ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 15 settembre 2014

De utilitate Sacramentorum

Don Mauro Tranquillo e don Curzio Nitoglia. Nuovi apporti sulla validità dei nuovi sacramenti

Pubblico un intervento di don Mauro Tranquillo sulla "validità dei nuovi sacramenti" e, di seguito, la risposta di Don Curzio Nitoglia, ringraziando entrambi per aver voluto condividere con noi il frutto del loro impegno e della loro pastorale. Non mi scandalizza la vis polemica, che dimostra e accompagna anche in questi testi la fermezza e profondità delle proprie convinzioni. Del resto nessuno di noi è esente dal sentirsi punto sul vivo quando si tocca ciò in cui profondamente crediamo e che professiamo. Ma c'è un dato essenziale che vorrei sottolineare, rivolgendomi soprattutto ai sacerdoti. Penso anche ad altri, incontrati nel nostro cammino: uno, dalla solida formazione e dalla dialettica tanto efficace quanto graffiante e spesso ridondante; un altro, di indiscussa fama e profondità ma reticente; un altro ancora, eccessivamente conciliante con le storture in circolazione.
Per concludere con don Camillo, dall'impegno pastorale che so quanto generoso, ma in questo contesto dalle reazioni umorali, soprattutto nella viscerale antipatia e stroncature nei confronti di papa Benedetto insieme alle aperture di credito incondizionate al successore. E don Marco, don Gianluigi, da tempo silenziosi, dove siete?
Ebbene, ciò che dovrebbe maggiormente caratterizzare il nostro impegno in questo agone così delicato, che è quello di custodire difendere e diffondere la nostra fede oscurata, per il bene nostro e delle anime che riusciamo ad avvicinare, dovrebbe essere la parresìa e l'acribìa sulle idee ed i principi, sorvolando e lasciando da parte le possibili personali punzecchiature che alla fine rendono meno efficace il messaggio e rischiano di trasformarlo in diatriba. Lo dico perché è un problema che ho cercato di arginare da sempre e che incontro ogni giorno nell'assiduo e necessario 'filtro' della moderazione su queste pagine. Esso purtroppo ha tra l'altro impoverito questa nostra Agorà di alcune presenze che pure davano un fruttuoso apporto dei loro peculiari e significativi contributi. Non è sempre facile trovare il necessario equilibrio che non può non risentire di alcune note temperamentali. Ma lo sforzo, da non trascurare, se vale per noi e per l'efficacia della nostra comunicazione, vale a maggior ragione per i fin troppo pochi sacerdoti che la sostengono e senza i quali non andremmo da nessuna parte.
Detto questo, vi rimando agli interventi cui si riferiscono le precisazioni che seguono: [qui e qui].


Don Mauro Tranquillo, sulla validità dei nuovi sacramenti

Don Curzio Nitoglia ha pubblicato diversi articoli e risposte ad obiezioni su sì sì no no e su vari siti circa la validità dei nuovi riti sacramentali, e sulla tesi di fondo non possiamo che concordare: i nuovi riti, correttamente eseguiti, possono generalmente dirsi validi (vedremo in quali eccezione e in che senso non sia sempre così); il loro problema sta nella liceità, cioè nella scorretta professione di fede che li accompagna, e che li rende pericolosi per il cattolico. Non ci dilunghiamo su questo perché dovrebbe essere un punto su cui siamo d’accordo.

Don Curzio insiste anche sul fatto che materia e forma dei sacramenti possono essere soggetti ad alcuni mutamenti da parte dell’autorità della Chiesa. Tale tesi è pacificamente ammessa, con l’esclusione di Battesimo ed Eucaristia. Particolarmente è certo che la forma dei sacramenti (ed esclusione dei due citati) deve specificare il significato della materia, esprimendo sufficientemente il significato del sacramento (vedremo poi opportune citazioni di Leone XIII sull’argomento). Su quali materie possano essere modificate e come, le tesi sono diverse; di fatto è l’autorità della Chiesa a dover determinare questo punto. Per la materia dell’Ordine, lo stesso Pio XII, nel determinare che fosse l’imposizione delle mani e non la consegna degli strumenti, non volle entrare nella questione storica e teologica della situazione precedente, lasciando libera la discussione su quale fosse stata in precedenza la materia, e se mai fosse stato possibile un cambiamento della medesima.

