Nella fossa dei leoni
Il Foglio
(Matteo Matzuzzi) “Iraq, Siria, Libano, Terra Santa. E poi l’Africa, dalla Libia del dopo Gheddafi – dove gli antichi cimiteri cristiani diventano luogo in cui i miliziani islamici sfogano la rabbia per decenni covata – alla Nigeria divisa lungo rigide linee confessionali: cristiani a sud e musulmani a nord, con le scorribande di Boko Haram, “talebani africani”, a rapire, convertire e uccidere i miscredenti. Cari Fratelli Vescovi, contate sul mio appoggio ed incoraggiamento nel fare tutto quello che è in vostro potere per aiutare i nostri fratelli e sorelle Cristiani a rimanere e ad affermarsi qui nella terra dei loro antenati ed essere messaggeri e promotori di pace”.
Così parlava, cinque anni fa nel Cenacolo di Gerusalemme, Benedetto XVI, durante il suo viaggio in Terra Santa. Rimanere lì con “coraggio, umiltà, pazienza”. Oggi, nonostante i marchi infamanti impressi sulla facciata delle case dei cristiani infedeli a Mosul, la N che designa i nazareni da cacciare (o, se non se ne vanno e non si convertono, da giudicare secondo i dettami della sharia), c’è ancora chi rifiuta un po’ indignato le offerte di qualche paese europeo, pronto a concedere asilo alle migliaia di cristiani in fuga dalle città e dai villaggi passati sotto il controllo delle truppe jihadiste del nuovo califfo che dice di discendere direttamente dal Profeta.
“Aiutateci a rimanere a casa nostra”, diceva qualche giorno fa il patriarca cattolico di Antiochia, di tutto l’oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti, Gregorio III Laham. Sulla stessa linea anche il vescovo di Lione, il cardinale Philippe Barbarin, che ha deciso di andare a vedere con i propri occhi i volti stanchi dei martiri, testimoni della cacciata voluta dai miliziani dell’Isis che dopo le case dei cristiani, hanno occupato e profanato le chiese e perfino le tombe dei profeti: “Un ulteriore esodo non farebbe altro che aggravare la situazione. Certo, è meglio partire che essere ammazzati, ma l’obiettivo deve essere quello di rimanere a vivere qui. Anche con il marchio della propria religione sul corpo, i vestiti e la casa”.
E accanto ai perseguitati, ha levato la voce anche Francesco. Lo scorso 20 luglio, all’Angelus, ha per un attimo lasciato da parte i fogli con il testo ufficiale da pronunciare, e si è rivolto direttamente a loro, profughi di Mosul: “Oggi sono perseguitati; i nostri fratelli sono perseguitati, sono cacciati via, devono lasciare le loro case senza avere la possibilità di portare niente con loro. A queste famiglie e a queste persone voglio esprimere la mia vicinanza e la mia costante preghiera. Carissimi fratelli e sorelle tanto perseguitati, io so quanto soffrite, io so che siete spogliati di tutto. Sono con voi nella fede in Colui che ha vinto il male! E a voi, qui in piazza e a quanti ci seguono per mezzo della televisione, rivolgo l’invito a ricordare nella preghiera queste comunità cristiane”. Di persecuzione dei cristiani nelle terre del vicino e medio oriente aveva già parlato, a margine del Sinodo dei vescovi per il medio oriente, nel 2010, il vescovo ausiliare di Babilonia dei Caldei, mons. Shlemon Warduni: “I motivi urgenti che hanno portato alla convocazione del Sinodo sono che i cristiani stanno fuggendo dal medio oriente, e che gli estremisti islamici stanno invadendo l’area”. Quattro anni dopo, le linee tracciate allora dai centottantacinque padri sinodali convocati a Roma da Papa Ratzinger, sono diventate la tragica realtà quotidiana. E non solo nelle terre d’oriente, ma anche in Africa, il “continente della speranza”
* * *
“Noi ci troviamo ad affrontare questa situazione. Il patriarca e noi vescovi ora ci troviamo al nord e stiamo cercando di analizzare questo problema grave, gravissimo. Ci chiediamo come mai accadono queste cose contrarie alla dignità dell’uomo? Contro Dio, contro l’uomo... Stamani, siamo andati dal presidente del Kurdistan e lui ci ha promesso tante belle cose. Ha detto: ‘Noi, o ce ne andiamo tutti insieme, o tutti insieme rimaniamo. Bisogna tagliare la strada a questa gente, che non sono uomini di coscienza perché fanno queste cose terribili contro tutti: contro i bambini, contro i vecchi, contro i malati...’. Ci ha assicurato la sua protezione per i cristiani. Dove è il rispetto dei diritti dei cristiani? Bisogna dire a tutto il mondo: Perché state zitti? Perché non parlate? I diritti umani esistono, o no? E se ci sono, dove sono? Ci sono bambini, bambini piccoli, ai quali strappano le medicine dalle mani e li gettano a terra... E' così in tanti, tanti casi! Vogliamo prima di tutto smuovere la coscienza di tutto il mondo: dov’è l’Europa? Dov’è l’America?”.
