Don Mauro Tranquillo e don Curzio Nitoglia. Nuovi apporti sulla validità dei nuovi sacramenti
Pubblico un intervento di don Mauro Tranquillo sulla "validità dei nuovi sacramenti" e,
di seguito, la risposta di Don Curzio Nitoglia, ringraziando entrambi
per aver voluto condividere con noi il frutto del loro impegno e della
loro pastorale. Non mi scandalizza la vis polemica, che dimostra e
accompagna anche in questi testi la fermezza e profondità delle proprie
convinzioni. Del resto nessuno di noi è esente dal sentirsi punto sul
vivo quando si tocca ciò in cui profondamente crediamo e che
professiamo. Ma c'è un dato essenziale che vorrei sottolineare,
rivolgendomi soprattutto ai sacerdoti. Penso anche ad altri, incontrati
nel nostro cammino: uno, dalla solida formazione e dalla dialettica
tanto efficace quanto graffiante e spesso ridondante; un altro, di indiscussa fama e profondità ma reticente; un altro ancora, eccessivamente conciliante
con le storture in circolazione.
Per concludere con don Camillo, dall'impegno pastorale che so quanto generoso, ma in questo contesto dalle reazioni umorali, soprattutto nella viscerale antipatia e stroncature nei confronti di papa Benedetto insieme alle aperture di credito incondizionate al successore. E don Marco, don Gianluigi, da tempo silenziosi, dove siete?
Per concludere con don Camillo, dall'impegno pastorale che so quanto generoso, ma in questo contesto dalle reazioni umorali, soprattutto nella viscerale antipatia e stroncature nei confronti di papa Benedetto insieme alle aperture di credito incondizionate al successore. E don Marco, don Gianluigi, da tempo silenziosi, dove siete?
Ebbene, ciò che dovrebbe maggiormente caratterizzare il nostro impegno
in questo agone così delicato, che è quello di custodire difendere e
diffondere la nostra fede oscurata, per il bene nostro e delle anime che
riusciamo ad avvicinare, dovrebbe essere la parresìa e l'acribìa
sulle idee ed i principi, sorvolando e lasciando da parte le possibili
personali punzecchiature che alla fine rendono meno efficace il
messaggio e rischiano di trasformarlo in diatriba. Lo dico perché è un
problema che ho cercato di arginare da sempre e che incontro ogni giorno
nell'assiduo e necessario 'filtro' della moderazione su queste pagine.
Esso purtroppo ha tra l'altro impoverito questa nostra Agorà di alcune
presenze che pure davano un fruttuoso apporto dei loro peculiari e
significativi contributi. Non è sempre facile trovare il necessario
equilibrio che non può non risentire di alcune note temperamentali. Ma
lo sforzo, da non trascurare, se vale per noi e per l'efficacia della
nostra comunicazione, vale a maggior ragione per i fin troppo pochi
sacerdoti che la sostengono e senza i quali non andremmo da nessuna
parte.
Detto questo, vi rimando agli interventi cui si riferiscono le precisazioni che seguono: [qui e qui].
Detto questo, vi rimando agli interventi cui si riferiscono le precisazioni che seguono: [qui e qui].
Don Mauro Tranquillo, sulla validità dei nuovi sacramenti
Don Curzio Nitoglia ha pubblicato diversi articoli e risposte ad obiezioni su sì sì no no
e su vari siti circa la validità dei nuovi riti sacramentali, e sulla
tesi di fondo non possiamo che concordare: i nuovi riti, correttamente
eseguiti, possono generalmente dirsi validi (vedremo in quali eccezione e
in che senso non sia sempre così); il loro problema sta nella liceità,
cioè nella scorretta professione di fede che li accompagna, e che li
rende pericolosi per il cattolico. Non ci dilunghiamo su questo perché
dovrebbe essere un punto su cui siamo d’accordo.
