Il Papa: si usino tutti i mezzi per risolvere la crisi umanitaria in Iraq
Lettera di Bergoglio al presidente iracheno Masum consegnata da Filoni. Il Porporato, rientrato ieri, è stato ricevuto oggi da Francesco
IACOPO SCARAMUZZICITTÀ DEL VATICANO
Papa Francesco torna a lanciare un appello affinché si “usino tutti i mezzi per risolvere la crisi umanitaria” in Iraq, in una lettera firmata 8 agosto e consegnata nei giorni scorsi al presidente iracheno Fuad Masum dall’inviato personale di Jorge Mario Bergoglio nel paese mediorientale, cardinale Fernando Filoni, nella quale il Pontefice argentino ribadisce il “dolore” per la “brutale sofferenza dei cristiani e di altre minoranze religiose”. Il cardinale Filoni, tornato ieri sera a Roma, è stato ricevuto oggi in udienza dal Papa per riferirgli della missione.
“Mi rivolgo a lei con il cuore pieno di dolore mentre seguo la brutale sofferenza dei cristiani e di altre minoranze religiose costretti a lasciare le loro case, mentre i loro luoghi di culto sono distrutti”, scrive il Papa nella missiva pubblicata oggi dall’ufficio di presidenza di Baghdad. “In questo contesto, ho chiesto al cardinale Filoni”, già nunzio apostolico in Iraq con Giovanni Paolo II e poi al servizio di Benedetto XVI, di “venire in Iraq per esprimere la mia preoccupazione, e quella dell'intera Chiesa cattolica, per la sofferenza di coloro il cui unico desiderio è di vivere in pace, in armonia e in libertà nella terra dei loro progenitori”. Dopo aver ricordato gli sforzi compiuti negli ultimi anni per mettere l’Iraq sulla strada della convivenza pacifica nella quale i membri delle minoranze vengano considerati cittadini alla pari degli altri, “rinnovo il mio appello a tutti gli uomini e le donne che hanno responsabilità politiche – scrive il Papa – perché usino tutti i mezzi per risolvere la crisi umanitaria. In questi tragici momenti – aggiunge Bergoglio – chiedo a Sua Eccellenza di ricevere il cardinale Filoni come mio personale inviato, esprimendo la mia gratitudine per tutto quello che il popolo iracheno può fare per alleviare le sofferenze dei suoi fratelli e sorelle”.
Era stato lo stesso Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide) a rendere noto, nei giorni scorsi, di aver consegnato la lettera del Papa in occasione dell’incontro con il presidente iracheno: “L'incontro – aveva detto il 19 agosto ai microfoni di Radio Vaticana – è stato molto cordiale. Io ero accompagnato dal patriarca caldeo Sako, dal Nunzio apostolico e da monsignor Warduni. Ho consegnato la lettera, alla quale il presidente poi risponderà. Ho raccontato un po’ l’esperienza di questi giorni e ho sottolineato che la mia non era una visita politica, ma era una visita umanitaria per conto del Santo Padre ed è quindi per questo che mi sono recato prima di tutto a Erbil, dove la situazione nel Kurdistan è ancora molto seria e grave, e poi a Baghdad dove, appunto, avrei avuto questo incontro". Il Porporato pugliese spiegava: “Il Santo Padre, davanti a situazioni di così grave emergenza, non lesina possibilità di intervento proprio per sottolineare quanto stia a cuore questa situazione a favore di questi poveri. La questione qui in Iraq non è solo una tragedia per il popolo iracheno, per i nostri cristiani o per gli yazidi, ma è qualcosa che riguarda tutti gli uomini che hanno a cuore l’umanità”. Filoni era partito il 12 agosto per l’Iraq.
