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martedì 10 giugno 2014

La “querelle”

LA VALIDITÀ DEI SACRAMENTI DELL’ORDINE E DELLA CRESIMA
DOPO IL 1968

di Augustinus


L'articolo è stato pubblicato dal quindicinale
SISINONO - anno XXXX, n. 9, 15 maggio 2014
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LA VALIDITÀ DEI SACRAMENTI DELL’ORDINE E DELLA CRESIMA 
DOPO IL 1968


La “querelle” sulla validità dei Sacramenti dopo il Concilio

Una querelle sulla validità dei Sacramenti agita una parte del mondo cattolico dopo la promulgazione del nuovo Pontificale Romano nel 1968. Alcuni ritengono che dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965), il quale, sotto pretesto pastorale, si è allontanato oggettivamente dalla Tradizione apostolica (1) e, dopo il Novus Ordo Missae (1969), che quanto al rito si è distaccato dalla Messa di Tradizione apostolica (2) canonizzata nel 1570 da S. Pio V (3), quasi tutti i Sacramenti (specialmente l’Ordine e la Cresima) conferiti siano invalidi per difetto di forma, materia o intenzione.
Ora è un fatto che il rito della Nuova Messa è “nocivo alle anime” (4), ma è parimenti un fatto che ha conservato la sostanza della forma consacratoria: “Questo è il mio corpo” e “Questo è il mio sangue” (5). Quindi la forma di consacrazione dell’Eucarestia nella Nuova Messa in sé è valida, anche se il rito che circonda la sostanza del Sacramento dell’Eucarestia è nocivo (6). Se si studia la materia, la forma e l’intenzione dei Sacramenti ritenuti dubbi o certamente invalidi dopo il 1968 (specialmente Sacerdozio/ Episcopato e Cresima) si arriva alla medesima conclusione: la sostanza resta (7).

Mutazione sostanziale e mutazione accidentale

Secondo i teologi Soto, Suarez, Gotti e Billot, ma non S. Roberto Bellarmino, Cristo non ha istituito tutti e sette i Sacramenti indicando esplicitamente la materia e la forma (come ha fatto per il Battesimo (8) e l’Eucaristia), ma si è limitato a indicare il loro scopo o la grazia che debbono produrre, lasciando alla Chiesa, ossia agli Apostoli, il compito di determinare il rito in particolare.

Per quanto riguarda la Cresima (9) e l’Ordine, secondo Scoto, Lessio, Billuart, Soto, De Lugo, Gotti, Billot, De Guibert, Van Noort, E. Hugon e Galtier, Gesù li ha istituiti con determinazione generica, lasciando alla Chiesa la facoltà di determinare meglio gli elementi essenziali (cfr. A. Piolanti, voce “Ordine”, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. IX, col. 223).

Pietro Palazzini scrive: 

«quanto all’integrità della materia e della forma, per la validità del Sacramento occorre distinguere tra mutazione sostanziale (che rende nullo il Sacramento) e mutazione accidentale (che conserva la validità del Sacramento, pur essendo la mutazione peccaminosa per chi la introduce). Si ha la mutazione sostanziale della materia e della forma quando il cambiamento o la separazione degli elementi e delle parole è tale da doversi non considerare più quella forma o materia, ma un’altra(10). Come criterio valutativo di simili alterazioni della materia e forma non si ricorre alle formule scientifiche, ma alla maniera comune di pensare dei fedeli, sufficientemente istruiti nello studio del catechismo. Infatti i Sacramenti sono istituiti per tutti e sono alla portata di tutti i fedeli. Quindi anche la valutazione dei loro elementi (materia/forma/intenzione oggettiva) deve essere fatta in base a un criterio accessibile a tutti e non riservato a un’élite di persone. Poi si ha mutazione accidentale quando, nonostante il cambiamento attuato, la materia (la forma e l’intenzione oggettiva) resta la stessa a giudizio comune, sia pure che si contravvenga da parte di chi ha apportato la mutazione accidentale ad una irriverenza gravemente peccaminosa nei confronti dei Sacramenti» (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1953, vol. X, col. 1579, voce “Sacramenti”; cfr. A. Lanza – P. Palazzini,Sacramenti e vita sacramentale, Roma, Studium, 1957). 

«La Chiesa, fondandosi sul Nuovo Testamento e sui Padri ecclesiastici, ha solennemente definito nel Concilio di Trento (DB 844) il fatto che Gesù ha istituito tutti e sette i Sacramenti pur lasciando [il Concilio] libertà sul modo in cui lo ha fatto» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 371, voce “Sacramenti” a cura di A. Piolanti).

L’Ordine Sacro 

«Il rito dell’ordinazione presbiterale da principio era molto semplice: imposizione delle mani e invocazione dello Spirito Santo; poi si andò gradualmente arricchendo di nuovi elementi sotto l’influsso gallicano» (A. Piolanti, I Sacramenti, Roma, Coletti, 1959, p. 270), al quale piaceva arricchire i semplici riti antichi (11). Inoltre «l’unzione delle mani è una novità occidentale, che i greci non conoscono» (A. Piolanti, 1959, cit., p. 272) (12).
San Paolo (I Tim., IV, 14) quanto alla materia parla solo dell’imposizione delle mani. Gli Atti degli Apostoli (VI, 6; XIII, 3) non precisano le parole della forma del Sacramento. La Traditio apostolica di S. Ippolito (13), che è ritenuta il più antico Rituale Romano (14), parla di preghiera che accompagna l’imposizione delle mani (15).
«Perciò [secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione] il rito essenziale del conferimento degli Ordini sacri consiste nell’imposizione delle mani unita a una preghiera (At., VI, 6; ivi, XIII, 13; II Tim., I, 6). La consegna degli strumenti e tutti gli altri riti sono delle venerande cerimonie complementari introdotte lentamente dagli usi delle varie Chiese e finalmente incorporate nel Pontificale Romano» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 294, voce “Ordine” a cura di A. Piolanti).
La sostanza del Sacramento non va confusa col Rito liturgico che l’accompagna: essa è il segno, che simboleggia e significa con segni sensibili e parole (materia/forma) la grazia che il Sacramento contiene e produce realmente.

