ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 27 giugno 2014

Confiteor..

Il Sacramento della Penitenza è passato di moda? 

Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;

zzppcnfssnnella tua grande bontà cancella il mio peccato …
Contro di te, contro te solo ho peccato …
Aspergimi di issopo e sarò mondo;
lavami e sarò più bianco della neve. (Salmo 51, Miserere).

di Carla D’Agostino Ungaretti

Nella confusione secolarizzata che regna sovrana nelle menti e nei cuori di tanti cristiani, il Sacramento della Penitenza è quello che ne ha fatto maggiormente le spese in termini di considerazione e frequentazione dei confessionali da parte del popolo di Dio. Forse anche per questo motivo la nuova formulazione del Catechismo della Chiesa Cattolica varata da S. Giovanni Paolo II nel 1992, ha cambiato nome al IV Sacramento chiamandolo “Riconciliazione”, che più dell’altro evoca l’amore che Dio nutre nei confronti delle sue pecorelle e la misericordia con la quale Egli va in cerca di quelle smarrite. Inoltre, il nuovo nome rende questo Sacramento meno “penitenziale” e mortificante per il peccatore, dato che quello originario evocava troppo le fustigazioni, i cilici, la rigorosa disciplina che, soprattutto nei primi secoli del Cristianesimo, venivano applicati ai battezzati che confessavano di aver  commesso peccati particolarmente gravi come l’idolatria, l’omicidio e l’adulterio.