Dopo l'udienza che il Papa gli ha concesso stamane, Filoni, tornato ieri sera da Baghdad, nel primo pomeriggio ha riferito ai microfoni di Radio vaticana: "Il Papa ha voluto subito accogliermi appena ritornato - questo mostra la sua sensibilità - per conoscere direttamente da me ciò che ho visto e ciò che ho sentito dopo aver visitato i nostri cristiani, gli yazidi, in questa settimana in Iraq. Quindi era molto attento. Il Papa ha preferito l’ascolto; mi ha lasciato parlare ampiamente e ovviamente ha preso a cuore tutte le situazioni di cui gli ho parlato: le attese dei nostri cristiani, le preoccupazioni e quelle che sono un po’ le linee della Chiesa. Ha appreso con piacere le linee che sono state adottate da parte della Chiesa locale. Posso dire che l’incontro è stato bello; il Santo Padre era molto attento e partecipe di quello che gli ho detto". Secondo il prefetto di Propaganda fide, "i nostri cristiani, tantissimi dei quali desiderano ritornare, aspirano a vedere però che i villaggi - ritornando - abbiano una cintura di sicurezza - chiedono che sia possibilmente internazionale - che garantisca loro la ripresa di una vita normale".
L’agenzia stampa della stessa Propaganda Fide, Fides, peraltro, riferisce che il leader curdo Massud Barzani, presidente della Regione del Kurdistan iracheno, ha annunciato che il governo della Regione autonoma del nord dell'Iraq è pronto ad aprire le porte a volontari cristiani tra le forze armate curde fornendo loro mezzi per creare contingenti di auto-difesa nei propri villaggi e difendersi dalle milizie jihadiste dello Stato Islamico (Is). Barzani aveva ricevuto il cardinale Filoni lo scorso 14 agosto.
Francesco riceve Filoni. Il porporato: cintura di sicurezza per sfollati
Papa Francesco ha incontrato stamani il cardinale Fernando Filoni, rientrato ieri a Roma dopo la sua missione in Iraq quale suo inviato personale. Il porporato è rimasto oltre una settimana nel Paese per portare la solidarietà concreta del Papa agli sfollati iracheni, cacciati dalle loro case dalla violenza jihadista. Sull'incontro con il Papa, ascoltiamo lo stesso cardinale Filoni al microfono di Sergio Centofanti:
R. - È stato molto bello perché il Papa ha voluto subito accogliermi appena ritornato - questo mostra la sua sensibilità - per conoscere direttamente da me ciò che ho visto e ciò che ho sentito dopo aver visitato i nostri cristiani, gli yazidi, in questa settimana che sono stato in Iraq. Quindi era molto attento. Il Papa ha preferito l’ascolto; mi ha lasciato parlare ampiamente e ovviamente ha preso a cuore tutte le situazioni di cui gli ho parlato: le attese dei nostri cristiani, le preoccupazioni e quelle che sono un po’ le linee della Chiesa. Ha appreso con piacere le linee che sono state adottate da parte della Chiesa locale. Posso dire che l’incontro è stato bello; il Santo Padre era molto attento e partecipe di quello che gli ho detto.
D. - C’è stata qualche parola del Papa che l’ha colpita in particolare?
R. - Come dico, il Santo Padre era molto preso da quanto gli dicevo e ha preferito l’ascolto.
D. - Lei è stato tra queste minoranze, tra i cristiani e anche tra gli yazidi. Il problema oggi è come aiutare questi sfollati, come fermare l’aggressore…
R. – Intanto, credo che ormai tutti siano consapevoli dell’urgenza immediata di sistemare queste famiglie sfollate. Credo che ormai tutti abbiano potuto vedere la situazione in cui vivono: dovunque c’è un prato, una stanza, un luogo messo a loro disposizione, questo è stato occupato; tutto questo tenendo naturalmente presente che durante il periodo più caldo di tutto l’anno - con 47-48 gradi - i ripari, la necessità di avere acqua, la necessità di lavarsi, di stare un po’ all’ombra … sono cose da tenere assolutamente in modo immediato per favorire questa gente, soprattutto bambini, anziani, ammalati … Favorire questa gente, offrire loro un riparo. Poi, dopo di questo, tutti giustamente si domandano quanto durerà questa situazione, cosa ci aspetta. E su questo ovviamente abbiamo le speranze, ma poi dobbiamo vedere nella realtà. Certo, i nostri cristiani, tantissimi dei quali desiderano ritornare, aspirano a vedere però che i villaggi - ritornando - abbiano una cintura di sicurezza - chiedono che sia possibilmente internazionale - che garantisca loro la ripresa di una vita normale.