“Di cristiani non ce ne sono più. C’erano una decina di famiglie che sono dovute fuggire ieri ma gli hanno rubato tutto. Li hanno lasciati alla frontiera della città, ma gli hanno rubato tutto, li hanno insultati, li hanno lasciati così, in pieno deserto. Purtroppo è così. Hanno trovato rifugio in Kurdistan, dove li hanno accolti, ma il primo ministro del Kurdistan ha detto che il Kurdistan non può più ricevere rifugiati perché ci sono anche altre minoranze, gli sciiti, gli yazidi. Minoranze che sono fuggite in Kurdistan. E’ una cosa terribile”.
“Siamo sorpresi dal silenzio dei leader musulmani, e chiediamo a chi finanzia o sostiene i miliziani jihadisti e lo Stato islamico di fermarsi. Ciò che accade a Mosul è un crimine di guerra”.
“Noi cristiani amiamo i musulmani e li consideriamo fratelli, ma essi devono fare lo stesso. Siamo tutti uguali in dignità, tutti cittadini dello stesso Paese. Dobbiamo unirci per creare un nuovo Iraq. Grazie a tutti voi, c’è ancora una speranza. E’ una vergogna e un crimine cacciare persone innocenti dalle proprie case e confiscare le loro proprietà perché diversi, perché cristiani. Il mondo intero deve ribellarsi contro queste azioni abominevoli”.
“Gli iracheni vogliono rimanere nella loro terra. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci riceva, ma soprattutto abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a rimanere a casa nostra. Aiutateci a combattere il terrorismo qui, a mettere fine alla corsa alle armi che porta beneficio solo a questi gruppi. Questo sarebbe uno sforzo importante, meglio che trasformarci tutti in rifugiati o dirci che ci siete vicini e ci aiutate”.
“Momenti terribili. Paura, confusione, stress, lacrime... ma sempre, sempre, sempre alla fine dei racconti, la lode a Dio che sgorga fidata e profonda: ciò semplifica il nostro compito e permette un ritorno sempre più efficace del lavoro di Dio. Poiché gli abitanti di Gaza hanno un’edificante capacità di rimettere tutto e di abbandonarsi completamente alla Provvidenza divina. Se potessimo imparare un po’ da loro! Ascoltando entrambe le parti coinvolte in questa guerra ridicola, sembra che a vincere o a perdere non sia nessuno. La realtà è che tutti perderanno la guerra e tutti pagheranno le conseguenze della cecità e della malvagità. Che Dio illumini le menti dei governanti e cambi i loro cuori. In attesa della benedizione di una pace duratura e stabile, ci raccomandiamo alle vostre preghiere”.
“Noi moriremo tutti insieme, o continueremo a vivere tutti insieme con dignità”.
“I miliziani dell’Isis hanno abbattuto la statua della Vergine Maria che si trovava sul cortile della chiesa dell’Immacolata dei caldei assieme a tutte le altre statue e sculture della città in quanto la rappresentazione di esseri viventi è contraria alla sharia islamica”.
“Pensando oggi alla situazione in Iraq, Siria e Gaza-Palestina, il mio cuore sanguina per gli innocenti che muoiono o che sono scacciati dalle loro case; e sono triste per la timidezza del mondo civilizzato verso di noi. Caro Padre [card. Barbarin, ndr], il vostro coraggio, la preghiera e la prossimità di coloro che sono attorno a voi in questa marcia di solidarietà, mantiene in noi la fiducia e la forza di sperare. Il cristianesimo d’oriente non deve scomparire. La sua sparizione è un peccato mortale e una grande perdita per la chiesa e l’umanità intera. Esso deve sopravvivere o meglio vivere in libertà e dignità”.
“Ciò che sta accadendo in Iraq conferma che l’islam non è mai cambiato. Non siamo sorpresi dai comportamenti dei musulmani, eppure riponiamo le nostre speranze su quei fratelli che non condividono tali atteggiamenti”.
“Che ne dicono i musulmani moderati di quanto accade in Iraq? Fino a oggi non si sono levate voci di denuncia”.
“Chiediamo alla comunità internazionale di essere fedele ai principi dei diritti umani, della libertà religiosa, della libertà della coscienza. Noi siamo in Iraq, in Siria e in Libano: noi cristiani non siamo stati importati, siamo qui da millenni e, quindi, noi abbiamo il diritto di essere trattati come esseri umani e cittadini di questi paesi. Ci perseguitano nel nome della loro religione e non fanno solamente minacce ma eseguono le loro minacce: bruciano e uccidono”.