Tuttavia alcuni argomenti usati da don Curzio non paiono sensati: nel voler assolutamente dire che ogni nuovo sacramento è senz’altro valido, ci si dimentica della categoria del dubbio positivo (citato sì, ma per disprezzarlo quanto il negativo). Una chiara mancanza di spirito analogico, così necessario alla sana teologia. Se ci sono seri argomenti per dubitare della validità di un sacramento, questo va tenuto come dubbio, e nella prassi come nullo, proprio perché il sacramento deve essere inequivocabile e non si può esporre il cristiano a un sacramento incerto. Da qui la pratica, in caso di sacramento davvero dubbio, di reiterarlo sotto condizione. In particolare, una tesi storico-teologica sulla materia di un sacramento non basta ad allontanarsi da quanto la Chiesa attualmente prescrive, e nel caso questo succedesse il sacramento andrebbe tenuto positivamente come dubbio. Vedremo subito l’applicazione di questo alla Cresima.
L’inferenza fatta da don Curzio sulla materia della Cresima è la seguente: secondo una tesi, prima del III secolo materia della Cresima era la sola imposizione delle mani; quindi potrebbe essere così anche oggi; quindi la necessità del Crisma fatto di olio di oliva non è assoluta; quindi non importa se il Crisma nel nuovo rito può essere composto anche di altri oli vegetali: se la Chiesa ha potuto introdurre il Crisma può anche cambiarne la composizione. Questa serie di proposizioni rimane estremamente discutibile, così come il legame tra le medesime. Per determinare la primitiva materia della Cresima don Curzio ricorre a qualche citazioni della Scrittura e dei Padri, che parlano solo dell’imposizione delle mani; ora questo è un argomento a silentio, la cui intrinseca debolezza è chiara. Padre Cappello in De confirmatione (in Tractatus canonico-moralis de Sacramentis vol. I n.198) così dice: «Unctio necessaria omnino est ad valorem sacramenti, ut communiter docent auctores. Opinio quorundam veterum theologorum, qui censuerunt ad essentiam sacramenti sufficere solam manuum impositionem, vera probabilitate carere videtur ideoque reicienda est. Sane tum antiquae traditionis tum Sedis apostolicae recentiora documenta, praesertim decretum pro armenis, expresse loquuntur de Chrismatis unctione». Affermazioni come si vede alquanto forti. Sant’Alfonso, che come suo costume cita tutte le tesi esistenti, non si limita a definire la necessità dell’unzione come sentenza fere communis (questo lo fa nel presentare lo status quaestionis, ma poi procede alla soluzione, secondo il metodo della sua opera), ma sostiene, con il Bellarmino, Innocenzo III e altri, che l’imposizione delle mani di cui si parla negli Atti era sempre accompagnata dall’unzione, e cita anche l’autorità di Eugenio IV per dare alla sua sentenza il valore di certa.

Seguono varie pagine di argomenti probatori (molti più di quelli addotti da don Curzio), tra i quali l’enciclica Ex quo primum di Benedetto XIV, dove è scritto che è fuori discussione (extra controversiam) che nella Chiesa latina il Sacramento della Cresima si conferisce con l’uso del sacro Crisma, composto di balsamo e olio di oliva. Per sant’Alfonso tale dichiarazione è dogmatica e potrebbe essere negata solo da chi non riconosce l’infallibilità del Papa (qui autem huic declarationi dogmaticae Pontificis in hac Constitutione totam Ecclesiam docentis in re quae ad fidem pertinet, acquiescere nollet, aliud objicere non posset, quam Pontificem, etiam ubi Ecclesiam docet, non esse infallibilem). Altro che toni sfumati! Ci si consenta, almeno sull’autorità del Santo Dottore, di dire che la tesi di don Curzio sulla certezza che la Cresima sia esistita o possa esistere senza unzione, è molto meno probabile dell’altra; e non indiscutibile come viene presentata.

