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domenica 25 maggio 2014

Addavvenì..

Chiesa conciliare: in arrivo anche il matrimonio per i preti

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“Nel ’71 il teologo Joseph Ratzinger aveva previsto che un giorno si sarebbe arrivati all’ordinazione di «cristiani maturi» già sposati. La questione resta aperta”
«Io, sacerdote e priore più che mai: con Elena ho riscoperto la vocazione»
GIACOMO GALEAZZI CITTÀ DEL VATICANO -  «Mi hanno eletto alla guida della comunità perché ero il più giovane dei monaci e quindi potevo portare novità. Poi, quando, ho proposto di creare una realtà che includesse celibi, eremiti e coniugati mi hanno  opposto il muro delle leggi ecclesiastiche».

Padre Alberto Stucchi è sacerdote e religioso, priore del monastero di Chiaravalle, nel Milanese, dove vive un’antica comunità dell’ordine cistercense. Dopo 11 anni di vita monastica condotta, per ammissione stessa dei suoi superiori, in modo esemplare, ha conosciuto Elena, con la quale è nata una storia d’amore. Dopo aver chiesto e ottenuto un periodo di riflessione fuori dal monastero ha deciso di non interrompere la sua relazione. «I consigli peggiori me li hanno dati in monastero. Erano arrivati anche a “giustificare” la mia relazione. Mi dissero che ero priore, che avevo tante responsabilità, che forse avevo bisogno di uno sfogo, insomma “Fai quello che vuoi, ma di nascosto”. L’importante era che non si sapesse in giro».
A chi ha detto della sua relazione? «Appena ho capito di amare Elena prima ne ho parlato con i miei confratelli, poi con i superiori dell’ordine. Ho avvertito subito il loro terrore. Ho capito che dovevo scegliere: o lei o il monastero. Dovevo rinunciare all’amore per conservare il patentino necessario a predicare l’amore: un paun paradosso. Il diritto canonico concede un anno di riflessione e andai a vivere con Elena. Mi fu detto di chiedere la dispensa dal sacerdozio».

Vuole la dispensa? «No, sarebbe come ammettere di non essere stato consapevole al momento dei voti. In pratica, un errore. Invece io non rinnego nulla di quello che ho vissuto. Davanti a me si era aperta una nuova strada. Sono uscito dall’ordine ma sono ancora sacerdote. Se un vescovo o il generale di una congregazione mi accogliessero, potrei tornare a svolgere la mia missione. Elena è morta 5 mesi fa per un tumore alle ossa».

E’ stata una crisi di vocazione? «La crisi non era legata al mio ministero. Non stavo perdendo la vocazione, anzi la stavo scoprendo più che mai. Dopo l’incontro con Elena ho riconosciuto la bellezza della vita religiosa, e avrei desiderato continuare a condurla in un nuovo villaggio monastico. Per questo ho provato a più riprese, con la mia compagna, a dialogare con l’istituzione ecclesiastica, cercando di spiegare l’assurdità di un celibato vissuto non come scelta ma come obbligo. E lasciare Elena per tornare come se nulla fosse alla mia precedente vita non era una soluzione possibile. Il mio desiderio di amore si è scontrato con la rigidità delle leggi ecclesiastiche, con la contraddizione di essere fuori dalle regole canoniche e allo stesso tempo sempre più coinvolto in un’esperienza che mi faceva sentire più monaco, prete e priore che mai. Tra due opzioni inconciliabili ho scelto Elena».
Cosa avevate chiesto? «Abbiamo cercato di rivendicare come l’amore per Dio e l’amore per una donna non siano in contraddizione. Su questo punto con i miei superiori non c’è stata alcuna possibilità né di dialogo, né di comprensione. Io e Elena abbiamo rifiutato di mantenere segreta la nostra relazione, di accettare quella che è divenuta, nella vita religiosa, una consuetudine tollerata o suggerita».
E la risposta? «”Di nascosto si ruba e si uccide, non certo si ama”, ho replicato a chi mi proponeva di vivere la mia storia nell’ambiguità, nel compromesso.. Il principio agostiniano “Ama e fa’ quel che vuoi” si trasforma drammaticamente in “Fa’ quello che vuoi, ma di nascosto”. Confido che le donne in cerca di vera limpidezza trovino in papa Francesco un coraggioso difensore della trasparenza».
http://vaticaninsider.lastampa.it/news/dettaglio-articolo/articolo/preti-priests-sacerdotes-34164/