“Sto seguendo con viva preoccupazione gli avvenimenti di questi ultimi giorni in Iraq. Invito tutti voi ad unirvi alla mia preghiera per la cara nazione irachena, soprattutto per le vittime e per chi soffre maggiormente le conseguenze dell’accrescersi della violenza, in particolare per le molte persone, tra cui tanti cristiani, che hanno dovuto lasciare la propria casa. Auspico per tutta la popolazione la sicurezza e la pace ed un futuro di riconciliazione e di giustizia dove tutti gli iracheni, qualunque sia la loro appartenenza religiosa, possano costruire insieme la loro patria, facendone un modello di convivenza. Preghiamo la Madonna, tutti insieme per il popolo iracheno”.
“Un danno gravissimo. Una macchia indelebile nella storia dell’umanità. La situazione sta peggiorando. I diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio, che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall’odio. Hanno costretto i cristiani ad abbandonare la città che perde così la sua presenza più antica, millenaria, e questo nel silenzio del mondo”.
“Siamo qui per pregare per Gaza, per la Palestina, per l’Iraq, per la Siria, per l’Egitto e per la Libia. Preghiamo ogni giorno, abbiamo fiducia che il Padre Nostro che è nei cieli sente la nostra voce e vede tutto quello che sta succedendo”.
“Il mondo arabo ha bisogno del Vangelo e dei suoi insegnamenti: quelli dell’amore, della fraternità, della pace, del perdono e della riconciliazione. In questi tempi noi viviamo sfortunatamente in una cultura contraria agli insegnamenti di Dio. Guerra, violenza, terrorismo, omicidi e odio. Ma davanti a ciò, non possiamo rimanere nell’inerzia. Al contrario noi dobbiamo aumentare le nostre attività e accrescere la nostra speranza. Noi dobbiamo ricordare a tutti che i cristiani sono qui per diffondere la cultura della Bibbia. Non esiste una primavera araba senza una primavera cristiana”.
“Giona è stato inghiottito dalla balena, ma ne è uscito sano e salvo. Come lui, Mosul uscirà sana e salva da questa guerra”.
“[Quanto accade a Mosul] è una spregevole bestemmia contro il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il grande silenzio della comunità internazionale dinanzi a questa croce è uno scandalo”.
“Vi faccio una promessa: ogni giorno dirò il Padre nostro in aramaico, fino al giorno in cui voi potrete rientrare a Mosul”.
“C’erano persone in questa chiesa, quando centinaia di questi islamisti hanno sferrato l’attacco uccidendo otto persone. Hanno attaccato questa chiesa con l’intenzione di uccidere centinaia di persone”.
Il Foglio
Così parlava, cinque anni fa nel Cenacolo di Gerusalemme, Benedetto XVI, durante il suo viaggio in Terra Santa. Rimanere lì con “coraggio, umiltà, pazienza”. Oggi, nonostante i marchi infamanti impressi sulla facciata delle case dei cristiani infedeli a Mosul, la N che designa i nazareni da cacciare (o, se non se ne vanno e non si convertono, da giudicare secondo i dettami della sharia), c’è ancora chi rifiuta un po’ indignato le offerte di qualche paese europeo, pronto a concedere asilo alle migliaia di cristiani in fuga dalle città e dai villaggi passati sotto il controllo delle truppe jihadiste del nuovo califfo che dice di discendere direttamente dal Profeta.
“Aiutateci a rimanere a casa nostra”, diceva qualche giorno fa il patriarca cattolico di Antiochia, di tutto l’oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti, Gregorio III Laham. Sulla stessa linea anche il vescovo di Lione, il cardinale Philippe Barbarin, che ha deciso di andare a vedere con i propri occhi i volti stanchi dei martiri, testimoni della cacciata voluta dai miliziani dell’Isis che dopo le case dei cristiani, hanno occupato e profanato le chiese e perfino le tombe dei profeti: “Un ulteriore esodo non farebbe altro che aggravare la situazione. Certo, è meglio partire che essere ammazzati, ma l’obiettivo deve essere quello di rimanere a vivere qui. Anche con il marchio della propria religione sul corpo, i vestiti e la casa”.
