ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 25 agosto 2014

"Spaghetticons".

Articolo fondamentale apparso nel numero di Novembre-Dicembre 2004 della rivista "Alfa e Omega", ripreso negli anni da vari blog e forum di ispirazione cattolica e non , e infine approdato in un volume a cura dello stesso autore nel 2008 dal titolo "Spaghetticons".
 
Ripercorre le tappe fondamentali dell'ideologia neoconservatrice a volte presentata come baluardo alla dissoluzione ma in realtà altra faccia della concezione nichilista dominante.
 
Il testo originale, seppur risalente a un decennio fa, costituisce in larga parte ancora un valido vaccino alle "guerre sante" alle quali viene periodicamente chiamato il mondo cattolico:
 
Sull'argomento vedi anche:
 
"I cattolici e l'ideologia neocon" di Rino Tartaglino
 
 
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L'articolo che pubblico su questo sito è di Luigi Copertino, ed è uscito per la prima volta sul numero di novembre-dicembre 2004 della rivista Alfa e Omega (Direzione via San Francesco 45, 15100 Alessandria, telefono 0131-266497). Si tratta di una rivista cattolica conservatrice, di cui non condivido né l'impostazione di fondo, ovviamente, né molte singole analisi.



Premessa

A seguito degli ultimi eventi internazionali si è imposta all’opinione pubblica una corrente di pensiero, il cosiddetto “neoconservatorismo”, i cui intellettuali di punta, Paul Wolfowitz, Robert Kagan, Richard Perle, Douglas Feith, William Kristol, appartengono tutti all’entourage di George W. Bush e sono i diretti ed indiretti elaboratori delle strategie politiche ed economiche degli Usa. Alcuni di questi intellettuali hanno per anni lavorato al Project for the New American Century, un think tank che ha rappresentato il terreno di incontro tra l’idea politica di un globalismo decisionista-imperiale a guida americana, propugnata da tale cerchia intellettuale, e le forze economiche del liberismo globale delle principali multinazionali e finanziarie americane, ossia la Halliburton, la Schlumberger, la ExxonMobil, la Chevron Texaco, la ConocoPhillips, la Warburg, la Merryll Linch, la Morgan, rappresentate in seno all’Amministrazione Bush, oltre che dallo stesso Presidente, da potenti personaggi come Donald Rumsfeld e Dick Cheney. Tuttavia, come diremo di seguito, a dispetto del nome che tale cerchia di intellettuali si è dato, il loro pensiero ha i caratteri di una vera e propria ideologia rivoluzionaria.

Infatti, il neoconservatorismo americano rappresenta l’esito nichilista del pensiero vetero-(liberal)conservatore statunitense e più in generale anglosassone. Un esito nient’affatto inaspettato e del tutto legittimo se si parte dal presupposto stesso dell’ordine americano, ossia l’ideologia religiosa del calvinismo puritano. E’ ben noto che le radici del nichilismo contemporaneo si rinvengono nel furore “antiteologico” di Lutero, prima, e di Calvino, poi.

Nonostante questi caratteri inquietanti, ampi settori di quel che, in Italia ed in Europa, è denominato (con espressione assolutamente incapace di individuare il suo oggetto di riferimento ma che usiamo per convenienza) “cattolicesimo tradizionalista” o, con termine più politico, “destra cattolica” hanno aderito all’ideologia neoconservatrice. La cosa è ancor più allarmante se si pensa che, perlomeno alcuni ambienti facenti capo al mondo del cattolicesimo tradizionalista, fino a ieri erano, per ovvie ragioni filosofiche, del tutto refrattari ad ogni moda culturale di provenienza statunitense.
Vero e falso scontro di civiltà

Il cambio di rotta della destra cattolica si deve, con tutta probabilità, al recente insorgere del pericolo “islamista”. Come già avvenne a fronte della minaccia comunista, questa improvvida destra cattolica si è schierata con l’America nella prospettiva huntingtoniana del prossimo “scontro di civiltà”, giustificando tale scelta in parte come scelta in favore del presunto male minore ed in parte addirittura come scelta in favore della “civiltà cristiana” incarnata e difesa dagli Stati Uniti. Quel che non è stato compreso, però, da parte di questi settori del cattolicesimo tradizionalista, è che la tesi di Huntington è falsa.