Don Curzio insiste anche sul fatto che materia e forma dei sacramenti
possono essere soggetti ad alcuni mutamenti da parte dell’autorità della
Chiesa. Tale tesi è pacificamente ammessa, con l’esclusione di
Battesimo ed Eucaristia. Particolarmente è certo che la forma dei
sacramenti (ed esclusione dei due citati) deve specificare il
significato della materia, esprimendo sufficientemente il significato
del sacramento (vedremo poi opportune citazioni di Leone XIII
sull’argomento). Su quali materie possano essere modificate e come, le
tesi sono diverse; di fatto è l’autorità della Chiesa a dover
determinare questo punto. Per la materia dell’Ordine, lo stesso Pio XII,
nel determinare che fosse l’imposizione delle mani e non la consegna
degli strumenti, non volle entrare nella questione storica e teologica
della situazione precedente, lasciando libera la discussione su quale
fosse stata in precedenza la materia, e se mai fosse stato possibile un
cambiamento della medesima.
Tuttavia alcuni argomenti usati da don Curzio non paiono sensati: nel
voler assolutamente dire che ogni nuovo sacramento è senz’altro valido,
ci si dimentica della categoria del dubbio positivo (citato sì, ma per disprezzarlo quanto il negativo).
Una chiara mancanza di spirito analogico, così necessario alla sana
teologia. Se ci sono seri argomenti per dubitare della validità di un
sacramento, questo va tenuto come dubbio, e nella prassi come nullo,
proprio perché il sacramento deve essere inequivocabile e non si può
esporre il cristiano a un sacramento incerto. Da qui la pratica, in caso
di sacramento davvero dubbio, di reiterarlo sotto condizione. In
particolare, una tesi storico-teologica sulla materia di un sacramento
non basta ad allontanarsi da quanto la Chiesa attualmente prescrive, e
nel caso questo succedesse il sacramento andrebbe tenuto positivamente
come dubbio. Vedremo subito l’applicazione di questo alla Cresima.
L’inferenza fatta da don Curzio sulla materia della Cresima è la
seguente: secondo una tesi, prima del III secolo materia della Cresima
era la sola imposizione delle mani; quindi potrebbe essere così anche
oggi; quindi la necessità del Crisma fatto di olio di oliva non è
assoluta; quindi non importa se il Crisma nel nuovo rito può essere
composto anche di altri oli vegetali: se la Chiesa ha potuto introdurre
il Crisma può anche cambiarne la composizione.
Questa serie di proposizioni rimane estremamente discutibile, così come
il legame tra le medesime. Per determinare la primitiva materia della
Cresima don Curzio ricorre a qualche citazioni della Scrittura e dei
Padri, che parlano solo dell’imposizione delle mani; ora questo è un
argomento a silentio, la cui intrinseca debolezza è chiara. Padre Cappello in De confirmatione (in Tractatus canonico-moralis de Sacramentis vol. I n.198) così dice: «Unctio
necessaria omnino est ad valorem sacramenti, ut communiter docent
auctores. Opinio quorundam veterum theologorum, qui censuerunt ad
essentiam sacramenti sufficere solam manuum impositionem, vera
probabilitate carere videtur ideoque reicienda est. Sane tum
antiquae traditionis tum Sedis apostolicae recentiora documenta,
praesertim decretum pro armenis, expresse loquuntur de Chrismatis
unctione». Affermazioni come si vede alquanto forti. Sant’Alfonso,
che come suo costume cita tutte le tesi esistenti, non si limita a
definire la necessità dell’unzione come sentenza fere communis (questo lo fa nel presentare lo status quaestionis,
ma poi procede alla soluzione, secondo il metodo della sua opera), ma
sostiene, con il Bellarmino, Innocenzo III e altri, che l’imposizione
delle mani di cui si parla negli Atti era sempre accompagnata
dall’unzione, e cita anche l’autorità di Eugenio IV per dare alla sua
sentenza il valore di certa.