Dal 1970 al 1995 ci sono stati 46mila abbandoni, non solo per un matrimonio. La lettera delle 26 donne dei preti al papa diffusa da Vatican Insider riaccende il dibattito
GIACOMO GALEAZZI CITTÀ DEL VATICANO - A riaccendere i riflettori sulla “fuga dal sacerdozio” è la lettera (divulgata da “Vatican Insider”) scritta a papa Francesco da 26 donne che affermano di vivere relazioni sentimentali con dei preti.  “Calcolarne il numero non è affatto semplice, esistono cifre ufficiali, diffuse dal Vaticano, ma si tratta solo di numeri indicativi a causa dell’oggettiva difficoltà a reperire i dati”, spiega lo studioso Davide Romano che ha effettuato uno studio su questo tema.
L’Annuarium Statisticum Ecclesiae che la Santa sede edita ogni anno fornisce i numeri relativi alle defezioni del clero: il termine include anche coloro che hanno lasciato per motivi diversi dal matrimonio. Nel 1998 si sono avute 618 defezioni di cui 31 nel nostro Paese. Un calcolo effettuato dall’Osservatore Romano, nel 1997, confrontando i dati dal 1970 al 1995, ha ottenuto una cifra complessiva di circa 46 mila preti che hanno abbandonato il ministero nel solo arco di un quarto di secolo.
Secondo il canonista Vincenzo Mosca, sarebbero invece più di mille ogni anno le defezioni sacerdotali (diocesane e religiose) nel mondo. Ancora oggi, per ogni otto nuovi sacerdoti, almeno uno abbandona il ministero. I sacerdoti “laicizzati” viventi nel mondo, sempre secondo Mosca, sarebbero quindi più di 50 mila.
Non è d’accordo Mauro Del Nevo, presidente della associazione di presbiteri con famiglia «Vocatio», secondo il quale la cifra andrebbe addirittura raddoppiata. «Soltanto in Italia – dice – i sacerdoti coniugati sono da 8 a 10 mila e 120 mila in tutto il mondo». I picchi di richiesta di dispensa dall’esercizio del ministero si sono avuti nel 1976-77, quando ne sono state inoltrate da 2500 a 3 mila. Attualmente se ne concedono da 500 a 700 l’anno.
In provincia di Caserta Il vescovo di Sessa Aurunca, Antonio Napoletano, ha nominato direttore dell’ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro un ex sacerdote sposato, Giovanni Monteasi . Amare Dio e avere un amore terreno: la Chiesa cattolica li condanna, ma i religiosi che vivono una relazione sentimentale sono una realtà. Sempre più importante. È vero, si sono consacrati al servizio divino, hanno fatto voto di castità e di obbedienza, ma a un certo punto la solitudine ha avuto il sopravvento. Sono ormai migliaia gli appartenenti al clero cattolico che, pur conservando la fede e volendo continuare a testimoniarla, vivono una storia d’amore lacerati dal senso del peccato, dalla frustrazione, dalla consapevolezza di essere “fuori della Chiesa”, dalla sofferenza per quella che viene vissuta come un’ingiustizia. Perché in una società laica dove tutto è permesso, la vita sessuale dei religiosi sembra essere l’ultimo tabù sopravvissuto. Una Chiesa che predica l’amore può impedire ai suoi ministri di amare? Può costringerli a vivere la sessualità nella clandestinità e nell’ipocrisia? Molti di loro sono protagonisti di storie drammatiche in bilico tra la passione umana e l’intensità di una vocazione. E le loro voci di dolore, di rimorso, ma anche di fede, di gioia e di speranza impongono una riflessione.
“Per secoli la Chiesa ha considerato la donna un demonio tentatore, invece, mai come da quando sono sposato, ho compreso il senso della rivelazione cristiana”, afferma Giovanni Franzoni, teologo e scrittore di fama mondiale, un manifesto vivente contro il celibato ecclesiastico. “Meglio i sacerdoti sposati dei missionari cattolici che nel Terzo Mondo vivono more uxorio con le loro compagne», aggiunge l’ex abate benedettino di San Paolo fuori le mura, uno degli ultimi protagonisti viventi del Concilio Vaticano II che da quarant’anni fa da controcanto alle posizioni ufficiali della Santa Sede: dal referendum sul divorzio alla petizione al Vicariato di Roma per fermare il processo di beatificazione di Karol Wojtyla.
Carlo Vaj ex sacerdote e psicoterapeuta comportamentista, autore, tra gli altri, del libro “Totem e il briccone”, considera «totem come la radice di ogni nostro male e la Chiesa, dimenticando che l’unico comandamento di Cristo è l’amore, è totemica al massimo». E definisce la procedura che la Chiesa adotta per esonerare il prete dagli obblighi contratti, «un processo kafkiano dove vengono violati i più elementari diritti umani, come quello alla difesa o quello di scegliere liberamente il domicilio e dove la psichiatria è usata come strumento di tortura».
Nel ’71 il teologo Joseph Ratzinger aveva previsto che un giorno si sarebbe arrivati all’ordinazione di «cristiani maturi» già sposati. La questione resta aperta.
http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/preti-priests-sacerdotes-34169/

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