Sia come sia di questa questione: sappiamo bene che l’eventuale definizione di Benedetto XIV potrebbe essere considerata la determinazione della materia in quel momento, ferma restando la possibilità eventuale della Chiesa di cambiare (o aver cambiato) la materia della Cresima. Si vede però su quante sentenze meno probabili ci stiamo muovendo: può essere che nell’antichità non ci fosse unzione, può essere che la Chiesa abbia cambiato nel III secolo e possa cambiare ancora la materia della Cresima, può essere che la costituzione di Benedetto XIV o il decreto per gli Armeni non siano vincolanti, può essere che la tesi di sant’Alfonso e Bellarmino sia sbagliata. Può essere, appunto. Questo però significa che, nel caso in cui nell’amministrazione del sacramento non venissero seguiti i riti oggi prescritti, come minimo dovrò avere un dubbio positivo sulla loro validità. Del resto, qualsiasi Vescovo modernista con un minimo di coscienza non esiterebbe a (ri)cresimare almeno sotto condizione il fedele che fosse stato cresimato con la sola imposizione delle mani. Può essere anche che la Chiesa possa scegliere altro olio che quello di oliva: può essere, ma non vale a dimostrarlo la tesi secondo cui tanto bastava un tempo la sola imposizione delle mani; per dire poi che la Chiesa abbia effettivamente cambiato la materia oggi si dovrebbe credere che i nuovi riti dei sacramenti siano leggi della Chiesa. In quel caso certo sarebbero infallibilmente validi, ma anche infallibilmente leciti e buoni. Ma allora don Curzio non potrebbe certo invitare (come invece giustissimamente fa) ad evitarli. Se dunque non la Chiesa, ma dei riti modernizzati definiti da don Curzio (giustamente) illeciti e in rottura con la tradizione, ammettono la cresima con altri oli che quello di oliva, che cosa dovrò pensare? Non potrò certo inferire che siano certamente validi sulla basi di tesi teologiche più o meno probabili come quelle elencate sopra; ma dovrò considerarli almeno dubbi, e nella prassi procedere a cresimare sotto condizione quando saprò che un olio non di oliva sarà stata utilizzato (per un dubium iuris) o quando non saprò che olio è stato utilizzato (dubium facti). Ecco una risposta con le dovute distinzioni, ben lontane da tesi di validità preconcetta dimostrate con assunti presentati come inequivocabili quando sono ben lontani dall’esserlo (per esempio quello sulla cresima dei primi secoli), e giustificati con citazioni di sant’Alfonso incomplete.

Quindi: non è certo che l’imposizione delle mani fosse nei primi secoli la sola materia della Cresima; non è certo che la Chiesa possa determinare un’altra materia per la Cresima; è certo invece (e lo ammette don Curzio) che la Chiesa e i Dottori e le leggi liturgiche attuali (che non sono quelle dei riti modernizzati in rottura con la tradizione) esigono il Crisma fatto con olio d’oliva; è certo (credo anche per don Curzio) che i nuovi riti non possano essere invocati come legittimo atto della Chiesa che ri-determina la materia; è quindi certo che il nuovo rito della Cresima, quando compiuto con altri oli (non di oliva) per la confezione del Crisma, è quantomeno soggetto a un pesante dubbio positivo, e non è valido con certezza.

