Lettera al Cardinale Walter Kasper
di Luciano Pranzetti
Eminenza rev. ma
il Cardinale Walter Kasper
00120 Città del Vaticano
il Cardinale Walter Kasper
00120 Città del Vaticano
Eminenza rev.ma:
assistiamo sgomenti, da tempo, a talune sue personali, trancianti affermazioni con cui, capovolgendo e tradendo la Parola di Cristo, lei si accinge, in qualità di “teologo” scelto da papa Bergoglio per il prossimo Sinodo straordinario – ottobre 2014 – ad immettere una nuova dottrina sul tema del divorzio e, nella fattispecie, sul tema dei cristiani divorziati/risposati e il Sacramento dell’Eucaristìa. Un Sinodo che, per tale tematica, si rende illegittimo perché intende esaminare una dottrina già conclamata e definita come dogma. Ma tant’è!
Ora, prima di dare corso alle nostre obiezioni, allo scopo di fugare sospetti di nostra alterigia, o supponenza o illegittimità ad obiettare, facciamo presente il nostro dovere, nonché il diritto, a norma del canone 212 CJC § 3 secondo cui i fedeli laici “in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli” come, infatti, decideremo di diffondere questa nostra lettera aperta, alle testate cattoliche e alla stampa laica.
Non si creda, tuttavia, che sia facile per noi dire a nostro “padre” che cosa pensiamo di lui. Ma ci fa forza l’esortazione di Gesù che ci sollecita a predicare la Verità, e non la nostra parola ma la sua Parola, – perché di questo si tratta – al mondo, dai tetti e dalla stampa. “La verità vi farà liberi” (Gv. 8, 32).
Leggiamo, infatti, delle sue dichiarazioni che si configurano quali palesi - perché osiamo pensare che lei non può non conoscere l’opposto di quanto la dottrina e la Tradizione insegnano - consapevoli eresie quando, coram populo, con linguaggio circeteristico, si permette di dire: “Non posso pensare ad una situazione in cui un essere umano è caduto in un buco senza via d’uscita. Spesso egli non può tornare al primo matrimonio. Se questo è possibile, ci dovrebbe essere una riconciliazione con la moglie o con il marito, <ma spesso questo non è possibile>”
Ed allora, avvitandosi in una serie di domande retoriche pro domo sua, a cui fa seguire risposte già pronte e funzionali al piano predisposto, lei continua non solo ipotizzando, ma dandola per certa, l’assoluzione e l’ammissione ai sacramenti.
Ma lei diluisce, non so quanto involontariamente, preso com’è dal concetto di misericordia, la riflessione sul sacramento della Penitenza quando si domanda, sapendo bene che quello che chiede è in contrasto con il Vangelo e la Dogmatica: “Nel Credo diciamo di credere nel perdono dei peccati. Se ci fosse questa mancanza e ci si è pentiti, l’assoluzione non è possibile? La mia domanda passa attraverso il sacramento della penitenza, attraverso il quale abbiamo accesso alla santa Comunione: Ma la penitenza è la cosa più importante: il pentimento per ciò che è andato storto, e un nuovo orientamento di vita”
Come si può notare, con siffatte proposizioni interrogative retoriche, lei non parla affatto dell’espiazione, cioè della riparazione o della debita soddisfazione, la settima condizione dopo: esame di coscienza, dolore, esposizione del/i peccato/i, proponimento, accusa, assoluzione, per la quale il sacramento può dirsi legittimo e il peccatore può ottenere il perdono di Dio. Il peccato è il turbamento, più o meno grave, dell’ordine spirituale, e sociale, per il cui restauro è necessario l’opera di risarcimento. Un ladro, pentito, non potrà mai avere il perdono da Dio, ad onta di un’assoluzione ricevuta dal sacerdote, se non avrà ripristinato l’ordine sconvolto col furto, e cioè, aver restituito il maltolto. E non lo giustifica un’eventuale volontà di far beneficienza con il frutto della rapina siccome scrive San Tommaso Aquinate. “Sicut Augustinus dicit in libro De Verb. Dom. (Sermo ad Populum - serm. CXIII cap. 2 <PL 38, 648)> illud verbum Domini quidam male intelligendo, rapiunt res alienas, et aliquid inde pauperibus largiuntur, et putant se facere quod praeceptum est… quia non sunt divitiae nisi iniquis, qui in eis spem constituunt” (S. Th. Secunda 2ae, q. 32, art 7 ad 1mum).