Per quanto riguarda il Pontificale Romano gli studi di P. Battifol (16), di P. de Puniet (17), di V. Leroquais (18) e di M. Andrieu (19) dimostrano che la raccolta scritta delle formule utilizzate dai vescovi iniziò tra il V-VI secolo, mentre come libro a sé il Pontificale rimonta all’VIII secolo, poi esso fu compiuto nel XIII secolo e promulgato da Clemente VIII nel 1596.
Dunque «La Chiesa può variare tutte quelle cerimonie accidentali che essa ha stabilito attorno al Sacramento. Invece è sottratta alla Chiesa la sostanza del Sacramento, cioè quegli elementi che Gesù volle essenziali e immutabili, ossia il segno, che simboleggia e significa la grazia che il Sacramento contiene e produce realmente (Conc. Tr., sess. XXI, cap. 2, DB 931; Pio XII Cost. Apost. Sacramentum Ordinis, 30 nov. 1947, DB 3001). La sostanza dei Sacramenti permane immutabile quale Gesù Cristo l’ha fissata fino alla fine del mondo» (A. Piolanti, 1959, cit., p. 423).

Per quanto riguarda l’Ordine Sacro «Il rito essenziale dell’ordinazione sacramentale è la sola imposizione delle mani (materia) con l’invocazione dello Spirito Santo (forma) che specifica l’applicazione della materia. La Costituzione Sacramentum Ordinis di Pio XII precisa che l’unica materia è l’imposizione delle mani e l’unica forma sono le parole che significano il fine del Sacramento, ossia il potere dell’ordine e la grazia dello Spirito Santo» (A. Piolanti, 1959, cit., p. 684).

Ciò vuol dire che «la consegna degli strumenti è stata introdotta molto tardi e quindi la Chiesa non ha mutato la sostanza del Sacramento, cioè il suo scopo e la grazia che contiene e produce realmente. Infatti ciò non è possibile poiché la Chiesa stessa ha dichiarato infallibilmente di non avere questo potere (Conc. Tr., sess. XXI, cap. 2, DB 931), ma ha l’autorità di aggiungere altri elementi ad esso (Riti liturgici) affinché il signum abbia miglior capacità di significare [la grazia che contiene]. Sotto questo aspetto la sostanza e l’immutabilità del Sacramento non viene toccata. Ossia sotto l’aspetto formale il rito sacramentale nella sua sostanza ha il fine di evocare l’intenzione di ciascun Sacramento; ora sotto questo aspetto il rito del Sacramento è immutabile, come insegna il Concilio di Trento; non così però nell’aspetto materiale del rito, che circonda la sostanza del Sacramento, il quale può variare. Di qui la conclusione: eccetto che Cristo abbia disposto diversamente, non c’è nessun impedimento per l’arricchimento del Rito sacramentale nel suo aspetto materiale. La Chiesa ha potuto col passar del tempo arricchire il Rito sacramentale nella sua materialità con l’unzione delle mani, la consegna degli strumenti. Perciò è perfettamente ammissibile che a significare la grazia del Sacramento dell’Ordine basti l’imposizione delle mani, come si può dedurre dalla Epistola di San Paolo a Timoteo e che successivamente, questo signum sostanziale sia stato ulteriormente determinato da parole e preghiere nell’elemento materiale del Rito che circonda la sostanza del Sacramento. Ciò spiega la mancanza delle parole sino al Canone di Ippolito» (A. Piolanti, 1959, cit., p. 691 e 693).

Il nuovo “Pontificale Romano” di Paolo VI 

«Nel custodire la sostanza e quindi la validità del Sacramento la Chiesa è infallibile. Infatti se la Chiesa potesse cambiare la sostanza dei Sacramenti, varierebbe i Sacramenti stessi i quali non sarebbero più quali furono istituiti da Gesù Cristo. Sarebbero altri Sacramenti. Quindi la Chiesa senza i Sacramenti istituiti da Gesù non è più la Chiesa che Gesù ha fondato, ma ciò è contro la promessa di indefettibilità fatta da Gesù alla Chiesa fondata su Pietro» (A. Piolanti, 1959, cit., p. 423).
Analogamente la Chiesa senza Papa e Vescovi non sarebbe più la Chiesa fondata da Cristo su Pietro e gli Apostoli. I fedeli si troverebbero senza alcuna loro colpa senza Chiesa gerarchica (Papa e Vescovi) (20) e senza Sacramenti, né Sacerdoti. Ma ciò è contrario alla fede (21), a meno che essi non prendano se stessi per la Chiesa pur non essendo successori formali di Pietro e degli Apostoli, ma anche ciò è contrario alla fede.
In un altro libro scritto da mons. Antonio Piolanti nel 1956 (Firenze, Libreria Editrice Fiorentina) e aggiornato nel 1990 I Sacramenti (Città del Vaticano, LEV, 1990, p. 498) vengono riportate le forme della Traditio apostolica di S. Ippolito (III secolo).
Per i vescovi: «Dà, o Padre a questo tuo servo che hai eletto all’episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di avere la potestà del primato del sacerdozio nello Spirito». Per i sacerdoti: «O Dio, rivolgi lo sguardo sopra questo giusto e donagli lo Spirito di grazia e di consiglio del sacerdozio».
La liturgia greca per i vescovi recita: «Signore, fortifica con la venuta del tuo Santo Spirito questo eletto» e per i sacerdoti: «O Signore, guarda questo eletto che ti è piaciuto promuovere, fa che possa ricevere anche questa grande grazia del tuo Santo Spirito».
La forma romana precisata dogmaticamente da Pio XII nella Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis (30 novembre 1947) stabilisce la seguente forma nell’ ordinazione sacerdotale: «Da quaesumus in hunc famulum tuum presbyterii dignitatem /Dà o Signore a questo tuo servo la dignità del sacerdozio» e nella consacrazione episcopale: «Comple in sacerdotibus tuis ministerii tui summam. - Compi nei tuoi sacerdoti la perfezione del tuo ministero» (22).