Seguono varie pagine di argomenti probatori (molti più di quelli addotti da don Curzio), tra i quali l’enciclica Ex quo primum
di Benedetto XIV, dove è scritto che è fuori discussione (extra
controversiam) che nella Chiesa latina il Sacramento della Cresima si
conferisce con l’uso del sacro Crisma, composto di balsamo e olio di
oliva. Per sant’Alfonso tale dichiarazione è dogmatica e potrebbe essere
negata solo da chi non riconosce l’infallibilità del Papa (qui autem
huic declarationi dogmaticae Pontificis in hac Constitutione totam
Ecclesiam docentis in re quae ad fidem pertinet, acquiescere nollet,
aliud objicere non posset, quam Pontificem, etiam ubi Ecclesiam docet,
non esse infallibilem). Altro che toni sfumati! Ci si consenta,
almeno sull’autorità del Santo Dottore, di dire che la tesi di don
Curzio sulla certezza che la Cresima sia esistita o possa esistere senza
unzione, è molto meno probabile dell’altra; e non indiscutibile come viene presentata.
Sia come sia di questa questione: sappiamo bene che l’eventuale
definizione di Benedetto XIV potrebbe essere considerata la
determinazione della materia in quel momento, ferma restando la
possibilità eventuale della Chiesa di cambiare (o aver cambiato) la
materia della Cresima. Si vede però su quante sentenze meno probabili ci
stiamo muovendo: può essere che nell’antichità non ci fosse unzione,
può essere che la Chiesa abbia cambiato nel III secolo e possa cambiare
ancora la materia della Cresima, può essere che la costituzione di
Benedetto XIV o il decreto per gli Armeni non siano vincolanti, può
essere che la tesi di sant’Alfonso e Bellarmino sia sbagliata. Può
essere, appunto. Questo però significa che, nel caso in cui
nell’amministrazione del sacramento non venissero seguiti i riti oggi
prescritti, come minimo dovrò avere un dubbio positivo sulla loro validità. Del resto, qualsiasi Vescovo modernista con un minimo di coscienza non esiterebbe a (ri)cresimare almeno
sotto condizione il fedele che fosse stato cresimato con la sola
imposizione delle mani. Può essere anche che la Chiesa possa scegliere
altro olio che quello di oliva: può essere, ma non vale a dimostrarlo la
tesi secondo cui tanto bastava un tempo la sola imposizione delle mani;
per dire poi che la Chiesa abbia effettivamente cambiato la materia
oggi si dovrebbe credere che i nuovi riti dei sacramenti siano leggi
della Chiesa. In quel caso certo sarebbero infallibilmente validi, ma
anche infallibilmente leciti e buoni. Ma allora don Curzio non
potrebbe certo invitare (come invece giustissimamente fa) ad evitarli.
Se dunque non la Chiesa, ma dei riti modernizzati definiti da don Curzio
(giustamente) illeciti e in rottura con la tradizione, ammettono la
cresima con altri oli che quello di oliva, che cosa dovrò pensare? Non
potrò certo inferire che siano certamente validi sulla basi di tesi teologiche più o meno probabili come quelle elencate sopra; ma dovrò considerarli almeno
dubbi, e nella prassi procedere a cresimare sotto condizione quando
saprò che un olio non di oliva sarà stata utilizzato (per un dubium iuris) o quando non saprò che olio è stato utilizzato (dubium facti).
Ecco una risposta con le dovute distinzioni, ben lontane da tesi di
validità preconcetta dimostrate con assunti presentati come
inequivocabili quando sono ben lontani dall’esserlo (per esempio quello
sulla cresima dei primi secoli), e giustificati con citazioni di
sant’Alfonso incomplete.