Piace a noi, eminenza, citare ulteriormente anche il nostro maggiore e amato poeta, il cattolico Dante Alighieri il quale, sulla scorta dell’Aquinate, ribadì questa dottrina, riportandola in magnifici e lapidarii versi:
“Dunque, che render puossi per ristoro?
Se credi ben usar quel c’hai offerto
di maltolletto vuo’ far buon lavoro”.
Se credi ben usar quel c’hai offerto
di maltolletto vuo’ far buon lavoro”.
(Par. V, 31/33)
Cioè, non ti è lecito fare il bene col frutto di inique azioni. Esso bene vero sarebbe se, come dicemmo sopra, il ladro avesse restituito al legittimo proprietario la sua roba.
E su questa tematica cade illuminante l’episodio evangelico di Zaccheo, l’esattore che si rende degno del perdono ricevuto da Gesù con l’adempimento di una azione risarcitoria, necessaria a perfezionare l’opera di conversione, col restituire, cioè, al derubato il suo quadruplo (Lc. 19, 1/10).
Lei, Eminenza, continua ancora affrontando il tema della Confessione ove, con evidente reticenza, parla del solo pentimento quale strumento unico ed efficace atto a ricevere il perdono di Dio e per sentirsi di nuovo in grazie con Cristo e in comunione perfetta con la Chiesa. Ma, glielo ricordo, non cita, perché l’argomento è di quelli che smonta tutta la teoria sua e del Papa, l’espiazione, dacché l’attenzione del Papa, e sua, è tutta sulla sola misericordia divina che tutto perdona, che tutto dimentica, che tutto abbraccia, niente richiedendo per espiazione.
Non è, infatti, papa Bergoglio, con un linguaggio e una dottrina non dissimile da un don Tonino Bello, ad aver affermato che, se san Pietro chiude ai peccatori la porta del Paradiso, la Vergine Maria, di notte, apre le porte per farli entrare?
In pratica: inferno vuoto, come piacque a von Balthasar e come sembra piacere a lei e al Papa, considerato che sostenete la teoria della “Comunione spirituale” quale strumento di pari valore a quella fisica, corporea.
Il ladrone che sulla croce espresse il proprio pentimento a Gesù, non per questo, perdonatolo, gli concesse di scendere dal patibolo ma vi espiò i proprii crimini col morire proprio nel supplizio. La meretrice, posta davanti al Signore per essere condannata dai farisei, non fu rimandata illesa con l’essere perdonata, ma dopo il perdono le fu rivolto il comando di non peccare più: “Nemmeno io ti condanno. Va, e d’ora in poi non peccare più” (Gv. 8, 11)
Le chiediamo: ma se il Signore, ab aeterno stabilì che il peccato d’origine sarebbe stato espiato non da un uomo per quanto santo fosse, ma addirittura da Suo Figlio, la Seconda Persona della Divina Trinità, come si può pensare che l’uomo peccatore - in questo caso il convivente, il divorziato risposato – possa riparare al danno dicendo, in confessionale: “Sono pentito” presumendo, o facendogli credere di aver sanato e di poter sentirsi purificato se continua a persistere nel peccato di concubinato?
Eminenza, lasci al Signore onnisciente il diritto e la potestà di giudicare le singole situazioni. Lei, e il Papa, attenetevi, invece, alla dottrina eterna del Vangelo, e difendetene l’integrità senza scendere a patti col mondo, non quello dell’umanità intesa come comunità sofferente, da evangelizzare e da redimere, ma il mondo come proiezione di quella realtà che Satana mostrò a Gesù nel deserto (Mt. 4, 8/9)
C’è, forse – e pare di sì – nelle intenzioni del prossimo Sinodo, la voglia di accettare le sfide del mondo accogliendo in pieno le istanze della massa dei divorziati. Non crede, Eminenza, che la formula “così fan tutti” non appartiene al vangelo?