E accanto ai perseguitati, ha levato la voce anche Francesco. Lo scorso 20 luglio, all’Angelus, ha per un attimo lasciato da parte i fogli con il testo ufficiale da pronunciare, e si è rivolto direttamente a loro, profughi di Mosul: “Oggi sono perseguitati; i nostri fratelli sono perseguitati, sono cacciati via, devono lasciare le loro case senza avere la possibilità di portare niente con loro. A queste famiglie e a queste persone voglio esprimere la mia vicinanza e la mia costante preghiera. Carissimi fratelli e sorelle tanto perseguitati, io so quanto soffrite, io so che siete spogliati di tutto. Sono con voi nella fede in Colui che ha vinto il male! E a voi, qui in piazza e a quanti ci seguono per mezzo della televisione, rivolgo l’invito a ricordare nella preghiera queste comunità cristiane”. Di persecuzione dei cristiani nelle terre del vicino e medio oriente aveva già parlato, a margine del Sinodo dei vescovi per il medio oriente, nel 2010, il vescovo ausiliare di Babilonia dei Caldei, mons. Shlemon Warduni: “I motivi urgenti che hanno portato alla convocazione del Sinodo sono che i cristiani stanno fuggendo dal medio oriente, e che gli estremisti islamici stanno invadendo l’area”. Quattro anni dopo, le linee tracciate allora dai centottantacinque padri sinodali convocati a Roma da Papa Ratzinger, sono diventate la tragica realtà quotidiana. E non solo nelle terre d’oriente, ma anche in Africa, il “continente della speranza”
* * *
“Noi ci troviamo ad affrontare questa situazione. Il patriarca e noi vescovi ora ci troviamo al nord e stiamo cercando di analizzare questo problema grave, gravissimo. Ci chiediamo come mai accadono queste cose contrarie alla dignità dell’uomo? Contro Dio, contro l’uomo... Stamani, siamo andati dal presidente del Kurdistan e lui ci ha promesso tante belle cose. Ha detto: ‘Noi, o ce ne andiamo tutti insieme, o tutti insieme rimaniamo. Bisogna tagliare la strada a questa gente, che non sono uomini di coscienza perché fanno queste cose terribili contro tutti: contro i bambini, contro i vecchi, contro i malati...’. Ci ha assicurato la sua protezione per i cristiani. Dove è il rispetto dei diritti dei cristiani? Bisogna dire a tutto il mondo: Perché state zitti? Perché non parlate? I diritti umani esistono, o no? E se ci sono, dove sono? Ci sono bambini, bambini piccoli, ai quali strappano le medicine dalle mani e li gettano a terra... E' così in tanti, tanti casi! Vogliamo prima di tutto smuovere la coscienza di tutto il mondo: dov’è l’Europa? Dov’è l’America?”.
mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad
* * * “Di cristiani non ce ne sono più. C’erano una decina di famiglie che sono dovute fuggire ieri ma gli hanno rubato tutto. Li hanno lasciati alla frontiera della città, ma gli hanno rubato tutto, li hanno insultati, li hanno lasciati così, in pieno deserto. Purtroppo è così. Hanno trovato rifugio in Kurdistan, dove li hanno accolti, ma il primo ministro del Kurdistan ha detto che il Kurdistan non può più ricevere rifugiati perché ci sono anche altre minoranze, gli sciiti, gli yazidi. Minoranze che sono fuggite in Kurdistan. E’ una cosa terribile”.
Ignace Joseph III Younan, patriarca della chiesa cattolica sira
* * * “Siamo sorpresi dal silenzio dei leader musulmani, e chiediamo a chi finanzia o sostiene i miliziani jihadisti e lo Stato islamico di fermarsi. Ciò che accade a Mosul è un crimine di guerra”.
Ignace Ephrem Karim, patriarca siro-ortodosso di Antiochia
* * * “Noi cristiani amiamo i musulmani e li consideriamo fratelli, ma essi devono fare lo stesso. Siamo tutti uguali in dignità, tutti cittadini dello stesso Paese. Dobbiamo unirci per creare un nuovo Iraq. Grazie a tutti voi, c’è ancora una speranza. E’ una vergogna e un crimine cacciare persone innocenti dalle proprie case e confiscare le loro proprietà perché diversi, perché cristiani. Il mondo intero deve ribellarsi contro queste azioni abominevoli”.
Raphaël Louis I Sako, patriarca di Babilonia dei caldei
* * * “Gli iracheni vogliono rimanere nella loro terra. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci riceva, ma soprattutto abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a rimanere a casa nostra. Aiutateci a combattere il terrorismo qui, a mettere fine alla corsa alle armi che porta beneficio solo a questi gruppi. Questo sarebbe uno sforzo importante, meglio che trasformarci tutti in rifugiati o dirci che ci siete vicini e ci aiutate”.
