ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 8 maggio 2014

Primus inter pares!

“Francesco tra i lupi”: Marco Politi racconta la rivoluzione vaticana di Papa Bergoglio

Il vaticanista de Il Fatto Quotidiano racconta che "già prima di partire per Roma" il vescovo di Buenos Aires "si è fatto un'idea precisa del profilo del prossimo Pontefice: un uomo di preghiera", "convinto che il padrone della Chiesa sia Cristo e non lui"

Papa Francesco
In Francesco tra i lupi Politi, che nel volume Joseph Ratzinger. Crisi di un papato, sempre edito daLaterza, aveva previsto le dimissioni del Pontefice tedesco, mette a confronto il battito pulsante della Chiesa dell’America latina, delle periferie esistenziali, delle ‘villas miseria’ tanto care a Bergoglio, con quello affannato della Curia romana che riprende vigore dopo quello che ilgiornalista definisce “il colpo di stato di Benedetto XVI”. “Senza Ratzinger – scrive Politi – non c’è Francesco. Senza le dimissioni di Benedetto XVI il cattolicesimo non sarebbe approdato alla svolta storica di un Papa del Nuovo Mondo“. E’ l’effetto choc avvenuto già nel secondo conclave del 1978 dopo la morte improvvisa, trentatré giorni dopo l’elezione, di Giovanni Paolo I. Allora sul trono di Pietro arriva il primo Papa slavo, il Pontefice dell’altra parte della cortina di ferro. Oggi l’abdicazione di Ratzinger apre le porte al primo Papa latinoamericano, al Pontefice della “fine del mondo”.
Con la sua rinuncia, scrive Politi, “Benedetto XVIdemitologizza la carica papale, archivia l’icona sovrannaturale del Pontefice monarca eterno, finché morte non sopraggiunga, infallibile, perché circondato da una corte pronta a giurare che non sbaglia mai”. Ratzinger “vuole fare tabula rasa delle posizioni cristallizzate in Curia”. E in un altro passaggio Politi scrive che “è sul piano del governo che il pontificato ratzingeriano finisce in un vicolo cieco”. “Il Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, si è rivelato incapace di stabilire un rapporto di lavoro proficuo con la Curia. Lo accusano di essere accentratore, di non conoscere l’apparato e mancare di esperienza diplomatica, di comportarsi da vice-Papa e improvvisare troppo”. Politi sottolinea che a chiedere a Benedetto XVI la dimissioni di Bertone sono diversi cardinali: Christoph Schönborn, Angelo ScolaAngelo BagnascoCamillo Ruini e Joachim Meisner. Ma nulla. “Nei fatti – sostiene il giornalista – la decisione di abdicare equivale a una sorta di colpo di stato, che in Vaticano azzera tutto”. Lascia Ratzinger per aprire la strada alla svolta di Bergoglio. 
Alla vigilia di un “conclave anti-italiano”, come dimostra testimonianze alla mano Politi, “Jorge, – scrive il vaticanista – arrivato all’età della pensione, ignora che la sua vita si trova di fronte a una svolta. Ognuno ‘nasce’ in una stagione precisa. Karol Wojtyla si è temprato nel teatro clandestino contro l’occupazione nazista e lavorando nelle cave di pietra e nella fabbrica Solvay. Benedetto XVI si è formato nelle aule universitarie. Pio XII e Paolo VI sono cresciuti nelle stanze della Segreteria di Stato vaticana. Giovanni XXIII è maturato tra gli ortodossi di Bulgaria e i musulmani di Turchia.Jorge Mario Bergoglio rinasce nei viaggi in metro, osservando la città dalle sue viscere, misurando a piedi gli spazi tra le baracche”.
Di “papato a termine” parla Politi guardando all’orizzonte della Chiesa di Francesco. “Il successore – ipotizza il vaticanista – tornerà probabilmente a vivere nell’appartamento papale, ma non potrà più presentarsi con i paludamenti del passato. Soprattutto non riuscirà più a esercitare un potere autoritario senza limiti. L’assolutismo imperiale dei Pontefici è stato incrinato irreversibilmente”. Un arco temporale limitato per Bergoglio, dunque, secondo il giornalista, per realizzare il suoprogramma di governo. “Vegetare sul trono in età avanzata – sottolinea Politi – non fa parte del temperamento intellettuale di un Pontefice gesuita, attento a ‘discernere’ le situazioni. La dichiarata volontà di mantenere e, anzi, rinnovare passaporto e carta d’identità della sua patria argentinalascia intravedere un’esistenza futura non necessariamente conclusa all’interno delle mura vaticane”.
Francesco tra i lupi sarà presentato l’8 maggio (ore 17 sala bianca) al Salone del libro di Torinodalla teologa Michela Murgia, da don Gino Rigoldi e dal politologo Gian Enrico Rusconi. La scelta della location non è casuale perché quest’anno per la prima volta la Santa Sede è ospite d’onore della rassegna editoriale internazionale. Sotto la guida del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, essa è presente con un grande stand nel terzo padiglione del Lingotto con un cupolone fatto di libri che riprende il progetto per la nuova Basilica Vaticana di Donato Bramante, di cui si celebra quest’anno il 500° anniversario dalla morte. Il padiglione della Santa Sede è rappresentativo sia delle attuali iniziative della Libreria editrice vaticana diretta da don Giuseppe Costa, anche a seguito del boom editoriale seguito all’elezione di Bergoglio, sia del rapporto storico della Chiesa e dei Papi con il libro e le arti. 

