Vedevo Satana cadere dal cielo come la folgore
La crisi del senso cristiano alle soglie del terzo millennio.
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Alle soglie della modernità una presa di posizione dura minaccia sin dalla radice il senso dell’uomo e la sua più intrinseca spiritualità. L’ateismo, nelle sue diverse e anche più apparenti forme, rappresenta infatti, oggi più che mai, uno degli ostacoli alla ricerca suprema che in ogni civiltà ha sempre lasciato il suo segno. Il senso religioso risolve le domande, le paure, i dubbi dell’uomo e li racchiude in un grande punto: la fede. Venuta meno questa, crolla l’intero sistema di credenze, il senso sommo, forse, dal quale riceve senso la vita stessa.
E non sia mai che la fede venga intesa come una brodaglia di superstizioni banali o una semplice battuta di arresto dinanzi alla grandezza del mistero. La fede, semmai, più che risolvere questioni, ne pone altre. Essa è punto di partenza, ma anche meta di arrivo. Se ci si fermasse soltanto alla credenza indiscussa di dogmi serviti sul piatto si finirebbe per credere più alle parole degli uomini che all’operare del divino. La fede è ricerca costante, e non può che caratterizzarsi come tale.
Ci si chiede dunque quale dovrebbe essere il senso del credere nell’Occidente cristiano e non si può che notare la demolizione totale della speranza. La fede è vista sempre più come un inutile bagaglio, reminiscenza di una tarda antichità, prodotto di cui liberarsi. Cui prodest? Si sente dire tra i giovani. Ma prima ancora che giovare a qualcosa essa è vista come antitetica al sistema di apparenti valori della modernità. Lo spettro del relativismo non è un modo di dire capace di evocare una minaccia terribile, esso era operante già da tempo nell’umanità che si apprestava a giungere alle soglie del terzo millennio. <<Da qualche fessura il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio>>. E’ Paolo VI a pronunciare queste terribili parole nell’omelia del 29 giugno del 1972 a sette anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, accortosi, forse, che in realtà non è cambiato molto, anzi una crisi lacerante minaccia dall’interno stesso il cristianesimo e la Chiesa. Non bisogna aspettare molto perché presto si abbia la consapevolezza dell’intera portata del Concilio ecumenico. A distanza di cinquanta anni il rinnovamento e l’adeguamento ai tempi lasciano intravedere una diaspora di cristiani che non sanno più quale stia il senso stesso del cristianesimo; di qui, per esempio, il rifugio di molti in forme di spiritualità orientali, ben lontane dall’orizzonte di speranza, e insieme di salvezza, proprie del messaggio di Cristo. Se ne era accorto Sergio Quinzio quando, inascoltato, proclamava il recupero del Kerygma, la venuta del Regno di Dio, la risurrezione dei morti e la vita nel mondo che verrà. È questo abbandono da parte della Chiesa del vero Annuncio che minaccia oggi – per Quinzio – la rivoluzione del messaggio cristico. Tutti i suoi scritti tentano in qualche modo di recuperare la speranza ormai sepolta dei cristiani, desiderano riportare in auge quella promessa che da sola sarebbe in grado di risvegliare dal sopore dei secoli la spiritualità cristiana.
L’indifferenza per la verità ha prodotto la tolleranza. Scriveva così Sergio Quinzio in “Cristianesimo degli inizi e della fine” (1967). Non che il cristianesimo abbia bisogno di guerre, troppe se ne sono viste, ma oggi assistiamo ad un disinteresse che non è frutto di meditazioni filosofiche, ma di semplici battute di arresto o da slogan del momento che non trovano modo di essere messi in discussione. Il dramma sta in un clima socio-culturale che elegge a sistema di valori il relativismo. Non il dubbio, ma l’incapacità di fugare il dubbio, non la Verità, ma la mia verità, il che finisce col confezionare o una religione a modo proprio o una sfiducia totale, motivata anche da critiche di carattere ideologico contro le gerarchie ecclesiastiche. La società dei consumi non offre niente di meglio che propinare sul mercato della vita il benessere piuttosto che la felicità, un benessere che si traduce con il possesso incondizionato di ogni cosa. Più vedo, più voglio. Non siamo lontani da un vero e proprio edonismo isterico, tutto sembra a portata di mano e miserabilmente tutto ci sfugge nello stesso possesso poiché non si apprezza il valore degli affetti, dei sentimenti, del saggio vivere. Così il marasma prende vita nelle nostre abitudini, pervade il nostro animo al punto di considerare normale l’anormale solo perché nel relativismo non esiste alcun punto di riferimento, la verità cede il posto ad una personalistica concezione del mondo nella quale è possibile costruire una morale libera e disinibita proponendola a modello generale.
Dinanzi ad una situazione così cupa e complessa l’azione della Chiesa dovrebbe battere ciglio sull’essere esportatrice universale dell’unico messaggio di salvezza, e non solo sull’essere giudice morale dei tempi. La crisi dell’uomo moderno è principalmente una crisi di fede: occorre intervenire e rattoppare gli squarci già troppo grandi. I fedeli assistono ai riti quasi per convenzione, pochi percepiscono ormai il senso del sacro e le catechesi offerte ai ragazzi non sono altro che ore passate a giocare in oratorio o meditazioni sulle buone e le cattive azioni. Ma un metodo efficace dovrebbe esser quello di educare alla fede attraverso un’intensa attività pastorale. In un clima di perversione dei costumi e di oblio del senso religioso non si può ancora insistere con l’offrire un’educazione conforme al sistema. La religione è anticultura, non si adegua in fretta ai tempi e forse proprio in questo sta la sua grandezza. L’essersi conformata negli stili e nella comunicazione banale alla cultura contemporanea, sebbene questo non lo riconosca, è stato il più grande errore della Chiesa.
Da cinquanta anni Essa si è trasformata in molti modi, pontificati diversi si sono succeduti ma l’obiettivo non è stato ancora centrato. Il senso della fede cristiana si può recuperare solo con la riscoperta del fatto che il cristianesimo non debba essere inteso come una imposizione gratuita, ma come un indirizzo, e una scelta, di salvezza. A recuperare questo senso non serviranno mille Giornate della Gioventù e diecimila canonizzazioni. Serve il Vangelo, serve la Parola. Solo così si può fronteggiare la minaccia che arriva dalla modernità. Dinanzi allo sfascio dei tempi il messaggio di Cristo rappresenta l’unica vera soluzione: ”il Regno di Dio è vicino,- predicava Cristo- convertitevi e credete al Vangelo.”
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