ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 29 maggio 2014

L’ATEISMO CONCILIARE

Per secoli  la dottrina cattolica venne insegnata come irreformabile. E tutto ciò per una sola, semplicissima ragione: perché la si sapeva di origine divina e non umana. Ma ora quel tempo è alle nostre spalle, e nessuno – dico nessuno – osa negarlo. Per usare il linguaggio degli antropologi, si potrebbe dire che la dottrina cattolica, per secoli e secoli, è stata tabù. Ma oggi, quasi si trattasse di superstiziose credenze di popoli primitivi, quel tabù non ha più nessun credito, meno che mai presso il moderno clero. Quindi, lo si può toccare, ritoccare, riformare come e quanto si vuole, a proprio piacimento; e lo si può perché, a differenza di ciò che si attardano a immaginare le sciocche credenze primitive, si ritiene che nessuna divinità vi sia posta a guardia.
Già da questo si dovrebbe comprendere come il Concilio Vaticano II, riformando di fatto il dogma cattolico ad uso e consumo dell’uomo moderno, ha inteso deliberatamente sfidare la stessa autorità di Dio.
Ora, per sfidare l’ autorità di Dio, non basta aver perso la fede cattolica, bisogna aver perso la consapevolezza della trascendenza dell’Essere. Bisogna, cioè, credere che la vita si risolva interamente qui, in questo breve passaggio terreno, bisogna aver perso (o deposto) definitivamente ogni timor di Dio e vivere e pensare come se Dio non esistesse. Perciò appare chiaro, a chi voglia vedere, che, riformando il “tabù” cattolico (se mi si passa l’ espressione), i vaticanosecondisti non mostrano soltanto d’avere perso la fede cattolica, ma d’avere perso il senso della trascendenza dell’Essere. Che è, poi, ciò che accade inevitabilmente quando si abbandona la metafisica tomista.
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Quanto si è detto può sembrare drastico ed eccessivo; ma solo se non si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà. Giacché è la realtà a dirci che sono gli stessi documenti conciliari – e non la loro cattiva interpretazione – a sfidare nel modo più netto e temerario gli anatemi posti a suggello della fede cattolica. Mi riferisco, in particolare, a Nostra Aetate e Dignitatis Humanae Personae, ove si annuncia un Vangelo diverso da quello cattolico e mi riferisco, inoltre, alla mostruosa riforma liturgica. Ora, nulla appare più evidente dell’incredulità di chi sfida gli anatemi di una tradizione religiosa millenaria come, ad esempio, i notissimi anatemi di San Paolo e San Giovanni apostolo. E se nemmeno San Paolo e San Giovanni apostolo hanno titoli per scomunicare chi annuncia un “Vangelo diverso”, ciò accade per un semplicissimo ed evidentissimo motivo: perché i vaticanosecondisti non credono che gli anatemi di San Giovanni apostolo, San Paolo, unitamente a quelli di 20 concili ecumenici, siano divinamente ispirati. Per essi non c’è nessun Dio a guardia gelosa di quegli anatemi: sono semplici maledizioni scagliate da uomini, a cui, oggi, si sono sostituiti altri uomini (che si immaginano molto più buoni dei primi). E d’altronde come stupirsi di questa mancanza di fede, quando Nostra Aetate e Dignitatis Humanae Personae, negano nel modo più radicale ed evidente le parole che Gesù ci ha lasciate nel Vangelo: “Io sono la via, la verità e la vita, nessuno sale al Padre se non per mezzo di me”? Dinanzi a tanto sfacelo chi parla di ermeneutica della continuità o mente o non sa quel che dice. Dalla parte opposta, chi sostiene che il Vaticano II non esprime più la fede cattolica, come si sente dire spesso, adotta soltanto un gentile eufemismo. In realtà, qui siamo ad un volgare e comunissimo ateismo, ad un livello di ateismo da bar dello sport; e ciò per tre motivi evidenti: che vale la pena riepilogare:
a) perché chi ha lanciato una sfida a tutti gli anatemi della Chiesa mostra palesemente di non credere che Essa è divinamente assistita;
b) perché tale sfida, con Nostra Aetate e Dignitatis Humanae Personae concretatesi nello scandalo di Assisi,  giunge temerariamente a negare la divina verità della parola di Nostro Signore Gesù Cristo, e dunque la Sua Stessa Divinità;
c) perché la sfida in se stessa dimostra che coloro che hanno pilotato il Vaticano II e il postconcilio non avevano il benché minimo timor di Dio e nessunissima intenzione di riportarlo in auge.
