In quel lembo di giardino paradisiaco nel quale domenica 8 giugno papa Francesco e i presidenti d’Israele e di Palestina Simon Peres e Abu Mazen hanno invocato l’unico Dio è vibrato il sogno di una pace in terra che non arriva mai, ma anche l’utopia di una Gerusalemme così difficile da pacificare proprio perché santa per tutte e tre le religioni discese da Abramo.
L’evocazione di Gerusalemme ha caratterizzato da subito la preghiera elevata dagli ebrei, col salmo 147, e poi la preghiera dei cristiani, col capitolo 65 del profeta Isaia letto dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo.
Ma soprattutto il richiamo a Gerusalemme è stato centrale nei discorsi conclusivi di Peres e Abu Mazen.
Il presidente d’Israele ne ha parlato così:
“Sono venuto dalla città santa di Gerusalemme per ringraziarvi per questo vostro invito eccezionale. La città santa di Gerusalemme è il cuore pulsante del popolo ebraico. In ebraico, la nostra lingua antica, la parola Gerusalemme e la parola ‘pace’ hanno la stessa radice. E infatti pace è la visione stessa di Gerusalemme. Come si legge nel libro dei Salmi (122, 6-9): “Chiedete pace per Gerusalemme. Vivano sicuri quelli che ti amano. Sia pace nelle tue mura e sicurezza nei tuoi palazzi. Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: Su di te sia pace. Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene’”.
Ma più ancora ne ha parlato il presidente palestinese, in tre passaggi del suo discorso nei quali ha citato anche il Nuovo Testamento:
“O Dio, noi ti lodiamo sempre per aver fatto di Gerusalemme la nostra porta per il cielo. Come dice il Santo Corano, ‘Gloria a Lui, che ha fatto che il Suo servo viaggiasse di notte dal luogo sacro dell’adorazione al più alto luogo dell’adorazione, i cui dintorni Noi abbiamo benedetto’. Tu hai reso il pellegrinaggio e la preghiera in questo luogo gli atti migliori che i fedeli possono compiere in tuo onore, e hai espresso la tua promessa fedele con le parole: ‘Entrino nel Masjid come hanno fatto per la prima volta’. Dio Onnipotente ha detto la verità”.
“Ti supplico, O Signore, in nome del mio popolo, il popolo della Palestina – musulmani, cristiani e samaritani – che desidera ardentemente una pace giusta, una vita degna e la libertà. Ti supplico, o Signore, di rendere il futuro del nostro popolo prospero e promettente, con libertà in uno stato sovrano e indipendente. Concedi, o Signore, alla nostra regione e al suo popolo sicurezza, salvezza e stabilità. Salva la nostra città benedetta Gerusalemme; la prima Kiblah, la seconda Santa Moschea, la terza delle due Sante Moschee, e la città delle benedizioni e della pace con tutto ciò che la circonda”.
“Oggi, noi ripetiamo ciò che Gesù Cristo dice rivolgendosi a Gerusalemme: ‘Se tu avessi conosciuto oggi la via della pace!’ (Luca 19,42). Ricordiamo pure le parole di san Giovanni Paolo II, quando disse: ‘Se la pace si realizza a Gerusalemme, la pace sarà testimoniata nel mondo intero’. E allo stesso tempo, nella nostra preghiera di oggi, abbiamo ripetutamente proclamato per coloro che si impegnano per la pace: ‘Beati gli operatori di pace!’; e ‘Chiedete pace per Gerusalemme’. come si dice nelle Sacre Scritture. Perciò noi Ti chiediamo, Signore, la pace nella Terra Santa, Palestina, e Gerusalemme insieme con il suo popolo. Noi ti chiediamo di rendere la Palestina e Gerusalemme in particolare una terra sicura per tutti i credenti, e un luogo di preghiera e di culto per i seguaci delle tre religioni monoteistiche – ebraismo, cristianesimo, islam – e per tutti coloro che desiderano visitarla come è stabilito nel Santo Corano”.
Ebrei e cristiani si sono attenuti fedelmente ai testi scritti predisposti con il coordinamento del custode di Terra Santa Pierbattista Pizzaballa: testi autonomamente redatti da ciascuna delegazione ma comunicati in anticipo e accettati dalle altre.
Solo i musulmani se ne sono qua e là distaccati, durante la preghiera, con improvvisazioni lette e cantate che hanno messo in allarme alcuni degli ebrei presenti, per alcune accentuazioni unilaterali proprio sulla questione di Gerusalemme.
In ogni caso, questa prima volta di una preghiera congiunta di cristiani, ebrei e musulmani nel giardino romano del successore di Pietro ha mostrato al mondo – come ha detto papa Francesco – che “la spirale dell’odio e della violenza può essere spezzata con una sola parola: ‘fratello’. Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un unico Padre”.
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