Gregorio III Laham, patriarca di Antiochia dei Melchiti
* * * “Momenti terribili. Paura, confusione, stress, lacrime... ma sempre, sempre, sempre alla fine dei racconti, la lode a Dio che sgorga fidata e profonda: ciò semplifica il nostro compito e permette un ritorno sempre più efficace del lavoro di Dio. Poiché gli abitanti di Gaza hanno un’edificante capacità di rimettere tutto e di abbandonarsi completamente alla Provvidenza divina. Se potessimo imparare un po’ da loro! Ascoltando entrambe le parti coinvolte in questa guerra ridicola, sembra che a vincere o a perdere non sia nessuno. La realtà è che tutti perderanno la guerra e tutti pagheranno le conseguenze della cecità e della malvagità. Che Dio illumini le menti dei governanti e cambi i loro cuori. In attesa della benedizione di una pace duratura e stabile, ci raccomandiamo alle vostre preghiere”.
Padre Jorge Hernandez, parroco di Gaza City
* * * “Noi moriremo tutti insieme, o continueremo a vivere tutti insieme con dignità”.
Massoud Barzani, Presidente della Regione autonoma del Kurdistan iracheno
* * * “I miliziani dell’Isis hanno abbattuto la statua della Vergine Maria che si trovava sul cortile della chiesa dell’Immacolata dei caldei assieme a tutte le altre statue e sculture della città in quanto la rappresentazione di esseri viventi è contraria alla sharia islamica”.
Emile Shamoun Nona, vescovo caldeo di Mosul
* * * “Pensando oggi alla situazione in Iraq, Siria e Gaza-Palestina, il mio cuore sanguina per gli innocenti che muoiono o che sono scacciati dalle loro case; e sono triste per la timidezza del mondo civilizzato verso di noi. Caro Padre [card. Barbarin, ndr], il vostro coraggio, la preghiera e la prossimità di coloro che sono attorno a voi in questa marcia di solidarietà, mantiene in noi la fiducia e la forza di sperare. Il cristianesimo d’oriente non deve scomparire. La sua sparizione è un peccato mortale e una grande perdita per la chiesa e l’umanità intera. Esso deve sopravvivere o meglio vivere in libertà e dignità”.
Raphaël Louis I Sako, patriarca di Babilonia dei caldei
* * * “Ciò che sta accadendo in Iraq conferma che l’islam non è mai cambiato. Non siamo sorpresi dai comportamenti dei musulmani, eppure riponiamo le nostre speranze su quei fratelli che non condividono tali atteggiamenti”.
George Saliba, patriarca siro-ortodosso del Libano
* * * “Che ne dicono i musulmani moderati di quanto accade in Iraq? Fino a oggi non si sono levate voci di denuncia”.
card. Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti
* * * “Chiediamo alla comunità internazionale di essere fedele ai principi dei diritti umani, della libertà religiosa, della libertà della coscienza. Noi siamo in Iraq, in Siria e in Libano: noi cristiani non siamo stati importati, siamo qui da millenni e, quindi, noi abbiamo il diritto di essere trattati come esseri umani e cittadini di questi paesi. Ci perseguitano nel nome della loro religione e non fanno solamente minacce ma eseguono le loro minacce: bruciano e uccidono”.
Ignace Joseph III Younan, patriarca della chiesa cattolica sira
* * * “Sto seguendo con viva preoccupazione gli avvenimenti di questi ultimi giorni in Iraq. Invito tutti voi ad unirvi alla mia preghiera per la cara nazione irachena, soprattutto per le vittime e per chi soffre maggiormente le conseguenze dell’accrescersi della violenza, in particolare per le molte persone, tra cui tanti cristiani, che hanno dovuto lasciare la propria casa. Auspico per tutta la popolazione la sicurezza e la pace ed un futuro di riconciliazione e di giustizia dove tutti gli iracheni, qualunque sia la loro appartenenza religiosa, possano costruire insieme la loro patria, facendone un modello di convivenza. Preghiamo la Madonna, tutti insieme per il popolo iracheno”.
Papa Francesco, Angelus del 15 giugno
* * * “Un danno gravissimo. Una macchia indelebile nella storia dell’umanità. La situazione sta peggiorando. I diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio, che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall’odio. Hanno costretto i cristiani ad abbandonare la città che perde così la sua presenza più antica, millenaria, e questo nel silenzio del mondo”.
mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad
* * * “Siamo qui per pregare per Gaza, per la Palestina, per l’Iraq, per la Siria, per l’Egitto e per la Libia. Preghiamo ogni giorno, abbiamo fiducia che il Padre Nostro che è nei cieli sente la nostra voce e vede tutto quello che sta succedendo”.
Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del patriarcato Latino di Gerusalemme
* * * “Il mondo arabo ha bisogno del Vangelo e dei suoi insegnamenti: quelli dell’amore, della fraternità, della pace, del perdono e della riconciliazione. In questi tempi noi viviamo sfortunatamente in una cultura contraria agli insegnamenti di Dio. Guerra, violenza, terrorismo, omicidi e odio. Ma davanti a ciò, non possiamo rimanere nell’inerzia. Al contrario noi dobbiamo aumentare le nostre attività e accrescere la nostra speranza. Noi dobbiamo ricordare a tutti che i cristiani sono qui per diffondere la cultura della Bibbia. Non esiste una primavera araba senza una primavera cristiana”.
card. Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti
* * * “Giona è stato inghiottito dalla balena, ma ne è uscito sano e salvo. Come lui, Mosul uscirà sana e salva da questa guerra”.
Raphaël Louis I Sako, patriarca di Babilonia dei caldei
* * * “[Quanto accade a Mosul] è una spregevole bestemmia contro il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il grande silenzio della comunità internazionale dinanzi a questa croce è uno scandalo”.
Dichiarazione delle chiese d’Austria
* * * “Vi faccio una promessa: ogni giorno dirò il Padre nostro in aramaico, fino al giorno in cui voi potrete rientrare a Mosul”.
card. Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione
* * * “C’erano persone in questa chiesa, quando centinaia di questi islamisti hanno sferrato l’attacco uccidendo otto persone. Hanno attaccato questa chiesa con l’intenzione di uccidere centinaia di persone”.
padre Patrick Tor Alumuku, arcidiocesi di Abuja (Nigeria)
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Ebrei e cristiani uniti nella persecuzione
Padre Paolo Dall'Oglio
Vorrei ricordare - oltre al fatto che Israele è il solo paese del medio oriente in cui le comunità cristiane, non solo non sono minacciate, ma godono di completa libertà religiosa e sono cresciute in numero - oltre ai continui assalti jihadisti ai cristiani, ora che di Ebrei da perseguitare non ne hanno piú, in tutti i paesi musulmani del medio oriente e dell’Africa - vorrei ricordarvi un fatto che fu distorto dai media italiani, che non considerano “politicamente corretto” chiamare terrorista chi a mano armata attacca chiese e prende in ostaggio dei frati - vorrei ricordarvi l’assalto a mano armata dei terroristi arabi alla Chiesa della Natività, il 2 Aprile 2002, dove i terroristi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un gruppo marxista cosiddetto “laico”, rimasero asserragliati con i frati in ostaggio per 39 giorni (frati che, come poi confermò Padre Pizzaballa, il Custode di Terrasanta, erano ostaggi). La chiesa fu dissacrata, urinarono e defecarono ovunque, compreso sul sacrario e cosparsero i muri di scritte in Arabo che dicevano “Prima [ci occupiamo de] il Popolo del Sabato, poi [di] quelli della Domenica”, un proverbio molto diffuso in medio oriente…di cui i media italiani in genere "si dimenticarono” di riferire.
Il nostro pensiero va anche al Sacerdote gesuita Paolo Dall’Oglio, che da circa trent’anni viveva in Siria, da cui fu espulso nel 2012 da Assad per aver parlato con dei ribelli, ma vi fece ritorno nella zona controllata dai terroristi islamici e fu rapito il 29 Luglio 2013. Da allora non se ne hanno piú notizie. Proprio ieri era un anno dal suo rapimento.
ARTICOLI CORRELATI Scola e i cristiani perseguitati: "E' ora di scuotere la nostra fede tiepida" Tutti i dilemmi d’IsraeleUna sorte migliore, visto che è vivo e libero, toccò al giornalista de La Stampa Domenico Quirico, rapito dai terroristi islamici il 9 Aprile 2013. Fu “trattato come un animale”, secondo le sue stesse parole riportate dai media soprattutto stranieri e fu poi liberato l’8 Settembre 2013. Da allora si dedica a sensibilizzare sulla questione dell’islamismo e sulle minacce al mondo occidentale da esso provenienti, ancora una volta nel quasi totale silenzio mediatico italiano.
Il conflitto siriano ha da tempo superato i 200.000 morti e molte comunità cristiane sono state eliminate con pulizia etnica e massacri. Gli Ebrei li avevano già eliminati negli anni ’50-’60-’70.
Il conflitto iracheno di morti ne ha fatti oltre un milione e anche lí le comunità cristiane sopravvivono quasi solo nella zona curda. Gli Ebrei, oltre 150.000, li avevano già eliminati negli anni ’50.