Pietro Palazzini spiega: «la S. Scrittura (II Tim., I, 6) parla solo di imposizione delle mani per la materia della consacrazione episcopale. Per quanto riguarda la forma la S. Scrittura enumera solo l’invocazione dello Spirito Santo: “Orantes, imponentesque eis manus” (At., XIII). Infine secondo la Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis di Pio XII del 30 novembre 1947 le parole essenziali della forma di consacrazione episcopale sono:“Accipe Spiritum Sanctum”» (Dictionarium morale et canonicum, Roma, Officium Libri Catholici, 1965, II vol., pp. 270 e 271).

Paolo VI il 18 giugno del 1968 ha promulgato una nuova versione delPontificale Romano che per il vescovo recita: «Effondi sopra questo eletto la potenza che viene da Te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida» e per il sacerdote: «Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del Presbiterato. Rinnova in loro la effusione del tuo Spirito di santità».
Prima di essere promulgato questo nuovo Pontificale Romano fu esaminato dal S. Uffizio, allora ancora sotto la direzione del cardinal Alfredo Ottaviani, e durante l’assemblea plenaria dell’11 ottobre 1967 fu dichiarato pienamente ortodosso e quindi atto ad assicurare la validità dei Sacramenti.

Da ciò si evince che la sostanza del Sacramento dell’ordine sacerdotale/episcopale è rimasta nel nuovo Pontificale Romano di Paolo VI e quindi i sacerdoti e vescovi ordinati/consacrati dopo il 1968 sono realmente sacerdoti e vescovi (23).

La Cresima e il nuovo rituale

«Gli Atti degli Apostoli (VIII, 4-17) (24) nei testi che si riferiscono alla Cresima parlano solo della imposizione delle mani degli Apostoli. Da accurati studi critici sembra che gli Apostoli nella amministrazione della Cresima non usavano l’unzione. Essa s’introduce in occidente nel sec. III e poi si diffonde anche in oriente (P. Th. Camelot, Sur la théologie de la confirmation, in “Rev. Sc. Ph. Th.”, n. 38, 1954, pp. 637-657). Ma all’inizio non c’era. Le testimonianze più antiche della Tradizione della chiesa d’Africa(Tertulliano, Cipriano e più tardi S. Agostino) parlano solo dell’imposizione delle mani. Concludiamo: non essendo l’unzione una cerimonia primitiva, non essendo stata sempre in uso nella Chiesa, non fa parte degli elementi costitutivi del Sacramento della Cresima. L’unzione non deve omettersi oggi, perché prescritta dalla Chiesa, alla quale Gesù ha demandato lo stabilire come il Sacramento debba essere amministrato, ma non consta che l’unzione appartenga alla sostanza del Sacramento» (A. Piolanti, 1959, cit., p. 424).

Padre Paolo Galtier dell’Università Gregoriana precisa: “La sostanza del Sacramento non va confusa col Rito liturgico che lo accompagna. Essa è il segno, che simboleggia e significa la grazia che il Sacramento contiene e produce realmente” (in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 858).
Per cui l’imposizione delle mani senza l’unzione con il crisma è la sostanza della Cresima e l’aggiunta dell’unzione nel III secolo è un rito liturgico che non ha mutato la sostanza del Sacramento, cosa che la Chiesa non poteva né può fare.
Il significato e lo scopo della Cresima: conferire la pienezza dello Spirito Santo, rimane identico sia prima del III secolo con la sola imposizione delle mani, che dà realmente la pienezza del Paraclito, sia dopo il III secolo con l’aggiunta del Rito dell’unzione, che specifica meglio l’abbondanza dei Doni dello Spirito consolatore.

Per quanto riguarda la forma di vari riti, essi non sono uniformi in tutti i particolari. Il rito latino, che è entrato in vigore nel 1250, recita: «Signo te signo crucis, chrismo te chrismate salutis, in nomine Patri et Filii et Spiritus Sancti. Amen» “Ti segno col segno della croce e ti confermo col crisma della salute, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
Il rito greco dice più semplicemente: «sigillo del dono dello Spirito Santo», senza menzionare la SS. Trinità. Questa forma è stata dichiarata valida dal Magistero pontificio (v. Benedetto XIV, Enciclica Ex quo prima, 1 marzo 1756).
Il rito siro-maronita: «Crisma del dono dello Spirito Santo».
Il rito caldaico: «Sii perfetto nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
Il rito copto-etiopico: «Unzione della grazia dello Spirito Santo».
In tutte queste forme viene espresso il duplice effetto della Cresima, cioè il carattere e la grazia.
Paolo VI il 15 agosto 1971 con la Costituzione Apostolica Divinae consortium naturae ha stabilito per la Cresima la seguente forma: «Accipe Signaculum doni Spiritus Sancti / Ricevi il Sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono». Esso unifica la forma greca e latina ed esprime il duplice effetto del Sacramento della Cresima: carattere indelebile, grazia santificante e pone l’accento sul dono dello Spirito Santo.
Da ciò consta che la forma della Cresima contenuta nel nuovo Rituale di Paolo VI del 1971 non è cambiata sostanzialmente ed è oggettivamente valida. Quindi i bambini Cresimati dopo il 1971 sono validamente e realmente Cresimati.