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D’altronde, la mancanza di fede che qui si denuncia non dovrebbe nemmeno meravigliare. Se Leone XIII, San Pio X, Pio XI, Pio XII insegnano che il rimedio al male è il ritorno alla metafisica tomista, una ragione c’è. Ed anche chiara.
Non è un mistero che il Vaticano II ha preteso di fare a meno della teologia tomista, che ha voluto precipitarsi in mezzo al vivo divenire del mondo facendo a meno dell’ essere, onde presentare la nostra fede non già come un cadavere ammuffito della ormai morta metafisica ma come un’azione vivente e uno slancio vitale incentrati sull’incontro con una persona. Ma il divenire, considerato in se stesso, non ha alcuna certezza di essere. Il divenire può considerare l’essere, tutto l’essere, solo come “potenza”, cioè come possibile; ed il possibile non è mai certo. La semplice potenza di essere, ossia il possibile, è, infatti, ciò che non si sa se sia o non sia. Il necessario, invece, è ciò che è ed è certamente. Anche il possibile esiste, è ovvio, ma non può esistere da solo, non può, cioè, giungere all’ essere da se stesso. Di conseguenza, se da possibile a possibile non si giunge all’essere, segue che, affinché il possibile sia, è necessario un essere che sia già in atto. La potenza d’essere, cioè, è possibile solo a condizione che le preesista l’atto puro da ogni potenza, cioè da ogni limite, atto eterno e infinito, che è Dio. Ma, in quanto si fonda sulla sola potenza, o possibilità di essere, il nudo divenire considera lo stesso Iddio come un possibile tra i tanti; e poiché, come si è testé detto, da possibile a possibile non si approda all’essere, il solo divenire, col suo semplice slancio vitale, non sa né potrà mai sapere se Dio esiste oppure no.
È vero che per giungere al Dio cattolico occorre, oltre la certezza dell’Essere, la fede in Cristo, ma resta, comunque, che il tomista, a differenza del modernista, sa che l’esistenza di Dio è conoscibile al solo lume della ragione naturale, esattamente come insegna il Concilio Vaticano I.
Partendo dalla nozione razionalmente certa dell’esistenza di Dio, il tomista, conformemente al dogmatico insegnamento del Concilio vaticano I, sa che il dubbio è una tentazione e che perciò è da rigettare come pensiero volontario, o, peggio, come metodo; così come sa che il conseguente agnosticismo è un peccato e non una posizione da difendere, o da insegnare, alla maniera di Benedetto XVI. Se gli accade di dubitare involontariamente della propria fede, il tomista non perde mai la nozione certa dell’esistenza di Dio, non discende mai sotto di essa, per naufragare miserevolmente nel nichilismo contemporaneo. Invece affrontando la fede senza nessuna certezza razionale dell’ esistenza di Dio e tuffandosi spericolatamente nel flusso del divenire del mondo per portarla agli altri, ci si mette proprio nelle condizioni di far subito naufragio. E, infatti, così è accaduto e solo i ciechi non lo vedono: abbandonato il porto sicuro del tomismo, il Vaticano II è subito naufragato nel nichilismo ateo della filosofia moderna, e Nostra Aetate e Dignitatis Humanae Personae stanno lì a testimoniarlo. A tal punto, che il rinnovamento liturgico e il drammatico crollo verticale  delle vocazioni sono da considerarsi come la conseguenza, tragica e inevitabile, del volgare ateismo mondano in cui è annegato, fin da principio, il cosiddetto spirito del concilio.