Secondo la prospettiva del noto analista americano, tra le diverse civiltà che si confrontano attualmente sullo scenario mondiale, quella “euro-americana” costituirebbe un unicum ossia la “civiltà occidentale”. Questa tesi è strumentale alla politica di egemonia statunitense, che tenta oggi molti, troppi, cattolici tradizionalisti.

Se di scontro si deve parlare, è più che evidente che siamo di fronte ad uno scontro del tutto interno al cosiddetto “mondo occidentale”. Si tratta dello scontro tra “la religione del Dio che si è fatto Uomo e la religione dell’uomo che pretende di farsi dio”. Uno scontro che, in chiusura del Concilio Vaticano II, Papa Montini, salvo poi ricredersi alla fine del suo pontificato, ha creduto di poter dichiarare risolto nell’irenico abbraccio tra Chiesa e mondo. Questo scontro è, invece, oggi nella sua fase finale, contrassegnata dal passaggio dalla modernità alla post-modernità. Quest’ultima, se da un lato manifesta l’essenza più luciferina e recondita della prima, con la quale non è in opposizione ma in continuità, dall’altro, a causa del suo nichilismo dissolutore delle certezze razionaliste della modernità, sembra capace di irretire persino i cattolici anti-moderni illusi di essere agli inizi di una rivincita della Tradizione sulla modernità.

In realtà, da un punto di vista coerentemente cattolico, lo scorrere dei secoli che dalla Cristianità medievale ci hanno portato, mediante il passaggio per l’intermezzo dell’Europa cristiana cinque-seicentesca, all’Occidente globale di oggi, non può essere letto, sorvolando sulla grande frattura protestante che è la vera radice dell’Occidente americanocentrico, come un processo unitario e crescente.

Tra il XVI ed il XVII secolo lo sviluppo storico dell’Europa cattolica mostrava tutti i segni di quella che poteva essere una differente modernità, in perfetta continuità storica con l’eredità della Cristianità medievale. Una concreta possibilità storica rimasta poi, purtroppo, inattuata soprattutto a causa della frattura protestante. Infatti, in quei secoli lo scenario epocale era incentrato politicamente sull’egemonia mondiale della Spagna asburgica (dalla quale avrebbe potuto nascere una globalizzazione cattolica ben diversa da quella anglo-protestante attuale), culturalmente sulla seconda scolastica della scuola teologico-giuridica di Salamanca (alla quale si deve la definitiva chiarificazione della dottrina cattolica sulla naturalità della comunità politica e sul diritto internazionale euro-cristiano, elaborata da Vitoria, Suárez e Bellarmino), religiosamente sulla Riforma Cattolica del Concilio Tridentino i cui prodromi si ebbero con un anticipo di cinquant’anni nella Spagna di Isabella e Ferdinando.

E’ assolutamente necessario tenere sempre presente la svolta storica intervenuta nel XVI secolo per poter capire che non vi è affatto continuità tra Cristianità ed Occidente e che in quel cruciale albeggiare della modernità l’Europa ha purtroppo scelto di voltare le spalle alla Chiesa cattolica e di ripudiarsi come Cristianità, impedendo perciò il nascere di una diversa modernità e trasformando se stessa nell’attuale Occidente apostata, destinato all’implosione nichilista.

La sconfitta dell’Invincibile Armada non segnò soltanto l’inizio dell’ascesa dell’Inghilterra anglicana e della decadenza della Spagna cattolica, ma anche e soprattutto il momento epocale nel quale inizia, nel discontinuo processo storico che ha caratterizzato l’avanzare della modernità, la deriva dell’Europa cristiana, moderna erede della Cristianità medievale, verso l’Occidente il cui baricentro è, senza dubbio, nel mondo anglosassone-protestante.