D. - Ora la crisi irachena sembra giunta ad una svolta, dopo la barbara uccisione del giornalista americano che ha destato l’orrore un po’ di tutto il modo. Lei come vede la situazione?
R. - Rimango un po’ con i piedi per terra, perché fino a quando i villaggi sono occupati, la gente non riprende la fiducia, non comincia a ritornare, a riprendere le proprie case, le proprie cose e attività, possiamo fare solo supposizioni. Quindi se c’è un inizio speriamo che si concretizzi; speriamo che questa certezza ritorni e che questa cintura di sicurezza venga loro garantita. Solo allora la questione sarà effettivamente a buon punto.
D. - La sua missione è stata una missione delicata, difficile, anche faticosa. Un bilancio di questo viaggio …
R. - Direi che la mia missione è stata soprattutto e prima di tutto - per non dire esclusivamente - di tipo umanitario. Quindi, da questo punto di vista, non ci sono state questioni politiche o di altro genere che rientravano nell’ambito della mia missione. Sono contento di aver potuto fare questa missione umanitaria, perché per me è stato un ritorno in questa terra che conosco e che amo da tanto tempo, rivedere ancora tante persone che sono impegnate in attività di aiuto, e poi dare anche una parola di speranza, di fiducia, di incoraggiamento. Loro avevano bisogno di farsi sentire. Quindi ascoltarli è stato molto utile per conoscere le loro aspirazioni; ma è stato utile anche perché per loro è stato come uno sfogo: “Chi ascolta le nostre preoccupazioni? Chi le sente?”. Quindi poi poterle riportare, poterle divulgare, farle conoscere, diventa anche un modo per dire a questi nostri fratelli e sorelle: “Non è che voi non siete ascoltati, siete sempre all’apice delle nostre attenzioni”. Per me è stato poi un momento molto bello anche spiritualmente, perché essere accanto alla sofferenza di tanti fratelli e sorelle aiuta a non vedere questi problemi da lontano come delle cose che non ci riguardano, e quindi ad esserne partecipi. Devo dire che in questo sono stato ricambiato con tanto affetto, con tanta generosità, con il sorriso di tanti bambini, con la gentilezza di tanti uomini e donne che venivano a farsi accarezzare, che volevano baciare la mano, l’anello, ricevere una benedizione, chiedere una preghiera … Questo è stato molto bello ed emozionante.
D. - Si parla di 120-130 mila sfollati. Noi parliamo di cifre, lei ha visto dei volti …
R. - Le immagini certamente più vive sono quelle relative alle persone che hanno perso tutto, ma direi ancora di più: chi ha perso tutto, ma ha avuto salva la vita e comunque non ha avuto danni rispetto a parenti ed amici è già - si può dire - una fortuna. Ma quando si incontrano uomini, donne, bambini, anziani soprattutto insieme a bambini, ad alcune donne che hanno avuto delle vittime - parlo in modo particolare della comunità degli yazidi, dove uomini sono stati uccisi, e donne sono state rapite, violate, vendute - questo naturalmente è angosciante. I loro volti erano quelli di gente che guardano nel vuoto, dispersi in un futuro che non ha un modo di essere comprensibile. Pensiamo, ad esempio, che una donna in Medio Oriente ha sempre bisogno della presenza di un uomo - di un papà, di un fratello, di uno sposo - che sia quasi la garanzia della sua vita secondo la cultura. Ora, chi non ha più una persona - un uomo - che possa curarsi di lei, quale sarà il suo futuro? Non è come in Occidente, dove una donna può anche costruirsi una vita con le proprie capacità e con la propria forza. Quindi questo diventa molto, molto penoso; lo sguardo di queste donne sedute, accasciate, prive di espressione, era molto impressionante.
D. - A questo punto, quali sono le sue speranze concrete?
R. - Le mie speranze concrete le condivido con quelle di questa gente. Se noi riusciamo a dare loro una sicurezza per ritornare, questa speranza è anche la mia.