Quanto alla forma dell’episcopato, è vero che don Curzio cita correttamente Pio XII: «nella Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis (30 novembre 1947) stabilisce la seguente forma nell’ordinazione sacerdotale: «Da quaesumus in hunc famulum tuum presbyterii dignitatem / Dà o Signore a questo tuo servo la dignità del sacerdozio» e nella consacrazione episcopale: «Comple in sacerdotibus tuis ministerii tui summam / Compi nei tuoi sacerdoti la perfezione del tuo ministero». Ma non si accorge che poco dopo lo fa smentire dal Card. Palazzini: «Il cardinale Pietro Palazzini insegna: [...]Per quanto riguarda la forma la S. Scrittura enumera solo l’invocazione dello Spirito Santo: “Orantes, imponentesque eis manus” (At., XIII). Infine secondo la Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis di Pio XII del 30 novembre 1947 le parole essenziali della forma di consacrazione episcopale sono: Accipe Spiritum Sanctum». L’improbabile citazione di un Palazzini che contraddice e distorce Pio XII non si trova nel Dictionarium alle pag. 270-271 del II volume (come vorrebbe don Curzio), se non per la prima parte (fino ad At XIII); invece leggiamo l’esatto opposto a pag. 271: «Ad essentiam consecrationis episcopalis iam NON pertinent nec verba “Accipe Spiritum Sanctum” quae impositionem manuum comitantur; nec oratio “Propitiare” etc.», e subito dopo la corretta citazione della forma secondo Pio XII. Un buon teologo, oltre al senso delle sfumature e dell’analogia, farebbe bene a distinguersi anche per la precisione delle citazioni; affermare una cosa esatta, farla smentire subito dopo senza accorgersene dalla citazione sbagliata di un grande autore, non sono segni di grande teologia.

Quindi la forma dell’episcopato non può essere una generica invocazione dello Spirito Santo, ma deve determinare l’effetto del sacramento (Leone XIII, Apostolicae Curae, 13/11/1896: «Noi citeremo solo uno dei numerosi argomenti che mostrano quanto queste formule del rito Anglicano sono insufficienti per il fine da raggiungere: esso [il difetto] terrà luogo di tutti gli altri. In queste formule, si è tranciato a deliberato proposito tutto ciò che, nel rito Cattolico, fa nettamente risaltare la dignità ed i doveri del sacerdozio: non può dunque essere la forma conveniente e sufficiente di un Sacramento quella che rimane in silenzio rispetto a ciò che dovrebbe essere specificato espressamente»). A che servirebbe altrimenti una forma? E infatti le testimonianze di vari riti ed epoche addotte dallo stesso don Curzio vanno in questo senso. La forma anglicana fu dichiarata invalida proprio perché non precisava questo effetto, ma nei primi tempi si limitava appunto all’invocazione Accipe Spiritum Sanctum (DS 3315-3319). Che la forma dell’episcopato di Paolo VI per vari motivi possa essere valida (senza entrare ora in questa questione fin troppo dibattuta) è un conto, che lo sia perché una generica invocazione allo Spirito Santo basti di per sé, come suggerirebbe la pseudo-citazione (e come sembra dire l’ultima risposta alle obiezioni), è invece un’idea non ammissibile. Chi ha studiato un po’ la questione sa poi che è molto impreciso dire che Paolo VI “ha ripreso la forma greca”; si tratta di una forma che contiene delle espressioni del Pontificale maronita. Tutte le forme orientali, comunque, non si limitano a invocare lo Spirito Santo, ma esprimono chiaramente il conferimento dell’ordine (come per l’Occidente prima di Pio XII, l’idea è espressa ampiamente nelle preghiere del rito), o sarebbero logicamente invalide e inutili (vedi Leone XIII qui sopra, e anche il buon senso: non avremmo certo un segno sacramentale chiaro se l’episcopato fosse dato con una invocazione generica dello Spirito Santo che potrebbe essere qualsiasi cosa).