Quando Michele Federico Sciacca distingueva tra “occidente cristiano” ed “occidentalismo illuminista”, intendeva sottolineare proprio quella svolta storica imprescindibile. Una distinzione ben colta, sulla scorta della serrata critica di Augusto Del Noce alla secolarizzazione, anche da Massimo Borghesi quando, in un articolo di qualche anno fa ai tempi della prima Guerra del Golfo, distingueva tra due occidenti, uno per l’appunto di radici cristiane e l’altro di radici laiciste, nato, quest’ultimo, dalla catastrofe luterana.

William J. Bouwsma, docente di storia a Berkeley, ha recentemente descritto, in un pregevole saggio storico (1) , il declino dell’Europa all’alba stessa della modernità. Secondo l’autorevole storico, nel periodo compreso tra il 1550 ed il 1640 esistevano ancora una Cristianità e una comunità culturale euro-cristiana. Ma sia l’una che l’altra furono travolte dalla Riforma, dal comparire delle chiese nazionali come effetto del chiudersi degli Stati assoluti (superiorem non recognoscentes) all’Autorità della Chiesa, dal dilagare sull’onda della teologia luterana e della filosofia cartesiana del soggettivismo e dell’individualismo. L’epocale snodo segnato dall’età che va dalla metà del XVI secolo alla metà del XVII secolo scompigliò l’identità cristiano-cattolica dell’Europa proprio nel momento storico in cui il vecchio continente aveva iniziato, nel precedente cinquantennio, la sua espansione planetaria.

Sicché, sostiene Bouwsma, la “modernità” nacque non tanto come esito positivo di uno splendido rinascimento, quanto piuttosto come tentativo di risposta, da parte di un’umanità cristiana in crisi di identità, all’inquietudine e all’angoscia che segnarono gli inizi stessi dell’età post-medievale, e quindi post-cattolica. Inquietudine ed angoscia che presero la forma, tuttora sussistente (si pensi alle nuove religioni del new age), della magia e, sul piano politico, di un fenomeno, ad essa strettamente connesso, come ha dimostrato un acuto politologo quale Giorgio Galli, sin dal richiamo all’immagine biblica del “mostruoso”, ossia l’affermarsi della concezione hobbesiana della comunità politica nell’idea dello Stato-Leviathan opposta alla dottrina cattolica dello Stato-comunità propria della scuola di Salamanca.

La visione dei cattolici liberali, ad esempio di Baget Bozzo e di Antonio Socci, ossia quella del crociano “perché non possiamo non dirci cristiani”, recentemente ripresa, in funzione filoccidentale per giustificare lo scontro di civiltà, da Oriana Fallaci, contempla, senza soluzioni di continuità, una filiazione legittima dell’occidente americanocentrico, ossia di quella che oggi si definisce “globalizzazione”, dal presunto seno materno della Cristianità premoderna.

In realtà, questa filiazione non è affatto legittima perché lungo il processo storico, che ha portato al tramonto dell’antica Cristianità ed al parallelo sorgere dell’egemonia occidentalista, vi è stata, per l’appunto, una profonda frattura costituita dal protestantesimo. E’ innegabile che la pretesa ultima e profonda dell’occidentalismo è quella, di indubbio sapore “anticristico”, dell’inveramento mondano della Promessa cristiana di Redenzione e Liberazione dell’umanità.

Non è stato soltanto il marxismo a trasporre la Promessa del Regno dall’aldilà all’aldiquà. Questa indebita trasposizione è un inganno tipico anche del liberismo, che si va manifestando con maggior evidenza proprio nella sua fase globale quando, in nome della globalizzazione, viene mendacemente promesso all’umanità un avvenire di pacificazione e di benessere planetari. Franco Cardini ha spiegato molto bene il lungo percorso storico che ha portato, mediante il passaggio intermedio attraverso l’Europa cristiana dei secoli XVI-XIX, dall’antica Cristianità all’Europa-Occidente di oggi, incentrata sull’Atlantico(2) .