Iraq, Maradiaga: si fermino atrocità dei jihadisti
La Caritas Internationalis dà pieno “sostegno e solidarietà alla Chiesa irachena, come agli operatori della Caritas locale e a tutte le congregazioni religiose e alle altre organizzazioni che forniscono un aiuto concreto alle comunità” perseguitate nel Paese dalle milizie dell’Is “per alleviare le loro sofferenze, fornire cibo e un tetto o guarirle dai traumi che stanno subendo”. E’ quanto si legge in una lettera inviata il 15 agosto dal presidente dell’organizzazione, il card. Rodriguez Maradiaga, al patriarca di Babilonia del Caldei, Louis Raphael Sako, e al presidente della Caritas irachena mons. Shleimon Warduni.
La lettera esprime profonda preoccupazione per la sorte toccata ai cristiani, agli yazidi e alle altre minoranze costrette a fuggire dalla ferocia dei jihadisti, ma anche per “le conseguenze che questa ondata di violenze potrebbe avere sul dialogo islamo-cristiano e sulle coesistenza pacifica desiderata e apprezzata dalla maggioranza dei musulmani e dei cristiani in Medio Oriente e in tutto il mondo”. Essa elogia quindi “il coraggio e la fermezza dimostrata dalla Chiesa irachena e da tutte le persone di buona volontà di fronte a questi crimini contro l’umanità”.
Ricordando le parole di Papa Francesco per cui “la violenza non si vince con la violenza, ma con la pace”, il card. Maradiaga si rivolge direttamente ai militanti dell’Is perché fermino le loro atrocità e lavorino invece per la costruzione di società “in cui tutti gli esseri umani, che appartengano a comunità minoritarie o meno, possano vivere in pace”. Infine l’appello ai leader mondiali affinché sia garantita la sicurezza delle persone coinvolte, venga ripristinato lo stato di diritto e si interrompano le forniture di armi a quelli che commettono questi crimini contro la vita e la dignità umana. (L.Z.)
“E’ l’ora di agire e far sparire l’ISIS” Intervista
al Card. Philippe Barbarin
“Adesso è il momento di agire, mettere tutto in opera: sovvenire ai bisogni immediati delle popolazioni sfollate, far sparire l’ISIS, trovare una soluzione politica per il futuro dell’Iraq con delle azioni politiche e militari. E non dimentichiamo che anche noi dobbiamo agire!” Così l’arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin intervistato da Tgcom24 – Stanze Vaticane all’indomani della decapitazione del fotoreporter americano James Foley da parte dei jihadisti dell’ISIS. “Era profondamente cattolico”, sottolinea il cardinale, “recitava il rosario tutti i giorni e voleva lasciare il giornalismo al termine del suo reportage per dedicare il suo tempo al dialogo interreligioso”. Il cardinale è stato in Iraq alcune settimane fa con una delegazione di vescovi francesi per incontrare i cristiani sfollati.
Eminenza, che situazione ha trovato in Iraq?
Con una piccola delegazione dei vescovi francesi, siamo stati a Karakosh e Al Kosh, luoghi ancora accessibili. Abbiamo visitato anche Kirkouk ed Erbil insieme a numerosi villaggi vicini a questi quattro centri. Abbiamo sentito centinaia di storie di profughi, tutte diverse ma con un unico comune denominatore: niente più lavoro, niente più casa, tutti i propri averi rubati ai check point, con l’obbligo di lasciare lì le proprie vetture con all’interno ammassati tutti gli oggetti più preziosi. La gente era molto in collera, spesso scoraggiata, senza speranza di ritorno, perfino desiderosi di lasciare definitivamente l’Iraq. Ma le famiglie erano riunite, mai abbiamo sentito parole di vendetta. Per me la cosa più ammirevole è che, di fronte ad una tale minaccia e ad una tale violenza, nessuno tra loro ha rinnegato la propria fede in Cristo.
Cosa l’ha colpita in particolare?