Sull’intenzione, concordiamo naturalmente sul fatto che l’intenzione non sia la fede. L’intenzione è necessaria al valore del sacramento, come insegna il Tridentino, e deve essere interiore, contrariamente a quanto sostenevano i giansenisti condannati da Alessandro VIII (DS 2328). Quindi è impossibile conoscerla di certezza fisica o metafisica, ma essendo un atto umano interiore mi sarà noto, di certezza morale, solo tramite delle manifestazioni esteriori. In particolare, come giustamente fa notare don Curzio, se il ministro unisce materia e forma valida, l’intenzione si deve sempre supporre (DS 3318), nisi in casu particulari contrarium probetur (DS 3874) : cioè fino a prova del contrario. I nuovi riti come tali possono portare a manifestare una mancanza di intenzione che possa essere provata, come secondo Leone XIII era avvenuto nell’anglicanesimo? Infatti se il primo argomento di Papa Pecci era quello del cambiamento della forma, il secondo era quello della manifestazione di una contro-intenzione, con l’eliminazione nel rito di ogni espressione che ricordasse la vera natura del sacerdozio. Questa è la questione. Per la nuova Messa, il Breve esame critico (alla nota 15), opera più autorevole e raffinata di don Curzio, si poneva la questione in questi termini: «Le parole della Consacrazione, quali sono inserite nel contesto del Novus Ordo, possono essere valide in virtù dell’intenzione del ministro. Possono non esserlo perché non lo sono piú ex vi verborum o piú precisamente in virtù del modus significandi che avevano finora nella Messa. I sacerdoti, che, in un prossimo avvenire, non avranno ricevuto la formazione tradizionale e che si affideranno al Novus Ordo al fine di “fare ciò che fa la Chiesa” consacreranno validamente? È lecito dubitarne».
Forse la questione centrale sta nella pretesa di dimostrare ad ogni costo la validità dei nuovi riti come se da questo dipendesse l’indefettibilità della Chiesa. In realtà a nulla servirebbe avere riti sacramentali certamente validi se poi non sono espressione lecita della fede e vanno evitati. Se non li consideriamo appartenenti alla Tradizione della Chiesa, come dice lo stesso don Curzio, il fatto che possano in qualche caso essere di per sé invalidi non è un grande problema, almeno rispetto a quello della loro eterodossia conclamata. Per mantenere l’indefettibilità della Chiesa a poco servirebbe attribuirLe sacramenti illeciti benché sempre validi.

In conclusione, chiediamo a don Curzio di accettare più volentieri il confronto e anche le critiche, e di non dar troppo peso a quanto sommariamente espresso nei blog [faccio notare a don Mauro che quanto espresso nei blog non è sempre né sommario né innocuo e non acquista meno rilevanza solo perché espresso in un blog, anche se certamente esso non è un'accademia, ma è pur sempre un'Agorà pubblica che acquista la sua attendibilità e incisività dai contenuti e dalle persone serie che fanno sul serio che lo curano e da quelle che lo seguono, che non mancano di proporre anche i loro contenuti interessanti e nutrienti per tutti. E trovo francamente sommaria - quella sì - e anche ingenerosa (e qui mi limito) la sua conclusione finale]. Ci spiace vedere tirate come quella sulla calunnia con ingiunzioni a ritrattare, che ricorda tanto lo stile del Padre Alfonso Bruno: l’obiettante può essere ignorante, può dover essere corretto, ma non è necessariamente in mala fede. Soprattutto, qualche volta può anche avere delle buone ragioni. Ma per saperlo occorre confrontarsi con gli altri. Nessun Istituto, ci dice don Curzio tanto spesso, ha la verità o la salvezza in mano. Ma nemmeno nessun chierico isolato, più esposto a mancare di equilibrio teologico e di confronto.
Don Mauro Tranquillo