Una mutazione che lascia perplessi / L’olio di ulivo e gli altri oli vegetali

Il permesso di utilizzare come materia della Cresima oltre l’olio di olivo anche altri oli: “oleis ex olivis aut aliis ex plantis expressis” (CIC 1983, can. 847, § 1), anche se “l’olio d’olivo è sempre da preferirsi” (L. Chiappetta, Il Codice di Diritto Canonico. Commento giuridico-pastorale, Napoli, Ed. Dehoniane, 1988, II vol., p. 126, n. 3403), non rende invalida la Cresima, poiché l’olio non fa parte della sostanza della Cresima, ma, secondo le testimonianze della Sacra Scrittura e della Tradizione, è stato aggiunto nel III secolo dalla Chiesa come l’elemento materiale del Rito, che circonda la sostanza del Sacramento al fine di esprimere meglio la finalità della Cresima. Se così non fosse le cresime conferite dagli Apostoli e durante i primi tre secoli sarebbero state tutte invalide. Quest’innovazione tuttavia è grave poiché comunemente i Padri, i Dottori e i Teologi hanno sempre insegnato che l’olio del Sacramento della Cresima e dell’Estrema Unzione deve essere olio di ulivo ad validitatem. Questa novità che circonda la sostanza del Sacramento della Cresima lascia gravemente perplessi, ma non toccando la sostanza non invalida il Sacramento.

Un cambiamento più grave 

Una mutazione ben più grave è stata fatta nella forma della consacrazione del pane e del vino alla Nuova Messa di Paolo VI (1969), ma la sostanza del Sacramento (“questo è il mio corpo”; “questo è il mio sangue”) resta. Quindi la presenza reale permane. Tuttavia chi ha apportato tale mutazione ha commesso una irriverenza grave nei confronti della forma del Sacramento eucaristico risalente a Gesù Cristo.
Papa Innocenzo III nell’Epistola Cum Marthae circa (29 novembre 1202) al vescovo di Lione, il quale gli chiedeva chi avesse aggiunto alla ‘forma’ delle parole che Cristo pronunciò, quando transustanziò il pane e il vino nel suo Corpo e Sangue, le parole “mistero della Fede” che nessuno degli evangelisti ha impiegato (DB, 414), rispondeva: “In realtà, ci sono molte cose, sia quanto ai fatti che ai detti di N. Signore, le quali sono omesse dagli evangelisti, i quali le tramandarono o oralmente o con l’azione. Perciò Noi insegniamo che le parole della forma consacratoria, che si trova nel Canone della Messa, sono state consegnate da Gesù Cristo agli Apostoli e da questi ai loro successori” (DB, 415).
Inoltre il Concilio di Firenze del 1442 insegna: «Poiché nel Decreto per gli Armeni, riportato sopra, non si parla della formula che la Santa Chiesa romana, confermata dalla dottrina e dall’autorità degli Apostoli Pietro e Paolo, ha sempre usato nella consacrazione del Corpo e del Sangue del Signore abbiamo deciso di inserirla qui. Ecco la formula usata nella consacrazione del Corpo del Signore: “Questo è il mio Corpo”. In quella del Sangue, invece: “Questo è il calice del mio Sangue, per la nuova ed eterna Alleanza, mistero della Fede, versato per voi e ‘per molti’ in remissione dei peccati”» (DB, 715).
Di poi il Catechismo tridentino, n. 216, spiega che “Si deve ritenere per Fede che la forma della consacrazione del vino è costituita dalle parole: Questo è il calice del Sangue mio, della nuova ed eterna Alleanza, mistero della Fede, che sarà offerto per voi e ‘per molti’ in remissione dei peccati. Molte di queste parole sono prese dalla S. Scrittura; le altre la Chiesa le ha ricevute dalla Tradizione apostolica. […]. Ma occorre esaminare con più diligenza le parole della consacrazione del vino […]. Le parole per voi e ‘per molti’ […],se consideriamo l’efficace virtù della Passione, dobbiamo ammettere che il Sangue del Signore è stato sparso per la salute di tutti; ma se esaminiamo il frutto che gli uomini ne hanno ritratto, ammetteremo facilmente che ai vantaggi della Passione vi partecipano non tutti, ma soltanto molti […], con ragione dunque non è stato detto ‘per tutti’, trattandosi solo dei frutti della Passione, la quale apporta salvezza soltanto a coloro che l’accettano e vi cooperano”.

Perciò il cambiamento apportato alla formula della consacrazione nella Nuova Messa di Paolo VI costituisce una rottura evidente con la Tradizione apostolica, anche se non cambia sostanzialmente l’‘essenza’ della forma del Sacramento dell’Eucaristia e quindi non la rende invalida.