Più volte il Patriarca caldeo, con cui ho passato tutto il mio tempo durante la visita, ha raccontato della conversazione telefonica avuta con il Papa. Questo è stato di grande conforto per i cristiani d’Iraq. Tutto ciò che abbiamo visto durante la visita è stato certamente doloroso, ma siamo rimasti colpiti dall’ospitalità delle famiglie curde. A volte la situazione era più precaria: venticinque persone stipate dentro una classe. Altre volte stipate dentro una sala parrocchiale, una chiesa o una cattedrale c’erano cento, cinquecento o mille e cinquecento persone. La comunità cristiana di Erbil, le parrocchie o la cattedrale hanno fatto del loro meglio per accogliere i rifugiati. Da allora sono anche in contatto con Padre Hanna Anis, parroco della parrocchia caldea di Lione. Una grande preoccupazione è che gli Yazidi sono stati gettati sulla strada con un caldo insopportabile. Tutti si sono scontrati con dei bisogni immediati: bere, dormire, mangiare, protezione solare, trovare i vestiti … e ancora: decidere se partire o se restare in Iraq, trovando rifugio per la famiglia, trovando un lavoro, garantendo assistenza medica, sapendo dove mandare i bambini a scuola in poche settimane …
Più volte il Patriarca caldeo, con cui ho passato tutto il mio tempo durante la visita, ha raccontato della conversazione telefonica avuta con il Papa. Questo è stato di grande conforto per i cristiani d’Iraq. Tutto ciò che abbiamo visto durante la visita è stato certamente doloroso, ma siamo rimasti colpiti dall’ospitalità delle famiglie curde. A volte la situazione era più precaria: venticinque persone stipate dentro una classe. Altre volte stipate dentro una sala parrocchiale, una chiesa o una cattedrale c’erano cento, cinquecento o mille e cinquecento persone. La comunità cristiana di Erbil, le parrocchie o la cattedrale hanno fatto del loro meglio per accogliere i rifugiati. Da allora sono anche in contatto con Padre Hanna Anis, parroco della parrocchia caldea di Lione. Una grande preoccupazione è che gli Yazidi sono stati gettati sulla strada con un caldo insopportabile. Tutti si sono scontrati con dei bisogni immediati: bere, dormire, mangiare, protezione solare, trovare i vestiti … e ancora: decidere se partire o se restare in Iraq, trovando rifugio per la famiglia, trovando un lavoro, garantendo assistenza medica, sapendo dove mandare i bambini a scuola in poche settimane …
La Conferenza Episcopale Francese ma anche il Patriarca caldeo Sako hanno chiesto chiaramente un intervento militare. Pensa che sia una strada indispensabile da seguire?
L’ intervento (militare – ndr) ha avuto luogo. Il Patriarca stesso lo ha ritenuto insufficiente. Ovviamente è con la morte nel cuore che i vescovi approvano o richiedono l’uso delle armi. Giovanni Paolo II aveva ben spiegato al tempo della guerra nei Balcani, che il pacifismo è a volte in contrasto con il progresso della pace. Ciò che Papa Francesco chiede è che si “fermi” il progresso dello Stato islamico del Levante e il suo presunto califfo. In breve, si impedisca a loro di far danni, come hanno già fatto. Infine si impedisca loro di seminare ancora terrore. Ho sentito che a volte il “Califfo” è stato trattato come un matto e che fu ripudiato da molti dei suoi parenti, a causa dei suoi eccessi. Ma non si deve mai sottovalutare questo avversario. Sappiamo che è armato e ha mostrato capacità innegabili. Non dimentichiamo che ha fatto cadere Mossoul, ancora sorvegliata dall’esercito regolare, in meno di 24 ore!
L’ intervento (militare – ndr) ha avuto luogo. Il Patriarca stesso lo ha ritenuto insufficiente. Ovviamente è con la morte nel cuore che i vescovi approvano o richiedono l’uso delle armi. Giovanni Paolo II aveva ben spiegato al tempo della guerra nei Balcani, che il pacifismo è a volte in contrasto con il progresso della pace. Ciò che Papa Francesco chiede è che si “fermi” il progresso dello Stato islamico del Levante e il suo presunto califfo. In breve, si impedisca a loro di far danni, come hanno già fatto. Infine si impedisca loro di seminare ancora terrore. Ho sentito che a volte il “Califfo” è stato trattato come un matto e che fu ripudiato da molti dei suoi parenti, a causa dei suoi eccessi. Ma non si deve mai sottovalutare questo avversario. Sappiamo che è armato e ha mostrato capacità innegabili. Non dimentichiamo che ha fatto cadere Mossoul, ancora sorvegliata dall’esercito regolare, in meno di 24 ore!
