma dell’Incarnazione e non si fa, di fatto, sparire il dogma del peccato originale? E difatti, di quest’ultimo chi ne ha più sentito parlare dal Vaticano II in poi? E non si oscura anche la dottrina trinitaria ortodossa? Ma valga il vero: come avrebbe potuto il Verbo unirsi per il fatto stesso dell’Incarnazione “ad ogni uomo”, afflitto com’è “ogni uomo” dalla corruzione del peccato?
2. Se gli insegnamenti del Vaticano II sono infallibili, come mai ci sono stati “sbagli” nelle direttive pastorali che li attuavano?
Dopo aver dichiarato infallibile il Vaticano II, lei scrive tuttavia che “un Concilio può sbagliare nelle direttive pastorali”. Le critiche al Vaticano II dovrebbero perciò limitarsi agli errori emersi nella sua pastorale, non alla dottrina della quale la pastorale è l’applicazione. Ma come è possibile, mi chiedo, che direttive pastorali attuanti dottrine supposte infallibili possano essere “sbagliate”? Forse che l’assistenza dello Spirito Santo, che si suppone guidi l’enunciazione di ogni dottrina concernente il dogma, è venuta all’improvviso meno quando si è trattato di attuare nella prassi certe dottrine (supposte) infallibili del Vaticano II? Lo Spirito Santo non l’assiste sempre la Chiesa, anche quando non emette pronunce dogmatiche? (Certo, poiché Dio ci lascia l’uso del nostro libero arbitrio, volendo da noi una “obbedienza consapevole”, l’assistenza dello Spirito Santo bisogna anche volerla). E mi permetta di chiederle: forse che il Tridentino e il Vaticano primo, due concili ecumenici sicuramente dogmatici, nella forma e nelle intenzioni, hanno emanato “direttive pastorali sbagliate”?
3. Il sensus fidei dei credenti non può ammettere che certe singolari dottrine del Vaticano II provengano dallo Spirito Santo.
Lei poi sembra addirittura terrorizzato dall’idea che rilevare gli errori infiltratisi in certi testi del Concilio, comporti negare l’assistenza dello Spirito Santo allo stesso. Ma da semplice cattolico, come posso credere che lo Spirito Santo abbia ispirato la nuova dottrina dell’Incarnazione, appena richiamata, o la nuova definizione della Chiesa di Cristo di cui a Lumen Gentium 8, e al decreto Unitatis redintegratio 3: quella della Chiesa del “subsistit in”, che include nella Chiesa di Cristo anche gli acattolici, pur se in comunione non piena o imperfetta con la Chiesa cattolica (ma che vuol dire?). O l’incredibiledualismo provocato dalla nuova collegialità, di cui all’art. 22 della Lumen Gentium, che ha creato due titolari della somma potestà di giurisdizione sulla Chiesa, il Papa da solo (come da tradizione) e il collegio dei vescovi con il Papa, con l’unico limite per il collegio di non poter esercitare la somma potestà se non con l’autorizzazione del Papa, che invece non ha (ovviamente) bisogno del permesso di nessuno per esercitarla. Due organi titolari della suprema potestà e due esercizi della stessa, uno libero ed uno limitato: un dualismo fonte di perenne conflitto tra il Papato e le Conferenze Episcopali nazionali, che ha indebolito il Primato di Pietro e contribuito ampiamente all’anarchia oggi dilagante nella Chiesa. E dottrina infallibile devono ritenersi anche le straordinarie aperture del Concilio alla creatività liturgica, contenute nella costituzioneSacrosanctum Concilium sulla liturgia (artt. 22, 37-40), contrarie a tutta la Tradizione della Chiesa ed in passato sempre riprovate dal Magistero? O la nuovissima dottrina sulla “libertà religiosa” (dichiarazione conciliare Dignitatis humanae) che appare un calco di consimili dottrine profane, frutto quest’ultime dell’agnosticismo, della miscredenza, del rifiuto del Sovrannaturale, dell’avversione a Nostro Signore che caratterizzano il pensiero moderno e contemporaneo?
Reverendo Padre, mi consenta di dirle, in tutta franchezza: tanto meglio, se lo Spirito Santo non ci ha avuto a che fare, con certi testi del Concilio: un domani sarà cosa ancor più semplice per un Papa o un Concilio Ecumenico r i f o r m a r l i , purgandoli dagli errori.
4. Il vero Vaticano II non è quello che conosciamo dai testi finali.
Sulle ambiguità e gli errori penetrati nei documenti conciliari, c’è da fare un’ulteriore, fondamentale considerazione. Il Vaticano II che conosciamo non è il vero Vaticano II. Il vero Concilio era quello preparato dalla Curia, sotto la guida del cardinale Alfredo Ottaviani e di padre Cornelius Tromp, gesuita olandese, eminente teologo, sentiti i pareri di tutti i vescovi, in tre anni di duro lavoro, con documenti del tutto ortodossi, contenenti concessioni di poco rilievo alle istanze dei “progressisti”, rappresentate nella fase preparatoria dai ben noti cardinali Liénart, Bea, Frings, Koenig, Doepfner, Suenens, Lercaro, e alcuni altri. Un eccellente e validissimo lavoro, al quale avevano preso parte i migliori teologi ortodossi, fu buttato a mare nella convulsa ed anomala fase iniziale del Concilio, grazie ad una serie di colpi di mano procedurali dei “progressisti”, che riuscirono a conquistare la prevalenza nelle dieci Commissioni conciliari incaricate di elaborare gli schemi dei testi da sottoporre all’assemblea e ad inserire le Conferenze Episcopali nei lavori del Concilio. L’approntamento dei nuovi testi si rivelò ovviamente tanto laborioso quanto ambiguo e tormentato, anche per l’opposizione degli elementi “conservatori”, dato che le istanze che si volevano far valere in questi nuovi testi erano in sostanza quelle – lei lo sa meglio di me – dei vari Rahner, de Lubac, Congar, Chenu, etc., tutti teologi sottoposti a censure e costretti al silenzio da Pio XII a causa delle loro cattive dottrine, fatti invece partecipare da Giovanni XXIII alle Commissioni conciliari in veste di periti, già nella fase preparatoria. L’azzeramento del “Concilio preparato”, come lo chiamò Romano Amerio, grazie ad un vero e proprio “brigantaggio procedurale” che consegnò in pratica il Concilio alla minoranza degli adepti della “nouvelle théologie” neomodernista, non sarebbe stato possibile senza l’acquiescenza e la complicità di Angelo Roncalli.
Con i miei più cordiali saluti, in corde Mariae,
Paolo Pasqualucci
http://www.riscossacristiana.it/p-cavalcoli-vassallo-pasqualucci-confronto-discussione-sul-concilio-vaticano-ii/
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