Recentemente, anche la millenaria comunità di Ninive, città del Profeta Giona a Mosul, è stata ripulita e la moschea dov’era la tomba di Giona è stata fatta saltare in aria dalle forze del califfato, che considerano da distruggere tutti i segni di ogni civiltà che preceda l’Islam, poihé per loro si tratta del tempo della Jahiliyyah (Arabo: جاهلية ǧāhiliyyah/jāhilīyah): cioè il tempo dell’ignoranza del vero insegnamento divino, cioè TUTTO ciò che precede l’Islam... stessa ragione per cui hanno distrutto le sculture mesopotamiche in Iraq, la sinagoga plurimillenaria con la tomba del Profeta Elia in Siria, e in Afghanistan avevano distrutto ogni segno di altra religione che li precedeva, cosí come in Terra d’Israele, sin dal 1996, hanno ripetutamente distrutto la Tomba di Giuseppe, il figlio di Giacobbe, a Shchem (conosciuta in Italia col nome arabo Nablus) e hanno distrutto - in barba agli accordi di Oslo che ne prevedevano la conservazione e il libero accesso, mai garantito de facto, agli Ebrei - la piú antica sinagoga al mondo, quella di Gerico, coi suoi preziosi mosaici.
Israele non è che la prima linea di questo fronte anti-jihadista e combatte per tutti noi.
Oggi bisogna veramente suonare l’allarme e reagire, soprattutto visto che molti imam, in lingue che troppi di noi ignorano, ammaestrano – anche in Europa - i giovani musulmani ad odiare gli “infedeli” (cioè in pratica ebrei e cristiani). Non dimentichiamo che persino in occasione della tanto celebrata "riunione di preghiera” nei giardini vaticani, l’imam lí presente lesse al microfono davanti a tutti parti della fine della Seconda Sura, la Sura Al Bàqara, Aya (linea 286), del Corano, che dice (il video non censurato di al Arabiya ne è testimone, “Perdonaci, abbi pietà di noi, tu che sei il nostro guardiano e dacci la forza di sconfiggere gli infedeli”, messaggio ben compreso da ogni musulmano. Altro che pace! Era un aperto richiamo al Jihad, per chiunque volesse capirlo… Come sempre, in Inglese parlano di pace per gli occidentali creduloni, mentre in Arabo fanno appello al loro dio che li aiuti nel Jihad, come fanno da secoli in occasione di ogni battaglia.
Ma le mire espansioniste dell'islam coinvolgono direttamente anche noi italiani: Roma è detta essere la quarta città santa dell'islam, perché le armate musulmane furono fermate alle sue porte quando tentarono di conquistarla; buona parte del meridione, la Sicilia e la Sardegna sono considerate terra islamica, così come lo sono Francia e Spagna. Ma tutte queste informazioni le troviamo nei paesi islamici, ma non le leggiamo nei nostri giornali, non le ascoltiamo nelle nostre televisioni.
© FOGLIO QUOTIDIANO
La Palestina vi rende stupidi. Come e perché a ogni guerra scatta il mistificatorio “Effetto Palestina”
Qualche antidoto per non soccombere al “subitaneo e spesso totale collasso del ragionamento logico”. Difendere la parte palestinese su Gaza è perorare la barbarie
di Bret Stephens | 01 Agosto 2014 ore 16:55
Foto Ap
Di tutte le cose stupide che sono state dette sulla guerra fra Israele e Hamas, la menzione del disonore va di certo ai commenti fatti nel weekend da Benjamin J. Rhodes, viceconsigliere della Sicurezza nazionale per le comunicazioni strategiche.
Intervistato da Candy Crowley della Cnn, Rhodes ha sostenuto l’ormai linea standard di condotta dell’Amministrazione, cioè che Israele ha il diritto di difendersi ma che deve fare di più per evitare vittime fra i civili. Crowley lo ha interrotto dicendo che, secondo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, lo stato ebraico sta già facendo tutto quanto è in suo potere per evitare tali vittime. “Penso che si possa sempre fare qualcosa in più,” ha risposto Rhodes. “L’esercito americano lo sta facendo in Afghanistan”.
ARTICOLI CORRELATI Al Sisi sarà anche un gangster, ma è l’unico alleato che può sistemare Gaza e Libia Altri 40 morti a Gaza. Il ministro Livni: "Nessun accordo per ora" Palestinesi antisemitiQuanto è inappropriato un paragone del genere? La lista dei civili afghani uccisi accidentalmente dagli attacchi statunitensi o della Nato non è breve. Pochi dei combattimenti tenutisi in Afghanistan hanno avuto luogo nel tipo di ambiente densamente urbano caratteristico di Gaza, che rende il conflitto nella zona così difficile. L’ultima volta che gli Stati Uniti hanno combattuto una guerra simile a quella di Gaza – a Falluja nel 2004 – sono morti qualcosa come 800 civili, e almeno 9.000 case sono state distrutte. Questa non è una messa in stato d’accusa della condotta statunitense a Fallujah, ma il riconoscimento della lugubre realtà dei combattimenti in territorio cittadino.
Oh, fra parentesi, le città e le cittadine americane non sono mai state colpite da razzi dal cielo, né attraversate da tunnel nella terra, mentre la campagna di Falluja era in corso.