Il Papa durante il volo di ritorno dalla Corea ha detto che bisogna “fermare” l’aggressore, ha anche scritto una lettera al Segretario Generale dell’ONU chiedendo di intervenire. Pensa che sarà ascoltato?
Penso che la comunità internazionale sia ben allertata e che le parole del Papa siano ascoltate. Il Card. Tauran ha anche chiesto alle autorità musulmane di pronunciarsi contro queste azioni dell’ISIS e un funzionario dell’Università del Cairo lo ha fatto in modo vigoroso. A seguire lo hanno fatto anche il Gran Muftì dell’Arabia Saudita e le autorità musulmane dell’Indonesia. Non so se questo cambierà qualcosa nelle menti dei dirigenti dell’ISIS. Ciò che è importante però è che sono consapevoli del loro isolamento e che sanno di esser smentiti dai leader musulmani quando dicono di agire in nome dell’Islam.
Penso che la comunità internazionale sia ben allertata e che le parole del Papa siano ascoltate. Il Card. Tauran ha anche chiesto alle autorità musulmane di pronunciarsi contro queste azioni dell’ISIS e un funzionario dell’Università del Cairo lo ha fatto in modo vigoroso. A seguire lo hanno fatto anche il Gran Muftì dell’Arabia Saudita e le autorità musulmane dell’Indonesia. Non so se questo cambierà qualcosa nelle menti dei dirigenti dell’ISIS. Ciò che è importante però è che sono consapevoli del loro isolamento e che sanno di esser smentiti dai leader musulmani quando dicono di agire in nome dell’Islam.
La Francia ha detto di esser pronta ad affiancare gli USA nei bombardamenti sulle postazioni dell’ISIS. Pensa che sia una scelta saggia per aiutare i cristiani?
La Francia è fortemente impegnata sia sul fronte umanitario che sul fronte politico, di concerto con tutti i partner europei. Se la Francia giudica di poter dare il suo contributo in un’azione militare per riportare l’intero paese ad una vita normale, io mi affido alle decisioni dei nostri governanti. L’obiettivo è di prevenire i gravi danni causati dall’ISIS (poiché porta morte nella regione), e di permettere alle persone di tornare nelle proprie case, se lo desiderano. Questo è quello che il Presidente Hollande ha detto esplicitamente al nuovo Presidente dell’Iraq subito dopo la sua elezione. Durante il nostro soggiorno in Iraq abbiamo sentito diverse volte uno o una deputati sciiti e sunniti dire ai cristiani di rimanere in Iraq, altrimenti, senza di loro, il Paese non potrebbe esser ricostruito. E questo è anche il pensiero del Patriarca caldeo Sako. Resta il fatto che c’è un problema sullo status di rifugiato in Francia: ogni visita al proprio paese d’origine fa perdere immediatamente i diritti acquisiti associati allo status di rifugiato. In pratica si chiede alla gente di scegliere tra il proprio paese e quello ospitante. A mio parere si dovrebbe cambiare questa legge in modo tale che i cristiani d’Iraq possano mettersi in salvo finché la tempesta non sia finita e poi poter fare ritorno nel proprio Paese.
La Francia è fortemente impegnata sia sul fronte umanitario che sul fronte politico, di concerto con tutti i partner europei. Se la Francia giudica di poter dare il suo contributo in un’azione militare per riportare l’intero paese ad una vita normale, io mi affido alle decisioni dei nostri governanti. L’obiettivo è di prevenire i gravi danni causati dall’ISIS (poiché porta morte nella regione), e di permettere alle persone di tornare nelle proprie case, se lo desiderano. Questo è quello che il Presidente Hollande ha detto esplicitamente al nuovo Presidente dell’Iraq subito dopo la sua elezione. Durante il nostro soggiorno in Iraq abbiamo sentito diverse volte uno o una deputati sciiti e sunniti dire ai cristiani di rimanere in Iraq, altrimenti, senza di loro, il Paese non potrebbe esser ricostruito. E questo è anche il pensiero del Patriarca caldeo Sako. Resta il fatto che c’è un problema sullo status di rifugiato in Francia: ogni visita al proprio paese d’origine fa perdere immediatamente i diritti acquisiti associati allo status di rifugiato. In pratica si chiede alla gente di scegliere tra il proprio paese e quello ospitante. A mio parere si dovrebbe cambiare questa legge in modo tale che i cristiani d’Iraq possano mettersi in salvo finché la tempesta non sia finita e poi poter fare ritorno nel proprio Paese.