E non sarebbe ora di smetterla con l’argomento delle sfide che il mondo lancia alla Chiesa e che la Chiesa pretende di voler raccogliere? Dacché le vere sfide, anzi, l’unica ed esclusiva sfida, è quella che Cristo lancia al mondo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc. 9, 23).
Ma questo asciutto ed ineludibile invito si contrappone a quanto lei chiosa col dire che, a proposito poi della dottrina della Chiesa che prescrive ai divorziati risposati, di astenersi dai rapporti sessuali per avere la comunione, osserva: “Vivere come fratello e sorella è un atto eroico, e l’eroismo non è per il cristiano medio”.
Cioè: liberatoria, scioglimento del vincolo e tutti felici. Nel peccato. Troppo facile aggirare l’ostacolo della durezza evangelica con il capzioso sillogismo secondo cui il fatto che tutti fan così, la Chiesa debba venire incontro con un atto sanatorio e una bella pietra sul passato.
E chi ha detto che il cristianesimo cattolico è semplice e ordinaria filosofìa? Chi volesse trovare giustificazione al proprio peccato ha a disposizione il protestantesimo, il buddhismo, le varie sètte più o meno religiose, non esclusa la massoneria con cui indegni vescovi e sacerdoti concelebrano sacrileghe mese “nere”, e alle quali, spiace dirlo, ma lo diciamo, va tutta la simpatìa della Chiesa, o meglio, di taluni uomini di Chiesa, mentre a determinati figli – e diciamo i Frati Francescani dell’Immacolata o i sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X - vengono riservati inquisizioni, restrizioni, sanzioni, purghe, esilii e capestri.
Il Verbo di Cristo è indeformabile “numquam reformatum quia numquam deformatum” e se questo lo dice lo stesso divino Fondatore della Chiesa, chi è mai un cardinale o, addirittura un papa, che osa cambiare le coordinate non solo sintattiche ma vie più quelle di un contenuto immodificabile?
“Amen dico vobis, donec transeat caelum et terra iota unum aut unus apex non praeteribit a lege donec omnia fiant” (Mt. 5, 18). Parole, come si legge, chiare, da Si Si No No (Mt. 5, 37), indeformabili, sine glossa, imperiture, contro cui non varrà un Sinodo straordinario e il luogo comune, che circola oggi nella Chiesa, del così fan tutti.
Lei, eminenza, non possiede la benché minima autorità a capovolgere o a cancellare il Vangelo. Lei, come parte del Magistero, è chiamato a custodire e non a tradire la lettera e lo spirito della parola. Se Cristo ha detto in modo perentorio, e senza ambagi o equivoci “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei e se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc. 10, 11), chi può arrogarsi la libertà e il potere di annullare tale verità?
Non appare, nella pericope, cenno alcuno a forme di pentimento che permettano di continuare nel peccato di adulterio, peccato che San Paolo ha bollato al pari di quello della sodomia. “Non sapete che gli ingiusti non possederanno il regno di Dio?Attenti a non illudervi: né fornicatori, né idolatri, né adulteri… saranno eredi del regno di Dio” (I Cor. 6, 9).
Come vede, l’Apostolo, accanto ai fornicatori ed adulteri, ha catalogato anche gli idolatri coloro che peccano contro il primo comandamento di Dio.
E che cos’è, se non ribellione a questo comandamento - Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro dio fuori che me - tutta questa peciosa, melensa e lutulenta pastorale che lei, e tutto il Magistero, state approntando apprestandovi a darla in cibo ai fedeli? Un esito idolatrico che discende da quelle miserabili aggregazioni repulsive che furono Assisi ’86 ed Assisi 2011, nelle cui chiese cattoliche, dense di santità francescana, in spregio al Salmo 95, 5 che afferma “Omnes dii gentium daemonia” e al Salmo 99, 3/4 che ribadisce “Entrate al cospetto del Signore e sappiate che Egli è il solo Dio… lodate il suo nome…” risuonarono, in polifonìa sacrilega e stridente, le invocazioni agli dèi pagani.