L’intenzione

L’intenzione, che il ministro deve avere perché un Sacramento sia conferito validamente, è stata definita dal Concilio di Trento (sess. VII, can. 11, DS 1611): “fare ciò che fa la Chiesa”.
Antonio Piolanti (I Sacramenti, cit., [1956] 1990, p. 237) spiega: «per la validità del Sacramento è sufficiente l’intenzione implicita e indistinta di fare ciò che fa la Chiesa; intenzione che potrebbe trovarsi anche in un pagano, che si proponesse, sebbene sprovvisto di nozioni sulla Chiesa, di compiere il rito secondo l’intenzione di chi domanda il Battesimo
Innocenzo IV (Decr., lib. III, tit. 42, cap. 1, DS 646) si esprime così: “Se uno va da un saraceno e gli dice: ‘battezzami’ e questi lo battezza, ritenendo[personalmente] che da una semplice immersione non possa derivare altra conseguenza all’infuori di un bagno, ma intendendo [tuttavia] bagnarlo secondo le intenzioni di chi richiede il Battesimo, se anche [il saraceno] crede che il Sacramento non può operare alcunché, [il battezzando] viene validamente battezzato”.

Inoltre per fare ciò che fa la Chiesa si richiede l’intenzione di fare ciò che fa e non ciò che crede o che intende la Chiesa. Perché il Sacramento sia valido, perciò, si richiede che il ministro intenda solo di fare ciò che fa la Chiesa e non di conferire la grazia, anche se sia convinto che la Chiesa sbagli e che il rito sia privo di ogni efficacia.
Infine si dice “la Chiesa”. Volutamente non si dice la Chiesa cattolica, in quanto il ministro desidera fare ciò che Cristo ha istituito (S. Roberto Bellarmino, De Sacramentis, lib. I, cap. 27)» (25).
Quindi anche i ministri modernisti, se applicano le rubriche date loro dalla Chiesa, ordinano i sacerdoti, consacrano i vescovi e amministrano la Cresima validamente. È a partire da come agisce il ministro, se conformemente o meno alle rubriche ecclesiastiche, che si evince la sua intenzione oggettiva di fare ciò che fa la Chiesa, anche se egli non ci crede o se pensa che la Chiesa sbagli.

Antonio Piolanti scriveva: «“Riordinazione” è un termine moderno, con cui si indica l’uso invalso in alcuni periodi, e soltanto in alcuni ambienti, di ripetere l’Ordinazione ritenuta invalida perché compiuta da Ministri eretici, scismatici, deposti o scomunicati. […]. Nei secoli di particolare decadenza teologica e morale qua e là affiorarono l’errore e la pratica conseguente della Riordinazione già in uso presso i donatisti. […]. Le Ordinazioni di papa Formoso († 896) furono ritenute invalide da papa Sergio III († 911) e in parte ripetute (26). […].
«Le ragioni accampate per le Riordinazioni è che lo Spirito Santo non può essere conferito da chi non lo ha e i Ministri eretici, scismatici, deposti o scomunicati non hanno la grazia santificante quindi non possono darla agli altri. Queste opinioni, già confutate da S. Agostino quanto al Donatismo, riapparvero nel medioevo e si fusero con altre, che in momenti di particolare anarchia ritornarono e furono applicate poco ponderatamente. […].
«Tali dottrine, hanno trovato anche in tempi recenti fautori (cfr. C. Baisi, Il Ministro straordinario degli Ordini sacri, Roma, 1935). Questa concezione, che potrebbe dirsi marginale, anche se accolta in pratica da qualche papa, non ne compromise l’infallibilità, poiché non volle portare un giudizio definitorio sul caso concreto; contro di essa si affermò invece la dottrina comune, già enunciata nel secolo III da papa Stefano, S. Agostino, S. Gregorio Magno, Rabano Mauro, S. Pier Damiani, finché trionfò con S. Raimondo da Peñafort, Alessandro di Hales e soprattutto con S. Tommaso d’Aquino (S. Th., III, qq. 60-90; Suppl., q. 38, a. 2 e tutta la sa-cramentaria tomista).
«Il Concilio di Trento ha definito infallibilmente (sess. VII, De Baptismo, can. 4; DB 860) la validità del Battesimo conferito dagli eretici, ma si è astenuto dal dichiarare valide le Ordinazioni conferite da Ministri eretici, non perché su questo punto potesse sussistere dubbio, ma per non porre la dottrina di alcuni autori cattolici (tra cui S. Cipriano e Umberto di Selva Candida, Ugo di Amiens, Alessandro Bandinelli poi papa Alessandro III e Rufino) in opposizione con una verità oramai di fede» (Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, V ed., 1957, pp. 354-356, voce “Riordinazioni”) (27).

Conclusione

È un fatto certo che con il pontificato di Giovanni XXIII l’errore modernista si è infiltrato sin nel sommo vertice della Chiesa. È certo che la dottrina del Vaticano II e la Nuova Messa di Paolo VI non corrispondono alla dottrina cattolica e al Rito della Messa di Tradizione apostolica. Tuttavia non è certo e neppure probabile che la Chiesa sia rimasta senza Papa sin dal 1958, senza Vescovi e Sacramenti sin dal 1968, altrimenti avrebbe cessato di esistere, quod repugnat.

I fedeli debbono credere ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium, III) prima della bufera del Vaticano II senza avventurarsi in dubbi metodici, che, oltre a non essere positivi ma puramente negativi o senza un fondamento nella realtà, sono contrari alle promesse fatte da Dio alla sua Chiesa.