I cristiani d’Iraq le hanno fatto delle richieste?
Sì, hanno fatto tante richieste d’aiuto. In primo luogo la rassicurazione che siano ben accolti qualora emigrassero in Francia
Sì, hanno fatto tante richieste d’aiuto. In primo luogo la rassicurazione che siano ben accolti qualora emigrassero in Francia
Vuole fare un appello alla comunità internazionale?
Non so se sia il caso di fare un nuovo appello. Tanti sono stati fatti e hanno raggiunto l’obiettivo. Adesso è il momento di agire, mettere tutto in opera: sovvenire ai bisogni immediati delle popolazioni sfollate, far sparire l’ISIS, trovare una soluzione politica per il futuro dell’Iraq con delle azioni politiche e militari. E non dimentichiamo che anche noi dobbiamo agire!
Come tutti, il mio pensiero va in primo luogo alle famiglie sfrattate dalle loro case e spogliate di tutti i loro beni. Propongo di creare una rete che colleghi le famiglie cristiane irachene con quelle europee o di altri luoghi; questo può essere un grande conforto per i nostri fratelli e sorelle irachene. E’ stato creato un sito web per permettere questi incontri! Da parte mia ho avviato un gemellaggio diocesano tra Lione e Mossoul, dove il vescovo non ha nemmeno il diritto di entrare nella propria città. Come Lione, Mossoul è un luogo molto antico della comunità cristiana. In Iraq mi è stato detto: “Questa è forse la prima volta in sei-otto secoli che non si celebra la Messa di domenica a Mossoul!”. Prima di chiudere voglio dire che il mio appello è in primo luogo un appello alla preghiera.. Di fronte ai cristiani mussouliti rifugiati a Karakosh mi son impegnato a recitare tutti i giorni la preghiera del Padre Nostro in caldeo, finché non potranno tornare nella loro città. Non importa la lingua, il Padre Nostro è la preghiera che contiene tutte le altre. Sono felice di sapere che molti fratelli e sorelle in Francia e altrove si sono associati alla mia promessa.
Non so se sia il caso di fare un nuovo appello. Tanti sono stati fatti e hanno raggiunto l’obiettivo. Adesso è il momento di agire, mettere tutto in opera: sovvenire ai bisogni immediati delle popolazioni sfollate, far sparire l’ISIS, trovare una soluzione politica per il futuro dell’Iraq con delle azioni politiche e militari. E non dimentichiamo che anche noi dobbiamo agire!
Come tutti, il mio pensiero va in primo luogo alle famiglie sfrattate dalle loro case e spogliate di tutti i loro beni. Propongo di creare una rete che colleghi le famiglie cristiane irachene con quelle europee o di altri luoghi; questo può essere un grande conforto per i nostri fratelli e sorelle irachene. E’ stato creato un sito web per permettere questi incontri! Da parte mia ho avviato un gemellaggio diocesano tra Lione e Mossoul, dove il vescovo non ha nemmeno il diritto di entrare nella propria città. Come Lione, Mossoul è un luogo molto antico della comunità cristiana. In Iraq mi è stato detto: “Questa è forse la prima volta in sei-otto secoli che non si celebra la Messa di domenica a Mossoul!”. Prima di chiudere voglio dire che il mio appello è in primo luogo un appello alla preghiera.. Di fronte ai cristiani mussouliti rifugiati a Karakosh mi son impegnato a recitare tutti i giorni la preghiera del Padre Nostro in caldeo, finché non potranno tornare nella loro città. Non importa la lingua, il Padre Nostro è la preghiera che contiene tutte le altre. Sono felice di sapere che molti fratelli e sorelle in Francia e altrove si sono associati alla mia promessa.
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