E se quel silenzio fosse profezia di giustizia?
Tra le reazioni suscitate dall’ultimo Editoriale sulla visita di papa Francesco in Israele e Palestina, http://www.bocchescucite.org/tanto-potente-quel-silenzio-quanto-deboli-quelle-parole/
abbiamo scelto di pubblicare l’interessante contributo di Norberto Julini, appassionato leader dei Pellegrinaggi di Giustizia e formatore nei Training della Campagna Ponti e non muri.
E se quel silenzio fosse profezia di giustizia?
E se quel silenzio fosse profezia di giustizia?
Se i santi evangelisti non hanno censurato le parole del Signore per tacere la denuncia dell’occupazione romana della Palestina, Gesù di Nazareth, che ha pronunciato “beatitudini” da rovesciare il mondo, non ha mai detto “occupazione”. Eppure di fronte al Procuratore romano ha taciuto ed è morto da sovversivo politico. Tutti gli chiedevano la parola che potesse innescare la rivolta di liberazione e la restaurazione del regno. Ebbe anzi qualche rapporto con gli ufficiali delle truppe occupanti che lo cercavano in quanto taumaturgo: Lui lo sapeva ma non si sottrasse, pensava che la verità da dire, quella che rende liberi fosse un’altra.
Che sia stato così anche per il suo Vicario in terra?
Confesso di aver atteso anch’io la parola “occupazione”, pensando al grido di speranza ed al bisogno di verità in “Kairos Palestina”, ma altrettanto francamente di non aver pensato alla sosta davanti al Muro dell’apartheid, con il Papa che lo tocca con la mano e vi posa il capo, ne saggia l’ostinata ed insensata durezza, poi gli volge le spalle e va altrove per un’altra strada ,senza attraversarlo.
Davvero i gesti sono stati potenti , il silenzio assordante ,la denuncia materialmente tangibile , come nessuna parola può esserlo.
Le parole dei pontefici predecessori durante i loro pellegrinaggi sono passate come una concessione alla parte palestinese, i gesti di papa Francesco non passeranno. Le suore del Caritas Hospital hanno ritrovato la fede e la speranza per proseguire l’instancabile preghiera del venerdì lungo quel muro. E con loro anche noi che da lontano ci uniamo alla stessa preghiera ogni venerdì alla stessa ora e con lo stesso intento.
D’ora innanzi in Palestina ci sono due muri : uno ebraico ed uno palestinese: chi venera il primo come fondamento politico di uno stato è lo stesso che costruisce il secondo come fondamento della segregazione e del sopruso. L’ha mostrato il Vescovo di Roma, sostando davanti ad entrambi in silenzio, toccandoli entrambi : un gesto premonitore per chi conosce le pagine bibliche sul muro di Gerico. Da rabbrividire. Come è capitato a Netanyahu che ha preteso con perseverante ed inflessibile arroganza il gesto riparatore dell’omaggio alla tomba di Herzel, il fondatore del sionismo politico e dello stato ebraico. Papa Francesco ci è andato, ma non da solo, aveva accanto due giovani cristiani filippini, nati in Israele e parlanti ebraico, che secondo i sionisti non dovrebbero neppure essere lì e che non potranno essere cittadini d’Israele. Ed invece sono lì, testimonianza vivente del fallimento di quel progetto politico, discriminatorio e razzista. Netanyahu ha “twittato” per il Pontefice che il Muro ha salvato tante vite dal terrorismo.
Il Papa non ha risposto, ma ha mostrato di non avergli creduto: e questo conta di più.
Ora i milioni di cristiani occidentali in visita ai Luoghi Santi sanno come fare “pellegrinaggio” in mezzo a quei popoli , come sostare davanti al muro della prevaricazione e come entrare nelle case di chi soffre per ascoltare , condividere, consolare e soccorrere il ferito nella dignità e nei diritti: papa Francesco lo ha fatto ,senza correre al “tempio “ a moltiplicare i riti.