Un’osservazione oggettiva su quanto succede in ambiente cattolico odierno porta alla convinzione che davvero, dopo il Concilio Vaticano II, esiste unanuova dottrina pastorale (“nova et non nove”) e quindi non infallibile, essenzialmente distinta da quella conosciuta prima del Sinodo del 1962-65 come l’unica dottrina dogmatica dell’unica Chiesa di Cristo (28).
La Chiesa deve sussistere semper eadem sino alla fine del mondo, perciò ilsoggetto Chiesa (Papa e Vescovi, successori di Pietro e degli Apostoli) è sempre lo stesso sia prima che dopo il Concilio Vaticano II, mentre l’oggetto o dottrina che essi insegnano può avere modalità diverse: insegnata dogmaticamente e infallibilmente, oppure pastoralmente e non infallibilmente. Quindi nell’oggetto ovvero nella dottrina insegnata pastoralmente dal Vaticano II si possono trovare delle novità in rottura con la Tradizione della Chiesa, senza che il soggetto Chiesa sia venuto meno o abbia perso la sua continuità apostolica da S. Pietro sino all’ultimo Papa regnante, canonicamente eletto ed accettato dalla Chiesa universale (docente e discente) e dall’Episcopato.

Il soggetto o la Chiesa di oggi, anno del Signore 2014, è la Chiesa cattolica fondata da Cristo su Pietro e gli Apostoli, Francesco I è Papa eletto canonicamente e accettato dalla Chiesa e i Vescovi sono i successori degli Apostoli. Se non fosse così avremmo una “terza Alleanza” di sapore gioachimita perché Francesco I sarebbe il Capo di una Nuovissima Chiesa “conciliarista” e non il Papa della Nuova Alleanza che è eterna e quindi durerà ininterrottamente sino alla fine del mondo, con successione apostolica formale da Pietro e dagli Apostoli, mediante il Papa e l’Episcopato.
Tuttavia l’oggetto o la dottrina proposta a partire dal Concilio Vaticano II e nel post-concilio, essendo pastorale e quindi non infallibile, presenta dei punti di discontinuità con la Tradizione apostolica e il Magistero dogmatico (che definisce e obbliga a credere) o costante della Chiesa (quod ubique, semper et ab omnibus). Perciò si può parlare in senso lato di insegnamento oggettivamente nuovo del magistero conciliare pastorale del Vaticano II.

Nonostante la gravità della situazione ecclesiale odierna data l’infiltrazione del modernismo presso i Pastori, la sostanza della Chiesa gerarchica permane (Papa e Vescovi) come pure la sostanza dei Sacramenti, anche se l’esercizio delmagisterium, dell’imperium e del sacerdotium lasciano più che perplessi a partire da Giovanni XXIII e soprattutto con il Pontificato di Francesco I. Se fosse altrimenti, le “porte dell’ inferno” avrebbero prevalso.

Restiamo saldi nella fede, ma non lasciamoci prendere dal dubbio metodico che annulla totalmente la Chiesa gerarchica, il Sacerdozio e i Sacramenti, senza i quali non rimane la Religione fondata da Cristo. Come il peccato originale ha ferito la natura umana ma non l’ha distrutta, così il neomodernismo ha ferito l’ambiente ecclesiale ma non lo ha annichilato. Gesù veglia sempre sulla sua Chiesa e sa bene quando intervenire per trarla fuori da questa crisi catastrofica in cui gli uomini di Chiesa l’hanno precipitata.