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Il senso di questo scritto è riassumibile nel giro di poche, chiare e semplici parole: il Vaticano II, riformando la religione cattolica, ha deliberatamente inteso sfidare l’ autorità di Dio, e lo ha fatto perché non crede che la Chiesa Cattolica, nei suoi pronunciamenti, è divinamente assistita.
Non è dunque un caso che, tra i molti cambiamenti avvenuti all’ interno della Chiesa, a seguito dell’ ultimo Concilio, quello più evidente e incontestabile – e che li spiega tutti – è, appunto, la perdita del timor di Dio (e di conseguenza del senso del peccato). Chi è timorato è evidente che crede in Dio; e chi crede in Dio crede nel Suo Divin Figliuolo, nello Spirito Paraclito inviato alla Chiesa e, appunto per ciò, non osa toccar nulla del sacro deposito. Chi, invece, pensa che gli anatemi siano trascurabili e che, di conseguenza, i dogmi, la dottrina, il magistero e la liturgia rientrino senza problemi nella disponibilità dell’uomo, ne fa lo scempio che vuole, come si è visto negli ultimi cinquant’anni.
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Oggi, come si sa, la Chiesa conciliare preferisce insegnare l’amore più che il timore, anche a discapito del timore. L’insegnamento dell’ amore non è, però, una novità: anche prima del concilio, la Chiesa insegnava che non è sufficiente il timore di Dio; è evidente che all’ amore di Dio bisogna corrispondere con l’amore e non con il solo timore.
Nell’ambito della propria vita privata, nessun fedele si sognerebbe mai di applicare l’insegnamento conciliare. Semplicemente dotato di una naturale intelligenza, il gregge sa benissimo che quando timore e rispetto scompaiono, l’amore è già svanito da un pezzo. In nessun ambito umano – salvo che nella illuminata “Chiesa conciliare” – ci si presterebbe a credere che un innamorato, in luogo di difendere l’oggetto del suo amore, lo abbandoni al pubblico ludibrio, unendosi lui stesso al coro di disprezzo degli estranei, com’è avvenuto negli ultimi cinquant’anni. Oggi gli illuminati pastori conciliari insegnano al gregge loro affidato l’amore senza il timore, come se il gregge non sapesse che l’amore senza timore, l’amore che non si cura poco o punto di spiacere all’amato, altro non è che una superficiale declamazione retorica, inesorabilmente smentita, peraltro, dai continui rifacimenti, rimaneggiamenti e lifting a cui sottopone l’Amato ormai da mezzo secolo, umiliandolo pubblicamente in tutti i modi.
È evidente, dunque, che l’amore non sta senza il timore, e che dove si trova l’uno, compare subito anche l’altro. Ciò vale anche per la “chiesa” uscita dal concilio. Di conseguenza, se si volesse individuare chi o cosa essa ami, bisognerebbe necessariamente cercare a chi, nell’ ipotesi in questione, temerebbe immensamente di spiacere. Già! perché è di per sé evidente che se cessa il timore per qualcosa, non per questo cessa il sentimento del timore. La natura umana è così fatta che un assoluto non scompare senza lasciare il posto a un altro. Voglio precisamente dire ciò che sanno tutti, e cioè che quando non si teme un dio, è perché se ne teme un altro. L’assoluto, infatti, non scompare mai, nemmeno se è negato. Ebbene, chiarito ciò, non sembra molto difficile capire quale sia il nuovo assoluto – il nuovo dio – a cui, da cinquant’anni, la Chiesa conciliare si prostra con timore e tremore. Questo dio è il mondo (basta leggere la Gaudium et Spes, per comprenderlo). Ma un dio non viene mai onorato a caso, senza ragione; e che cosa abbia di così speciale questo nuovo dio, ce lo dice lo stesso Vaticano II...
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1 commento:

  1. che simpaticoni...ma poco originali. hanno riciclato una vecchia e scontata battuta su babbo natale.

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