Papa Francesco, la solitudine del rivoluzionario. Bergoglio e i cambiamenti nella Chiesa, bestseller al Salone

La Stampa - Spogli
 

(Gian Enrico Rusconi) Si sente una nuova sottile amarezza nelle espressioni pubbliche di papa Francesco alla fine del suo «primo anno di grazia». I temi della «tenerezza» e della «misericordia» lasciano il posto all’accorata denuncia della ricerca della vanità, del potere, del denaro. Particolarmente dure ed esplicite sono le critiche agli uomini di Chiesa che non sono all’altezza della loro missione.
Nell’enfasi pubblica che accoglie sistematicamente ogni parola o raccomandazione del Pontefice, si percepisce la delusione che alle parole non seguono gli attesi pronti mutamenti concreti nella realtà ecclesiale e sociale. Bergoglio è troppo intelligente per non capire che la continua evocazione della sua «rivoluzione» a fronte dell’immobilismo della comunità ecclesiale e civile, cui è rivolta, rischia di logorarsi come mero annuncio mediatico.
«Si sentono applausi scroscianti da tutte le parti e al contempo si avverte una grande inerzia nelle strutture ecclesiastiche», scrive Marco Politi nel suo libro Francesco tra i lupi. Il segreto di una rivoluzione (Laterza, 2014), uno studio che è tra i più informati e attenti al fenomeno Bergoglio.
L’interesse del lavoro sta anche nel modo in cui è costruita la narrazione e la documentazione. Testimonia – forse senza volerlo – l’evoluzione di giudizio degli osservatori simpatetici verso il Papa. Si trovano davanti ad una personalità che si rivela assai più complessa e difficile da capire, dotata di qualità e limiti che contrastano sia le entusiastiche valutazioni iniziali che le irritate stroncature.
Del libro di Politi vorrei qui mettere in evidenza soltanto alcuni passaggi, che portano a quesiti cruciali aperti. Dopo una acuta analisi del predecessore Ratzinger e della dinamica interna del Conclave («Il colpo di stato di Benedetto XVI», «I segreti del conclave anti-italiano») sorge il dubbio se tutti i cardinali elettori conoscessero davvero il nuovo eletto Bergoglio. A questo proposito sono preziose le pagine del libro dedicate alla sua biografia, le vicende pregresse di Superiore generale dei gesuiti, il difficilissimo periodo della dittatura argentina e l’esperienza di arcivescovo di Buenos Aires. Viene fuori una personalità di pastore tutt’altro che politicamente disarmato, ma abile nel muoversi in una società complessa, civile e clericale. «A Buenos Aires negli ambienti cattolici e no, il giudizio sulle qualità di Bergoglio come dirigente è unanime. E’ un uomo di comando, dicono». Ma non meno straordinaria è l’autocritica che Bergoglio fa retrospettivamente proprio su questo punto, ripromettendosi di avere un atteggiamento di paziente attenzione verso tutti.
Il Papa che viene dalla «fine del mondo» non è uno sprovveduto né per esperienza, né per cultura, né per dottrina. Ma probabilmente ha sottovalutato la resistenza ( dei suoi stessi grandi elettori) a innovare davvero gli atteggiamenti pastorali, riaprendo anche implicitamente una riflessione dottrinale. Ma su questo punto sembra solo. Non a caso gli si rimprovera una certa leggerezza dottrinale nella controversa problematica della «pastorale della famiglia». Su questo si arriverà presto ad un confrontoscontro sulla questione (apparentemente marginale) dell’eucarestia per i credenti divorziati e risposati.
Credo che Papa Bergoglio sia consapevole che la posta in gioco non sia soltanto pastorale ma dottrinale . Ma è un modo concreto di affrontare il tema del «peccato» , che è stato toccato soltanto genericamente in uno dei dialoghi «laici» dell’inizio del suo pontificato che tanto hanno contribuito a creare la sua immagine pubblica. Non è stata semplicemente la sua personalità umana ma i suoi strappi verbali e una implicita ermeneutica dottrinale innovativa a sdrammatizzare il contrasto tra credente e non credente, spiazzando anche molti laici nostrani. «Al Papa argentino è del tutto estranea l’idea che l’essere atei provochi sofferenza e porti alla decadenza dell’umano» – ricorda Politi. Ma mi chiedo quali conseguenze pratiche avrà questo atteggiamento sul contenzioso sempre aperto nel nostro paese sui diritti civili e personali che sinora ha dovuto fare i conti con la barriera dei «valori non negoziabili»?
Il giudizio di Politi sembra sospeso come su altre questioni. Parlando del «programma della rivoluzione» lo sintetizza così: riformare la Curia rendendola più snella ed efficiente, fare pulizia nella banca vaticana e promuovere la collegialità, instaurando consultazioni frequenti tra il Pontefice, il collegio cardinalizio (istituito, con esplicito compito di sostegno al Pontefice) e le conferenze episcopali. Notoriamente sono iniziative di cui si parla in continuazione e di cui si vedono soltanto i primi passi. Ma il bilancio del primo anno di pontificato vede crescere le difficoltà. «Benchè abbia un programma, Francesco in realtà ignora l’approdo a cui perverrà», scrive Politi.
In realtà la carta vincente non sarà la persona del Papa, per quanto straordinaria essa sia, ma l’attivazione di una effettiva collegialità dei vescovi. Ma è una prospettiva che al momento è remota.
fonte: Spogli

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