Risposta a don Mauro Tranquillo

Don Mauro Tranquillo ha inviato una lettera di critica (del tutto lecita) agli articoli apparsi su “sì sì no no”, riguardo alla validità o meno dei Sacramenti promulgati da Paolo VI, ad altri siti ancor prima di averci dato la possibilità di dargli una risposta ed eventualmente di correggere alcune nostre imprecisioni.
Facciamo presente che “sì sì no no” è un quindicinale, che è composto di solo 8 (otto) pagine e non può contenere in un sol numero una trattazione completa consultabile in poche ore. Di qui la necessità di dividere l’articolo sui “nuovi Sacramenti” in varie puntate, che già sono state scritte, ma non ancora tutte pubblicate. Inoltre, purtroppo, bisogna attendere qualche mese per poter leggere la trattazione completa, trattandosi di un modesto quindicinale.
Sarebbe stato, dunque, più corretto aspettare la fine della trattazione e poi, vista la “vicinanza spirituale” di d. Tranquillo a “sì sì no no” (fondato da d. Francesco Putti nel 1975, diretto dalle Suore del Cenacolo), inviare le sue obiezioni alla nostra rivista, affinché potessimo rispondergli, e poi eventualmente ad altre riviste o siti.
Inoltre gli facciamo notare che la citazione del Dizionario di Diritto Canonico del card Pietro Palazzini, da lui giustamente criticata nella lettera in questione, è solo il frutto di un errore del computer, che l’ha mutilata e che in un prossimo numero di “sì sì no no” è già pronta da tempo la citazione per esteso del card. Palazzini, come pure è già pronto un articolo sulle Ordinazioni anglicane e vari altri temi toccati da d. Tranquillo. Sarebbe bastato attendere o chiedere spiegazioni a “sì sì no no”.

Tra amici e collaboratori si sarebbe dovuto avvisarci dell’errore di trascrizione, di cui avevamo già preso atto, attendere la fine della serie (compresa la questione degli Anglicani et coetera) ed il problema sarebbe stato risolto pacificamente.
Infine ciò che stupisce di più è la citazione, da parte di un sacerdote della FSSPX quale è d. Tranquillo, della nota n. 15 del Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae, che ammette la possibilità di invalidità della consacrazione dell’Eucarestia durante la Nuova Messa. Nota redatta, come il testo del Breve Esame, da p. Guérard des Lauriers, l’ideatore della Tesi di Cassiciacum e del sedevacantismo mitigato (Paolo VI: papa materialiter e non formaliter).
Ora nella FSSPX per essere ordinati sacerdoti, sin dai tempi di mons. Marcel Lefebvre, bisogna firmare una dichiarazione in cui si ammette la validità della consacrazione dell’Eucarestia nel NOM, nonostante la deficienza del Rito della nuova Messa. Ora se d. Tranquillo ci rimprovera di aver seguito la tesi di San Tommaso d’Aquino (cfr. S. Th., III, q. 78, a. 2 e 3; R. Garrigou-Lagrange, De Eucharistia, Torino, Marietti, 1943, p. 177-183; A. Piolanti, De Sacramentis, Torino, Marietti, 1959, pp. 329-334) e di mons. Lefebvre, preferendo loro quella di p. Guérard des Lauriers, perché resta nella FSSPX e non raggiunge i vari Istituti sedevacantisti, presenti anche in Italia, che seguono la Tesi di Cassiciacum?

Certamente è un fatto che il rito della Nuova Messa è “nocivo alle anime”, ma è parimenti un fatto che resta la sostanza della forma consacratoria: “Questo è il mio corpo” e “Questo è il mio sangue”, come insegna San Tommaso d’Aquino seguìto dai suoi Commentatori. Quindi la forma di consacrazione dell’Eucarestia nella Nuova Messa in sé è valida, anche se il rito che circonda la sostanza del sacramento dell’Eucarestia è nocivo[1].
sì sì no no
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[1] Cfr. A. X. V. Da Silveira, La Nouvelle Messe de Paul VI. Qu’en penser?, Chiré-en-Montreuil, DPF, 1973, che sostiene la medesima tesi : validità della consacrazione dell’Eucarestia e rottura con la Tradizione del Rito liturgico del NOM.

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