Quindi: non è certo che l’imposizione delle mani fosse nei primi secoli
la sola materia della Cresima; non è certo che la Chiesa possa
determinare un’altra materia per la Cresima; è certo invece (e lo
ammette don Curzio) che la Chiesa e i Dottori e le leggi liturgiche
attuali (che non sono quelle dei riti modernizzati in rottura con la
tradizione) esigono il Crisma fatto con olio d’oliva; è certo (credo
anche per don Curzio) che i nuovi riti non possano essere invocati come
legittimo atto della Chiesa che ri-determina la materia; è quindi certo
che il nuovo rito della Cresima, quando compiuto con altri oli (non di
oliva) per la confezione del Crisma, è quantomeno soggetto a un pesante dubbio positivo, e non è valido con certezza.
Quanto alla forma dell’episcopato, è vero che don Curzio cita correttamente Pio XII: «nella Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis (30 novembre 1947) stabilisce la seguente forma nell’ordinazione sacerdotale: «Da quaesumus in hunc famulum tuum presbyterii dignitatem / Dà o Signore a questo tuo servo la dignità del sacerdozio» e nella consacrazione episcopale: «Comple in sacerdotibus tuis ministerii tui summam
/ Compi nei tuoi sacerdoti la perfezione del tuo ministero». Ma non si
accorge che poco dopo lo fa smentire dal Card. Palazzini: «Il cardinale
Pietro Palazzini insegna: [...]Per quanto riguarda la forma la S.
Scrittura enumera solo l’invocazione dello Spirito Santo: “Orantes, imponentesque eis manus” (At., XIII). Infine secondo la Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis di Pio XII del 30 novembre 1947 le parole essenziali della forma di consacrazione episcopale sono: Accipe Spiritum Sanctum”». L’improbabile citazione di un Palazzini che contraddice e distorce Pio XII non si trova nel Dictionarium
alle pag. 270-271 del II volume (come vorrebbe don Curzio), se non per
la prima parte (fino ad At XIII); invece leggiamo l’esatto opposto a
pag. 271: «Ad essentiam consecrationis episcopalis iam NON pertinent nec verba “Accipe Spiritum Sanctum” quae impositionem manuum comitantur; nec oratio “Propitiare” etc.»,
e subito dopo la corretta citazione della forma secondo Pio XII. Un
buon teologo, oltre al senso delle sfumature e dell’analogia, farebbe
bene a distinguersi anche per la precisione delle citazioni; affermare
una cosa esatta, farla smentire subito dopo senza accorgersene dalla
citazione sbagliata di un grande autore, non sono segni di grande
teologia.
Quindi la forma dell’episcopato non può essere una generica invocazione
dello Spirito Santo, ma deve determinare l’effetto del sacramento (Leone
XIII, Apostolicae Curae, 13/11/1896: «Noi citeremo solo uno dei
numerosi argomenti che mostrano quanto queste formule del rito Anglicano
sono insufficienti per il fine da raggiungere: esso [il difetto] terrà
luogo di tutti gli altri. In queste formule, si è tranciato a deliberato
proposito tutto ciò che, nel rito Cattolico, fa nettamente risaltare la
dignità ed i doveri del sacerdozio: non può dunque essere la
forma conveniente e sufficiente di un Sacramento quella che rimane in
silenzio rispetto a ciò che dovrebbe essere specificato espressamente»).