Eliminata l’unicità di Dio, il Dio cattolico – parola di papa Bergoglio all’ateo Eugenio Scalfari - la Santissima Trinità annunciata da Cristo, ora si provvede ad eradere anche la sua Parola. La verità, Eminenza rev.ma, è una sola: la Chiesa ha abbandonato il piglio combattivo e missionario preferendo il dialogo, un meccanismo bello per l’immaginario collettivo, facile e privo di rischio e, mi permetta, codardo, e perciò sterile per effetti, nell’illusione di produrre frutti mentre si va realizzando quella che la massoneria – presente in Vaticano, stando alle denunce documentate del defunto indimenticabile don Luigi Villa – ha, da tempi lontani, e con pazienza, programmato: la Chiesa Universale – argomento diletto del recente “santo” Giovanni XXIII - entro cui la Chiesa Cattolica, già socia delConsiglio Mondiale delle Chiese (WCC) – sarà fusa, annegandosi nell’identità amorfa di tutte le confessioni e finir plasmata in una sola, generica e comune forma di religiosità.
Ma noi, fedeli a Cristo e ostili alle mode dei tempi, non saremo inerti a guardare l’opera di erosione che taluni uomini di Chiesa stanno conducendo contro nostra Madre, intanto perché dovranno fare i conti col Fondatore il quale, oltre ad aver assicurato che “Portae inferi non praevalebunt” (Mt. 16, 18), oltre ad aver assicurato la Sua presenza costante “Ecco, Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt. 28, 20), ha profetizzato (Lc. 12, 32) la riduzione della Sua Chiesa a un “piccolo gregge” il quale, tuttavia persevererà; e poi perché coloro che amano la Chiesa, si sentiranno partecipi e compatti nella resistenza a questa azione sfrontata che, stando alle parole della Vergine Maria, a la Salette (1846) prima e a Fatima poi (1917), vedrà anche i pastori, fatta apostasìa, abbandonare il gregge spalancando le porte ai lupi.
In sintesi: il Magistero predichi ed insegni chiaramente, e senza criptiche perifrasi così gradite al mondo, che esiste un’unica maniera con che il divorziato, il convivente, il divorziato/sposato, può tornare in seno alla Chiesa: confessi e faccia fermo proposito di ritornare, sul serio e non a parole, allo status quo ante del primo e legittimo matrimonio perché, diversamente, si sarà perpetrato, con l’accoglimento suo nella Comunione perfetta della Chiesa, e con l’accesso ai sacramenti, il tradimento alla parola di Cristo:
AMEN DICO VOBIS, DONEC TRANSEAT CAELUM ET TERRA IOTA UNUM AUT UNUS APEX NON PRAETERIBIT A LEGE DONEC OMNIA FIANT (Mt. 5, 18).
Finché non siano passati cielo e terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.
CAELUM ET TERRA TANSIBUNT, VERBA AUTEM MEA NON TRANSIBUNT(Lc. 21, 33).
Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno.
Santa Marinella 9 aprile 2014
Con devozione filiale
Prof. Luciano Pranzetti
maggio 2014
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV808_Pranzetti_Lettera_a_Kasper.html
Questi nuovi prelati ritengono di essere stati investiti della missione divina di far PROGREDIRE la chiesa sulla via della verita', SUPERARE le incrostazioni del vecchio mondo, e LIBERARE cosi' il popolo di Dio dalle prigioni che gli impediscono di vivere nel mondo moderno.
RispondiEliminaQuesti nuovi prelati non credono alle Divine Scritture, figuriamoci se danno ascolto alle suppliche (pur giustissime) dei fedeli. "Se non ascoltano Mose' e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi" (Lc XVI, 31)
Da qui al 2017 vivremo tempi durissimi.