Capitava, infatti, che costoro spesso dovessero aspettare anni prima di ricevere il perdono della Chiesa e la “riconciliazione”. Oggigiorno tutto questo non accade più perché, se la secolarizzazione in atto ha fatto retrocedere Dio a uno degli ultimi posti nella scala dei valori della vita umana, figurarsi quali posizioni potranno occupare la consapevolezza del peccato, il pentimento e il desiderio di riscatto!
Invece, nella Bibbia e nella storia – anche nei tempi in cui il Sacramento della Penitenza non era stato ancora definito teologicamente e pastoralmente – non mancano i casi di aspri rimproveri rivolti con successo ai peccatori da parte degli uomini di Dio perché si convertissero. Pensiamo, ad esempio, alla  vigorosa strigliata che il profeta Natan riserbò al Re Davide, adultero e omicida (2 Sam 12, 1 – 13); alla durissima penitenza che, nel 387 d. C., S. Ambrogio inflisse all’Imperatore Teodosio, colpevole di aver ordinato l’eccidio di Tessalonica, prima di riammetterlo alla piena comunione ecclesiale. Ma allora il Cristianesimo era appena diventato la religione ufficiale dell’Impero Romano e godeva del supporto dell’autorità civile; oggi, nel clima di secolarizzato laicismo che respiriamo, quale uomo di stato o di governo dei nostri tempi, anche cattolico ma colpevole di violenta repressione del dissenso (ammesso e non concesso che ne sentisse rimorso) si assoggetterebbe a una dura penitenza? O quale Vescovo troverebbe il coraggio di infliggergliela?
C’è anche un altro episodio analogo verificatosi nei tempi moderni, che mi fu riferito da un testimone oculare e riguardante il Santo Padre Pio da Pietrelcina (non riesco a chiamarlo solo S. Pio, devo aggiungere anche Padre, perché penso che la paternità spirituale che quel grandissimo uomo di Dio ha saputo effondere intorno a sé sia stata altrettanto generatrice di vita della paternità biologica, se non di più).
Dunque: negli anni ’50 del secolo scorso si tenne, nella Casa Sollievo dalla Sofferenza di S. Giovanni Rotondo, un importante congresso nazionale di radiologia e medicina nucleare al quale parteciparono medici radiologi provenienti da tutta Italia. Al termine del congresso era previsto che Padre Pio sarebbe sceso in mezzo ai congressisti per benedirli e celebrare una Messa appositamente per loro e per le loro famiglie. Ma appena  salito davanti all’altare il santo frate – che, come tutti sanno, aveva il dono di saper leggere direttamente nei cuori e non concedeva sconti spirituali a nessuno – volse lo sguardo su tutti i fedeli che affollavano la chiesa e puntando senza riguardi il dito contro un noto medico – che sedeva in mezzo a loro e che nel suo ambiente aveva fama di essere un famoso don Giovanni, benché regolarmente sposato e padre di famiglia – così lo apostrofò: “Tu! Come osi presentarti davanti all’altare di Dio sapendo di vivere in una condizione familiare di peccato mortale? Prima torna a casa tua, metti ordine nella tua famiglia e chiedi perdono a Dio e a tua moglie, poi potrai tornare!” Penso che agli allibiti congressisti presenti – che conoscevano bene il retroscena e ne spettegolavano volentieri tra di loro, forse anche con una punta di invidia come succede in tutti gli ambienti – sia sembrato di essere tornati ai tempi di Davide o di S. Ambrogio; comunque seppi più tardi che quel medico, famoso  tombeur de femmes, divenne successivamente uno dei più fedeli e devoti figli spirituali di Padre Pio e condusse da quel momento in poi una vita esemplare.
Questo fu il carisma di un grande uomo di Dio che si lasciava guidare solo da Lui senza alcun rispetto umano e non temeva di sgridare pubblicamente un peccatore notorio! Quanti confessori oggi sarebbero capaci, come il Santo di Pietrelcina, di cacciare dal confessionale il penitente che non appaia pentito e deciso a cambiare vita? Oggi che si parla con insistenza di dare la S. Comunione anche ai divorziati risposati? Oggi che “i preti non fanno più caso alle convivenze prematrimoniali”,come ho sentito dire io stessa da una giovane coppia convivente da anni che aspirava al Matrimonio sacramentale?
Io non ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Padre Pio, ma ho letto molto di quanto è stato scritto su di lui e lo prego spesso perché penso che solo con la sua intercessione si potranno raddrizzare i sentieri pastorali che in questi ultimi decenni hanno subito tante deviazioni da quelli stabiliti da Dio. Quando penso all’episodio che ho appena riferito, mi domando se l’insistere tanto sull’infinita Misericordia di Dio – cosa in sé giustissima, ma senza farla precedere da un’altrettanto forte insistenza sulla necessità del pentimento e della metànoia - non faccia credere ai peccatori che il perdono di Dio sia sempre e comunque assicurato a prezzi ridotti come le offerte speciali dei supermercati. Questo sarebbe buonismo da parte di Dio e non certo giustizia, eppure questa è la convinzione più diffusa nel pensiero dominante. Forse che Padre Pio non era misericordioso? Gli innumerevoli figli spirituali che egli ha avuto e il devoto affetto di cui essi lo hanno sempre circondato smentiscono questo sospetto e se egli in quell’occasione avesse taciuto, quel peccatore si sarebbe accostato indegnamente alla S. Comunione profanandola e avrebbe continuato a osservare il suo spensierato stile di vita senza troppi scrupoli di coscienza (“Peccato di pantalone, pronta assoluzione!” ho sentito dire una volta ed era una convinzione molto diffusa).
Comunque, i lontani ma famosi episodi storici che ho citato ci rivelano, da un lato, che i potenti hanno sempre offeso Dio usando la violenza contro i loro simili (basti pensare ai genocidi che ancora si verificano in questa nostra triste epoca) e, dall’altro, che a tutti è concesso il perdono quando si è pentiti e che oggi la Chiesa – se non ha mai modificato il suo giudizio sul peccato – nondimeno è molto più indulgente di una volta nell’imporre la riparazione al peccatore . In altri termini, oggi sia i grandi peccatori (e, senza volerli giudicare, ne conosciamo molti) sia noi poveri peccatori quotidiani (che mi fanno pensare ai “poveri untorelli” dei Promessi Sposi, ritenuti piccoli delinquenti di mezza tacca, ma altrettanto numerosi) ce la caviamo con molto meno.