Oso addirittura pensare che il motto del viaggio “Ut unum sint”, “Siano una cosa sola” non riguardi soltanto le chiese cristiane d’Oriente, ma contenga un’indicazione verso il superamento del conflitto ed il riconoscimento dei diritti, ben al di là della retorica dei “due popoli, due stati “, ormai irrealizzabile a causa della penetrazione coloniale d’Israele.
Che papa Francesco intraveda profeticamente l’abbraccio di Giacobbe ed Esaù, fratelli separati dall’odio e dal risentimento, in lotta per la terra del padre Isacco?
Certamente per questo io prego e spero.
Che sia stato così anche per il suo Vicario in terra?
Confesso di aver atteso anch’io la parola “occupazione”, pensando al grido di speranza ed al bisogno di verità in “Kairos Palestina”, ma altrettanto francamente di non aver pensato alla sosta davanti al Muro dell’apartheid, con il Papa che lo tocca con la mano e vi posa il capo, ne saggia l’ostinata ed insensata durezza, poi gli volge le spalle e va altrove per un’altra strada ,senza attraversarlo.
Davvero i gesti sono stati potenti , il silenzio assordante ,la denuncia materialmente tangibile , come nessuna parola può esserlo.
Le parole dei pontefici predecessori durante i loro pellegrinaggi sono passate come una concessione alla parte palestinese, i gesti di papa Francesco non passeranno. Le suore del Caritas Hospital hanno ritrovato la fede e la speranza per proseguire l’instancabile preghiera del venerdì lungo quel muro. E con loro anche noi che da lontano ci uniamo alla stessa preghiera ogni venerdì alla stessa ora e con lo stesso intento.
D’ora innanzi in Palestina ci sono due muri : uno ebraico ed uno palestinese: chi venera il primo come fondamento politico di uno stato è lo stesso che costruisce il secondo come fondamento della segregazione e del sopruso. L’ha mostrato il Vescovo di Roma, sostando davanti ad entrambi in silenzio, toccandoli entrambi : un gesto premonitore per chi conosce le pagine bibliche sul muro di Gerico. Da rabbrividire. Come è capitato a Netanyahu che ha preteso con perseverante ed inflessibile arroganza il gesto riparatore dell’omaggio alla tomba di Herzel, il fondatore del sionismo politico e dello stato ebraico. Papa Francesco ci è andato, ma non da solo, aveva accanto due giovani cristiani filippini, nati in Israele e parlanti ebraico, che secondo i sionisti non dovrebbero neppure essere lì e che non potranno essere cittadini d’Israele. Ed invece sono lì, testimonianza vivente del fallimento di quel progetto politico, discriminatorio e razzista. Netanyahu ha “twittato” per il Pontefice che il Muro ha salvato tante vite dal terrorismo.
Il Papa non ha risposto, ma ha mostrato di non avergli creduto: e questo conta di più.
Ora i milioni di cristiani occidentali in visita ai Luoghi Santi sanno come fare “pellegrinaggio” in mezzo a quei popoli , come sostare davanti al muro della prevaricazione e come entrare nelle case di chi soffre per ascoltare , condividere, consolare e soccorrere il ferito nella dignità e nei diritti: papa Francesco lo ha fatto ,senza correre al “tempio “ a moltiplicare i riti.
Oso addirittura pensare che il motto del viaggio “Ut unum sint”, “Siano una cosa sola” non riguardi soltanto le chiese cristiane d’Oriente, ma contenga un’indicazione verso il superamento del conflitto ed il riconoscimento dei diritti, ben al di là della retorica dei “due popoli, due stati “, ormai irrealizzabile a causa della penetrazione coloniale d’Israele.
Che papa Francesco intraveda profeticamente l’abbraccio di Giacobbe ed Esaù, fratelli separati dall’odio e dal risentimento, in lotta per la terra del padre Isacco?
Certamente per questo io prego e spero.
Norberto Julini
unponteperbetlemme@gmail.com
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