Augustinus


NOTE

1 -  Cfr. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id., Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Id., Quaecumque dixero vobisParola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; Id., La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.
2 - Cfr. A. Vigourel, Le canon romain de la Messe, Parigi, 1915; A. Fortescue, La Messe, Parigi, 1921; B. Botte, Le canon de la Messe Romaine, Lovanio, 1935; Ph. Oppenheimer, Canon Missae primitivae, Roma, 1948.
3 - S. Pio V, dopo il Concilio di Trento, mise ordine nel rito della Messa, sia in teoria che in pratica, tanto che ancora oggi si usa parlare “impropriamente” di Messa di San Pio V a riguardo del rito romano di sempre, il quale, invece, è di Tradizione apostolica (cfr. Michael Davies, La Riforma liturgica Anglicana, tr. it., www.unavox.it; Id., The Liturgical Revolution, 3 voll., Roman Catholic Bo-oks/Angelus Press, Dickinson, Texas, 1976-1980). Monsignor Klaus Gamber (Die Zelebration "versus populum", in Ritus modernus. Gesammelte Aufsätze zur Liturgiereform, Regensburg, Pustet, 1972, pp. 21-29; tr. it., Chiesa viva, n. 197, 1989, pp. 16-18) dimostra in numerosi studi che la Messa detta di San Pio V è la Messa di Tradizione apostolica e che nella Chiesa primitiva e durante il Medioevo, fu norma rivolgersi ad oriente durante la preghiera. Nel corso della XVIII Sessione, il Concilio di Trento designò una Commissione incaricata di esaminare il ‘Messale Romano’, di revisionarlo, e di restaurarlo. Non si trattava di fare un nuovo Messale, come ha fatto Paolo VI nel 1969, ma di restaurare quello di Tradizione apostolica, facendone un’edizione critica, servendosi dei migliori manoscritti e di altri documenti. Il 13 luglio 1570, con la bolla ‘Quo primum tempore’, San Pio V promulgava il Messale restaurato. Il titolo era “Missale Romanum ex decreto SS. Concilii Tridentini restitutum”. Ossia “riportato, restituito” filologicamente alla sua pura origine apostolica, che fu trasmessa da Gesù a S. Pietro e da questi ai suoi successori, l’ultimo dei quali a mettervi le mani fu S. Gregorio Magno (†604). Il Messale del 1570, in maniera prossima, fu il risultato pratico delle direttive date durante e subito dopo il Concilio di Trento. Ma, per quanto riguarda l’Ordinario, il Canone, il Proprio del tempo e ben altri punti, fu, in maniera remota, una restaurazione filologica del Messale romano del 1474, il quale riprendeva a sua volta, su tutti i punti essenziali, la pratica della Chiesa romana all’epoca di Innocenzo III (†1216), pratica che proveniva a sua volta dall’uso liturgico in vigore ai tempi di S. Gregorio Magno e dei suoi successori nel VI secolo. In breve, il Messale del 1570 era, per l’essenziale, l’uso liturgico dominante dell’Europa medioevale dei Padri ecclesiastici e dei Dottori scolastici. I cardinali Ottaviani e Bacci nel Corpus Domini del 1969 chiesero a Paolo VI di abrogare il Novus Ordo Missae in quanto “legge nociva per le anime” (“Lettera di presentazione al Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae”). La ‘nota n° 1’ del “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” riporta le seguenti citazioni: «Le preghiere del nostro Canone si trovano nel trattato De Sacramentis (fine del IV-V secolo) [...]. La nostra Messa risale, senza mutamento essenziale, all’epoca in cui si sviluppava per la prima volta dalla più antica liturgia comune [circa trecento anni dopo Cristo]. Essa serba ancora il profumo di quella liturgia primitiva, nei giorni in cui Cesare governava il mondo e sperava di poter spegnere la Fede cristiana; i giorni in cui i nostri padri si riunivano avanti l'aurora per cantare un inno a Cristo come a loro Dio [cfr. Plinio junior, Ep. 96]. Non vi è, in tutta la cristianità, rito altrettanto venerabile quanto la Messa romana» (A. Fortescue, La Messe, Parigi, Lethielleux, 1921); «Il Canone romano risale, tale e quale è oggi, a San Gregorio Magno. Non vi è, in Oriente come in Occidente, nessuna preghiera eucaristica che, rimasta in uso fino ai nostri giorni, possa vantare una tale antichità! Agli occhi non solo degli ortodossi, ma degli anglicani e persino dei protestanti che hanno ancora in qualche misura il senso della Tradizione, gettarlo a mare equivarrebbe, da parte della Chiesa Romana, a rinnegare ogni pretesa di rappresentare mai più la vera Chiesa Cattolica» (P. Louis Bouyer, Mensch und Ritus, 1964).
4 - «Esaminato e fatto esaminare il Novus Ordo – proseguono i due Cardinali – sentiamo il dovere, dinanzi a Dio ed alla Santità Vostra, di esprimere le considerazioni seguenti: Come dimostra sufficientemente il pur ‘Breve Esame Critico’ allegato […] il Novus Ordo Missæ, considerati gli elementi nuovi,[…] rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i “canoni” del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del Magistero. […]. Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore l’abrogazione della legge stessa» (A. Ottaviani – A. Bacci).
5 - S. Tommaso, S. Th., III, q. 78, a. 2 e 3; cfr. R. Garrigou-Lagrange, De Eucharistia, Torino, Marietti, 1943 p. 177-183; A. Piolanti, De Sacramentis, Torino, Marietti, 1959, pp. 329-334.
6 - Cfr. A. X. V. Da Silveira, La Nouvelle Messe de Paul VI. Qu’en penser?, Chiré-en-Montreuil, DPF, 1973 [trad. italiana].
7 - Cfr. R. Bellarmino, De Sacramentis, Venezia, 1599; J. B. Franzelin, De Sacramentis, Roma, Gregoriana, 1911; L. Billot, De Ecclesiae Sacramentis, Roma, Gregoriana, 1915, V ed., I vol., pp. 1-222.
8 - “Battezzando nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt., XXVIII, 19): in Matteo l’acqua è implicitamente significata nella parola ‘battezzare’ che significa ‘lavare’, mentre è esplicitata in Gv., III, 5; IV, 1-2; IX, 1-6. Per l’Eucarestia: «Gesù prese del pane e disse: “Questo è il mio corpo”, prese il calice [di vino] e disse: “Questo è il mio sangue”» (Mt., XXVI, 26-28).
9 - Paolo Galtier, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 856, voce “Cresima”. Galtier è uno dei teologi che insegna la determinazione generica dei Sacramenti da parte di Cristo, tranne il Battesimo e l’Eucarestia, e quella specifica lasciata alla Chiesa.