Tale processo non è stato affatto un lineare compimento del Cattolicesimo ma al contrario un graduale perdere terreno da parte della Chiesa cattolica di fronte alla scristianizzazione. L’Europa-Occidente di oggi, ossia ciò che Sciacca definiva occidentalismo, è per l’appunto l’aborto matricida della Cristianità cattolica. Del resto, a ben rifletterci, il mistero di iniquità non poteva palesarsi storicamente che nelle antiche terre cristiane per poi, una volta sradicata quasi del tutto la Chiesa dalla vita dei popoli un tempo cattolici, globalizzarsi al di là dei confini storici della Cristianità. Ben 250 anni prima della dichiarazione rivoluzionaria dei diritti dell’uomo fu la scuola teologico-giuridica di Salamanca, nella Spagna cattolica del XVI secolo, ad elaborare su basi tomiste, ossia cristiane, i diritti umani e a chiarire definitivamente il fondamento di diritto naturale della comunità politica nel quadro della sua subordinazione al giudizio morale del Pontefice e, quindi, conseguentemente la distinzione, non conflittuale, tra Fede e Politica, Chiesa e Stato.

Ma la frattura storica comportata dal protestantesimo, e dal conseguente assolutismo laicista e statolatrico, ha prodotto, agli inizi della modernità, una cesura, tuttora incolmabile, tra le radici cattoliche e medievali dell’Europa moderna e la sua deriva occidentalista. La mancanza di continuità nel processo storico, per via della frattura luterano-illuminista, ha fatto sì che quelli che erano i frutti di civiltà del Cattolicesimo siano stati sradicati dalla loro vitale pianta originaria ed arbitrariamente innestati sul secco tronco dell’umanitarismo. Il millenarismo, sotteso alla modernità protestante, ha reso possibile, ad esempio, la contraffazione liberale, ossia normativista e giuspositivista, del diritto naturale che è stato così pervertito nella concezione dell’origine contrattualista del diritto e delle forme politiche e sociali.

Ma l’umanitarismo, oggi, nel momento in cui l’occidente americanomorfo globale va conoscendo il suo momento di trionfo planetario, si sta rivelando nient’altro che un tralcio disseccato. La filosofia umanitaria dell’Occidente globale sta sprofondando nel nichilismo e svelando la propria mera strumentalità. La retorica filantropica della “democrazia liberale” si rivela per quel che essa veramente è, ossia la maschera normativista di puri rapporti di forza. La maschera è definitivamente caduta con le umanitarie operazioni di polizia internazionale dell’ultimo decennio del XX secolo e da ultimo con la guerra unilaterale di Bush.

L’inganno postmoderno si svela apertamente di fronte allo sfaldamento nichilista del razionalismo. La pretesa di autofondazione e di assoluta autonomia della ragione umana si è dimostrata inconsistente e, oggi, per salvare la sana razionalità dall’irrompere dal basso di un oltre-subrazionalismo, che definire inquietante è dir poco, è necessario che la ragione accetti i suoi naturali limiti, perché sono tali limiti a caratterizzarla nella sua alta dignità creaturale, essendo il suo campo di indagine, tomisticamente parlando, quello appunto dei preambula fidei, e soprattutto che si apra verso l’Alto, verso il Mistero cristiano. Un discorso analogo può farsi per l’Europa di oggi: se essa non prende piena consapevolezza di non essere affatto la parte minore di un più vasto Occidente, organizzato intorno alla potenza mondiale americana, e soprattutto se essa non torna alle sue radici cattoliche (e tornare a tali radici non è certo questione di improbabili preamboli su carte costituzionali), dichiarando senza ambiguità che la propria pretesa moderna di rifondarsi anticristianamente è stata scelta storico-filosofica suicida, non ha possibilità di salvezza, né spirituale né di civiltà, e finirà per trascinare nella sua parabola di dissoluzione nichilista anche tutti quei beni politici, giuridici, sociali e civili che originariamente appartenevano all’eredità cattolica. I tralci strappati dalla vite sono destinati a seccare.

NOTE

1) Cfr. J. Bouwsma, L’autunno del rinascimento, Il Mulino, Milano 2003.
2) Cfr. F. Cardini, Europa. Le radici cristiane, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 2002.


http://www.kelebekler.com/occ/copert01.htm

inviato da angheran@email.it

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