A che servirebbe altrimenti una forma? E infatti le testimonianze di
vari riti ed epoche addotte dallo stesso don Curzio vanno in questo
senso. La forma anglicana fu dichiarata invalida proprio perché non
precisava questo effetto, ma nei primi tempi si limitava appunto
all’invocazione Accipe Spiritum Sanctum (DS 3315-3319). Che la
forma dell’episcopato di Paolo VI per vari motivi possa essere valida
(senza entrare ora in questa questione fin troppo dibattuta) è un conto,
che lo sia perché una generica invocazione allo Spirito Santo basti di
per sé, come suggerirebbe la pseudo-citazione (e come sembra dire
l’ultima risposta alle obiezioni), è invece un’idea non ammissibile. Chi
ha studiato un po’ la questione sa poi che è molto impreciso dire che
Paolo VI “ha ripreso la forma greca”; si tratta di una forma che
contiene delle espressioni del Pontificale maronita. Tutte le forme
orientali, comunque, non si limitano a invocare lo Spirito Santo, ma
esprimono chiaramente il conferimento dell’ordine (come per l’Occidente
prima di Pio XII, l’idea è espressa ampiamente nelle preghiere del
rito), o sarebbero logicamente invalide e inutili (vedi Leone XIII qui
sopra, e anche il buon senso: non avremmo certo un segno sacramentale
chiaro se l’episcopato fosse dato con una invocazione generica dello
Spirito Santo che potrebbe essere qualsiasi cosa).
Sull’intenzione, concordiamo naturalmente sul fatto che l’intenzione non
sia la fede. L’intenzione è necessaria al valore del sacramento, come
insegna il Tridentino, e deve essere interiore, contrariamente a quanto
sostenevano i giansenisti condannati da Alessandro VIII (DS 2328).
Quindi è impossibile conoscerla di certezza fisica o metafisica, ma
essendo un atto umano interiore mi sarà noto, di certezza morale,
solo tramite delle manifestazioni esteriori. In particolare, come
giustamente fa notare don Curzio, se il ministro unisce materia e forma
valida, l’intenzione si deve sempre supporre (DS 3318), nisi in casu particulari contrarium probetur (DS
3874) : cioè fino a prova del contrario. I nuovi riti come tali possono
portare a manifestare una mancanza di intenzione che possa essere
provata, come secondo Leone XIII era avvenuto nell’anglicanesimo?
Infatti se il primo argomento di Papa Pecci era quello del cambiamento
della forma, il secondo era quello della manifestazione di una
contro-intenzione, con l’eliminazione nel rito di ogni espressione che
ricordasse la vera natura del sacerdozio. Questa è la questione. Per la
nuova Messa, il Breve esame critico (alla nota 15), opera più
autorevole e raffinata di don Curzio, si poneva la questione in questi
termini: «Le parole della Consacrazione, quali sono inserite nel
contesto del Novus Ordo, possono essere valide in virtù dell’intenzione del ministro. Possono non esserlo perché non lo sono piú ex vi verborum o piú precisamente in virtù del modus significandi
che avevano finora nella Messa. I sacerdoti, che, in un prossimo
avvenire, non avranno ricevuto la formazione tradizionale e che si
affideranno al Novus Ordo al fine di “fare ciò che fa la Chiesa” consacreranno validamente? È lecito dubitarne».
Forse la questione centrale sta nella pretesa di dimostrare ad ogni
costo la validità dei nuovi riti come se da questo dipendesse
l’indefettibilità della Chiesa. In realtà a nulla servirebbe avere riti
sacramentali certamente validi se poi non sono espressione lecita della
fede e vanno evitati. Se non li consideriamo appartenenti alla
Tradizione della Chiesa, come dice lo stesso don Curzio, il fatto che
possano in qualche caso essere di per sé invalidi non è un grande
problema, almeno rispetto a quello della loro eterodossia conclamata.
Per mantenere l’indefettibilità della Chiesa a poco servirebbe
attribuirLe sacramenti illeciti benché sempre validi.