All’origine del Sacramento della Riconciliazione c’è il personale riconoscimento di aver peccato e l’espresso mandato di Gesù: “In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo” (Mt  18, 18) . “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 23). Il compito degli Apostoli e dei loro successori quindi è chiarissimo: essi devono continuare la missione di Gesù il quale, morendo sulla croce, ha definitivamente vinto il potere del peccato sull’uomo e in tutto il Nuovo Testamento resta precisata  l’insostituibile necessità dell’intervento dei Ministri della comunità perché nella loro parola è resa presente e operante quella verità sull’uomo e la sua condotta che compete al solo giudizio divino, di cui la Croce è la manifestazione.
Però la realtà del peccato la si può comprendere solo alla luce della Rivelazione di Dio e quindi in un’ottica di fede. Conoscendo il disegno di Dio sull’uomo, si capisce che il peccato è una rottura della nostra relazione personale con Dio, come piange il Miserere; è un abuso della libertà che Egli dona alle sue creature; è una mancanza volontaria contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a ciò che appare come un bene. Il peccato si erge contro Dio in una disobbedienza contraria all’obbedienza di Cristo. Ma se non ci facciamo illuminare dalla Rivelazione, allora riduciamo il peccato (come fa la cultura moderna) a uno sbaglio sociale, un errore, un reato giuridico, una sofferenza psicanalitica, per cui il lettino dello psicanalista  vale più della confessione.
Sentii una volta, nella mia cerchia di amicizie, la storia (in realtà purtroppo abbastanza comune) di una donna perdutamente innamorata di un uomo marito e padre, la quale fece di tutto per convincerlo ad abbandonare la sua famiglia per sposare lei. Alla fine ci riuscì e, dopo il divorzio dell’uomo, i due si sposarono. La signora, però, provava sempre un sottile senso di colpa per aver distrutto con le sue mani una famiglia che, prima della sua intrusione, era serena. Allora si sottopose a un lungo trattamento psicanalitico finalizzato a cancellare quel senso di colpa perché, secondo il suo giudizio e secondo la diagnosi dello specialista, lei aveva perfettamente diritto di realizzare il suo sogno d’amore, a prescindere dalle implicazioni e dalle conseguenze.
Non ho mai saputo se la terapia abbia avuto successo o no, ma penso che quello che tutti avevano definito un“ingiustificato senso di colpa” non era altro che la voce di Dio che bussava al cuore di quella signora, ma essa non Gli ha aperto perché il pensiero dominante aveva talmente riempito la sua vita e la sua anima da non farle riconoscere quella voce e percepire la realtà e l’entità del suo peccato, facendole invece credere di avere comunque il diritto di realizzare il suo desiderio. Se poi il suo comportamento aveva procurato dolore e sofferenza a persone innocenti, ebbene ça c’est la vie!
Allora è evidente che si dovrà rivalutare la confessione nel suo significato sacramentale. Ma come potrà avvenire questo? Perché è necessaria la confessione nella forma prevista dalla tradizione cattolica? Ricordo di aver sentito una volta citare  un’espressione di un grande teologo domenicano (credo che fosse il Padre  L. de Grand – Maison, ma se ricordo male spero che qualcuno gentilmente mi corregga) il quale diceva: “Sono solo i Santi quelli che hanno il senso del peccato. E sono solo i Santi quelli che vivono il bisogno della riconciliazione”. E infatti quel bisogno può essere fondato da molte attese ma, in ultima analisi, l’attesa vera cioè quella che effettivamente la celebrazione della Penitenza vorrebbe purificare, vorrebbe scavare, come si scavano i pozzi per riuscire a trovare la sorgente, è proprio la nostalgia di Dio dal quale ci siamo allontanati con il peccato. Il problema quindi è quello di riuscire a fare il bene perché vogliamo vivere in relazione con Dio, non di liberarci di alcuni mali (cioè di alcuni peccati) ma di guarire il rapporto con Dio. Altrimenti non riusciamo a sentirci veramente in pace perché sappiamo che Lui è vicinissimo a noi, tutto ce lo dice, ma noi non siamo vicini a Lui. Quella signora non sentiva affatto la presenza di Dio nella sua vita, eppure non viveva in pace.
Ecco allora la necessità del Sacramento. Se si trattasse di una specie di auto liberazione – come pensava lei, cioè di un processo in cui i protagonisti siamo noi, per cui dobbiamo garantire la nostra umana efficienza – allora la faccenda sarebbe completamente diversa e sarebbe logico cercare altre strade apparentemente più fruttuose, come quella del trattamento psicanalitico. Ma se percepiamo nel nostro cuore che in discussione è il rapporto con Dio, che noi non riusciamo a vivere, nel quale non riusciamo a perseverare, allora ecco la necessità del Sacramento.
Allora, la confessione dei propri peccati è una professione di fede, è un aderire spontaneamente e liberamente alla proposta di Dio. Se non fosse Dio ad attirarci a sé, noi non potremmo mai agganciarci a Lui con le nostre sole forze ad onta di tutte le nostre lauree, la nostra cultura e i nostri premi Nobel. I greci, prima della Comunione, ripetono trentanove volte: Kyrie eleison, Kyrie eleison! E il confessore ci dice: “Dio, che ha riconciliato il mondo in Gesù Cristo e nel Suo Spirito Santo ci ha concesso la remissione dei peccati, attraverso il ministero della Chiesa ti conceda il perdono , ed io ti assolvo dai tuoi peccati in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ”. Questa formula dell’assoluzione è una eccelsa professione di fede ed effonde sul penitente la Grazia Santificante. Ma ci rendiamo conto di quanto sono sconvolgenti quelle parole? Se il“mondo” se ne rendesse conto, entrerebbe tutti i giorni nel confessionale e i sacerdoti dovrebbero passare la vita chiusi dentro quei mobili da chiesa che invece sono perennemente vuoti e che io ho visto, a una mostra dell’antiquariato, trasformati in eleganti librerie vendute a carissimo prezzo.
Se è vero che confessare i propri peccati è una professione di fede, è facile capire perché nessuno entri più dentro quei mobili. Nessuno sa più che cosa sia veramente la fede, gli stessi parroci sono convinti che la quasi totalità dei fedeli che ogni domenica si accostano alla S. Comunione la ritengono soltanto una parte del rito domenicale e nulla più. Che fare, allora? Forse dovremmo seguire l’esempio dei greci e fare nostra l’invocazione bizantina dal profondo significato cristologico: Gesù, Figlio di Dio, Salvatore, abbi pietà di me peccatore!

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