Forse Rhodes sa tutto questo, e semplicemente è stato colto in fallo nel ripetere quelle banalità che sono considerate di rigore, diplomaticamente parlando, quando si parla dei palestinesi. O forse è solo un’altra vittima di quello che io chiamo “Effetto Palestina”: il subitaneo e spesso totale collasso del ragionamento logico, dell’intelligenza raziocinante e dell’ordinario giudizio morale ogniqualvolta emerga il soggetto delle sofferenze palestinesi.
Pensiamo all’ossessione dei media per il conteggio dei morti. Secondo una conta giornaliera nel New York Times, al 27 luglio la guerra in Gaza aveva tolto la vita a 1.023 palestinesi contro 46 israeliani. Come fa il Times a fare un conteggio così accurato delle morti palestinesi? Una nota a piè di pagina rivela: “Il conteggio dei morti palestinesi è fornito dal ministero della Salute palestinese e dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari umanitari”. Ok. Quindi, chi è a capo del ministero della Salute a Gaza? Hamas. E per quanto riguarda le Nazioni Unite? Prendono i loro i dati da due ong agitprop, una delle quali, il Centro palestinese per i diritti umani, offre l’incredibilmente precisa statistica che, al 27 luglio, esattamente l’82 per cento delle morti a Gaza è rappresentato da vittime civili. Curiosamente, durante la guerra di Gaza del 2008-2009, il centro ha riportato un tasso di morti civili pari anche quella volta all’82 per cento.
Quanto statistiche così minuziosamente esatte vengono fornite in circostanze così caotiche, allora tali statistiche sono probabilmente spazzatura. Quando un’organizzazione di news fa affidamento – senza chiarimento alcuno – a dati forniti da un organo burocratico di un’organizzazione terroristica, beh anche lì c’è qualcosa di terribilmente sbagliato.
Eppure, facciamo per un attimo finta che i numeri forniti siano accurati. Questo significa forse che i palestinesi siano le vittime principali, e gli israeliani i principali persecutori, in questo conflitto? Seguendo questa logica assurda, potremmo rivedere tutte le equazioni morali della Seconda guerra mondiale, nella quale morirono oltre un milione di tedeschi per mano degli Alleati, in confronto a “solo” 67 mila civili britannici e 12 mila americani.
La vera utilità della conta dei morti è che offre ai reporter e ai commentatori che la citano la possibilità di ascriverne l’implicita colpa a Israele, lasciando senza risposta le domande riguardanti la responsabilità ultima di tali morti. Domande come: perché Hamas nasconde razzi nelle scuole gestite dalle Nazioni Unite, come riconosciuto dall’organizzazione stessa? Cosa significa che Hamas abbia trasformato l’ospedale centrale di Gaza in un “quartier generale de facto,” come riportato dal Washington Post? E perché Hamas continua a respingere, o a violare, ogni cessate il fuoco concordato con Israele?
Una persona ragionevole potrebbe concludere da ciò che Hamas, che ha iniziato la guerra, voglia che la stessa continui, e che si affida agli scrupoli morali di Israele di non distruggere siti civili che in realtà sono usati cinicamente per scopi militari. Eppure, ecco che interviene l’Effetto Palestina. Da questo ragionamento, si evince che Hamas ha iniziato la battaglia solo perché Israele ha rifiutato il suo permesso alla creazione di una coalizione palestinese che includesse Hamas, e perché Israele ha ulteriormente posto obiezioni all’aiutare a pagare i salari degli impiegati statali di Hamas a Gaza.
Facciamo chiarezza su questa cosa. Israele è colpevole perché (a) non accetterà un governo palestinese che includa un’organizzazione terroristica che ha giurato di distruggere lo stato ebraico; (b) non aiuterà tale organizzazione con le sue risorse economiche; e (c) non faciliterà il blocco quasi totale – imposto congiuntamente con l’Egitto – su un territorio la cui attività economica principale sembra essere costruire fabbriche di razzi e riversare calcestruzzo importato in tunnel per scopi terroristici.
Questa è sfacciata idiozia morale – o intolleranza lievemente velata. Scambia l’effetto per la causa, tratta il rispetto di sé come arroganza e autodifesa come aggressione, e fa richieste allo stato ebraico che sarebbero rifiutate sommariamente in qualsiasi altro luogo. In questa guerra, difendere la parte palestinese significa perorare la causa della barbarie. Significa cancellare, nel nome dell’umanitarismo, le distinzioni morali dalle quali emerge il concetto stesso di umanità.
Come al solito, l’Amministrazione Obama sta diversificando le sue scommesse. E l’Effetto Palestina fa un’altra vittima.
(Copyright Wall Street Journal per gentile concessione di MF/Milano Finanza - traduzione di Sarah Marion Tuggey)
© FOGLIO QUOTIDIANO
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