10 - Per esempio, 1°) si ha la mutazione sostanziale della materia della Eucarestia quando si mette l’aceto al posto del vino perché si passa da una sostanza (vino) ad un’altra essenzialmente diversa (aceto); 2°) si ha la mutazione accidentale: quando si usa del vino un po’ invecchiato, ma non inacidito. Invece si ha 3°) la mutazione sostanziale della forma del Battesimo, quando si passa dalla formula: “Ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” ad una frase essenzialmente diversa: “Ti benedico in nome di Dio”; 4°) si ha infine la mutazione accidentale del Battesimo quando si aggiunge alla forma dovuta: “e nel nome di Maria Vergine”. Ogni fedele, e non solo i teologi, capisce che il vino invecchiato è sempre vino, mentre l’aceto non è più vino. Così pure sentendo l’aggiunta del nome di Maria Santissima alla forma dovuta capisce che la sostanza del Sacramento è rimasta, mentre se si omette la parola “ti battezzo” ed anche “nel nome del Padre, Figlio e Spirito Santo”, comprende che la forma non è più la stessa, ma una sostanzialmente diversa.
11 - Cfr. A. Lanza – P. Palazzini, Principi di Teologia morale. Roma, Studium, 1957, vol. III, Sacramenti e vita sacramentale, p. 331, nota 24.
12 - Cfr. G. Van Rossum, De essentia Sacramenti Ordinis, Roma, Pustet, 1931.
13 - Padre Paolo Galtier s. j., professore di Teologia preso l’Università Gregoriana, definisce la Traditio apostolica “la più antica descrizione liturgica pervenutaci all’inizio del III secolo” (in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 856, voce “Cresima”). S. Ippolito è l’autore della Tradizione apostolica, che tratta delle ordinazioni dei Vescovi, Presbiteri e Diaconi; essa dà inoltre un gran numero di regole riguardanti il Rituale liturgico ecclesiastico specialmente sul Battesimo, l’Eucarestia, le preghiere e i funerali. Il testo latino della Traditio apostolica è stato curato e pubblicato da B. Botte (Parigi, 1946), ne esistono anche le versioni in copto, arabo ed etiopico.
14 - Il Rituale Romano nella sua versione definitiva risale a Paolo V (1614) esso raccoglie il Sacramentario Leoniano del V secolo, il Sacramentario Gelasiano dell’inizio del VI secolo e il Sacramentario Gregoriano della fine del VI secolo. Cfr. Ph. Oppenheim, Institutiones Liturgicae, Torino-Roma, Marietti, 1937; Id., De Libris liturgicis, Torino-Roma, Marietti, 1940; Id.,Tractatus de textibus liturgicis, Roma, 1945.
15 - Cfr. J. Tixeron, L’Ordine e le Ordinazioni, Brescia, 1939; M. Righetti,Manuale di storia liturgica, Milano, 1945; R. Aigrain a cura di, Enciclopedia liturgica, Alba, 1957; P. Alfonso, I riti della Chiesa, Roma, 1945.
16 - Introduction au Pontifical Romain, Parigi, 1919.
17 Le Pontifical Romain, Parigi, 1930.
18 - Les Pontificaux, Parigi, 1937.
19 - Les origines du Pontifical Romain, Lovanio, 1931.
20 - Il Concilio di Trento ha definito che Cristo ha dato alla sua Chiesa una gerarchia che dovrà sussistere sino alla fine del mondo (DB 966). Ha definito anche che i poteri gerarchici concessi agli Apostoli son passati ai Vescovi (DB 960). Tale definizione è stata ripresa dal Vaticano I (DB 1821), il quale ha specificato che i Vescovi sono sotto il primato monarchico di giurisdizione del Papa quale successore di Pietro (DB 1823).
21 - La Chiesa è indefettibile, ossia “invitta stabilmente” (Vat. I, BD 1794) e “durerà sino alla fine del mondo” (DB 1824). Ora la Chiesa fondata da Cristo è visibile e gerarchica, “Cristo ha stabilito Pietro quale fondamento visibile della Chiesa” (Vat. I, DB 1821) ed infine la Chiesa ha la nota dell’Apostolicità (Credo niceno-costantinopolitano, DB 86) ossia vi saranno sempre, tutti i giorni, in una serie mai interrotta sino alla fine del mondo successori formali di Pietro (Papi) e degli Apostoli (Vescovi), i Sacramenti e il sacerdozio di cui Cristo l’ha dotata (cfr. S. Th., III, q. 22, a. 5). Infatti senza sacerdozio e sacrificio da cui emanano i Sacramenti non vi è religione.
22 - Cfr. A. M. Vellico, De episcopis, Roma, 1937.
23 - Cfr. Frère Pierre-Marie, Sont-ils éveques ? Le nouveau Rituel de la consécration épiscopale est-il valide ?, Avrillé, éd. du Sel, 2006.
24 - “Imposero loro le mani e essi ricevettero lo Spirito Santo” (At., VIII, 14), idem in At., XIX, 5: Paolo impone le mani e lo Spirito Santo scende sui neofiti di Efeso. S. Luca insegna: “coll’imposizione delle mani degli Apostoli viene conferito lo Spirito Santo” (At., VIII, 18). Cfr. C. Ruch, in Dict. De Théol. Cath., tomo III, coll. 975-1026. I Padri iniziano a parlare della Cresima nel II-III secolo con S. Ireneo (Adv. haeres., IV, 38, 2): “coloro ai quali gli Apostoli imponevano le mani ricevevano lo Spirito Santo”. Lo stesso insegna Tertulliano (De Bapt., VII ss.; De resurr. carnis, VIII; De praescr., XXXVI), poi S. Cipriano (Ep., LXXIII, 9). D’Alès nel Dict. Apol. de la Foi Cath.(tomo II, coll. 789-823; Id., De Baptismo et Confirmatione, Parigi, 1927, p. 156) afferma che in Africa, in Asia minore, in Spagna e in Gallia la Tradizione apostolica ha come rito della Cresima solo l’imposizione delle mani, mentre l’unzione è attestata a Roma e in Oriente.
25 - Cfr. F. M. Cappello, De Ordine, Torino, Marietti, 1947; Id., Tractatus canonico-moralis de Sacramentis. I vol. De Baptismo, Confirmatione et Eucharestia, Torino-Roma, Marietti, 1955; III vol., De Extrema Untione, 1958; IV vol., De Ordine,1959; P. Gasparri, Tractatus canonicus de sacra Ordinatione, Parigi, 1893, 2 voll.
26 - Il Beato papa Urbano II (1088-1099) riordinò nel 1088 il Diacono Daiberto ordinato dal vescovo scismatico Venzilone di Magonza.
27 - L. Saltet, Les Réordinations. Etude sur le Sacrement de l’Ordre, Parigi, 1907; E. Amann, in Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. XIII, coll. 2385-2431.
28 - Cfr. Divinitas, 2/ 2011.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV830_Augustinus_Validita_dei_sacramenti.html

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