In conclusione, chiediamo a don Curzio di accettare più volentieri il
confronto e anche le critiche, e di non dar troppo peso a quanto
sommariamente espresso nei blog [faccio
notare a don Mauro che quanto espresso nei blog non è sempre né sommario
né innocuo e non acquista meno rilevanza solo perché espresso in un
blog, anche se certamente esso non è un'accademia, ma è pur sempre
un'Agorà pubblica che acquista la sua attendibilità e incisività dai
contenuti e dalle persone serie che fanno sul serio che lo curano e da
quelle che lo seguono, che non mancano di proporre anche i loro
contenuti interessanti e nutrienti per tutti. E trovo francamente
sommaria - quella sì - e anche ingenerosa (e qui mi limito) la sua
conclusione finale]. Ci spiace vedere tirate come quella sulla
calunnia con ingiunzioni a ritrattare, che ricorda tanto lo stile del
Padre Alfonso Bruno: l’obiettante può essere ignorante, può dover essere
corretto, ma non è necessariamente in mala fede. Soprattutto, qualche
volta può anche avere delle buone ragioni. Ma per saperlo occorre
confrontarsi con gli altri. Nessun Istituto, ci dice don Curzio tanto
spesso, ha la verità o la salvezza in mano. Ma nemmeno nessun chierico
isolato, più esposto a mancare di equilibrio teologico e di confronto.
Don Mauro Tranquillo
Risposta a don Mauro Tranquillo
Don Mauro Tranquillo ha inviato una lettera di critica (del tutto lecita) agli articoli apparsi su “sì sì no no”,
riguardo alla validità o meno dei Sacramenti promulgati da Paolo VI, ad
altri siti ancor prima di averci dato la possibilità di dargli una
risposta ed eventualmente di correggere alcune nostre imprecisioni.
Facciamo presente che “sì sì no no” è un quindicinale, che è
composto di solo 8 (otto) pagine e non può contenere in un sol numero
una trattazione completa consultabile in poche ore. Di qui la necessità
di dividere l’articolo sui “nuovi Sacramenti” in varie puntate, che già
sono state scritte, ma non ancora tutte pubblicate. Inoltre, purtroppo,
bisogna attendere qualche mese per poter leggere la trattazione
completa, trattandosi di un modesto quindicinale.
Sarebbe stato, dunque, più corretto aspettare la fine della trattazione e
poi, vista la “vicinanza spirituale” di d. Tranquillo a “sì sì no no” (fondato da d. Francesco Putti nel 1975, diretto dalle Suore del Cenacolo), inviare le sue obiezioni alla nostra rivista, affinché potessimo rispondergli, e poi eventualmente ad altre riviste o siti.
Inoltre gli facciamo notare che la citazione del Dizionario di Diritto Canonico
del card Pietro Palazzini, da lui giustamente criticata nella lettera
in questione, è solo il frutto di un errore del computer, che l’ha
mutilata e che in un prossimo numero di “sì sì no no” è già
pronta da tempo la citazione per esteso del card. Palazzini, come pure è
già pronto un articolo sulle Ordinazioni anglicane e vari altri temi
toccati da d. Tranquillo. Sarebbe bastato attendere o chiedere
spiegazioni a “sì sì no no”.
Tra amici e collaboratori si sarebbe dovuto avvisarci dell’errore di
trascrizione, di cui avevamo già preso atto, attendere la fine della
serie (compresa la questione degli Anglicani et coetera) ed il problema sarebbe stato risolto pacificamente.
Infine ciò che stupisce di più è la citazione, da parte di un sacerdote
della FSSPX quale è d. Tranquillo, della nota n. 15 del Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae,
che ammette la possibilità di invalidità della consacrazione
dell’Eucarestia durante la Nuova Messa. Nota redatta, come il testo del
Breve Esame, da p. Guérard des Lauriers, l’ideatore della Tesi di Cassiciacum e del sedevacantismo mitigato (Paolo VI: papa materialiter e non formaliter).
Ora nella FSSPX per essere ordinati sacerdoti, sin dai tempi di mons.
Marcel Lefebvre, bisogna firmare una dichiarazione in cui si ammette la
validità della consacrazione dell’Eucarestia nel NOM, nonostante la
deficienza del Rito della nuova Messa. Ora se d. Tranquillo ci
rimprovera di aver seguito la tesi di San Tommaso d’Aquino (cfr. S. Th., III, q. 78, a. 2 e 3; R. Garrigou-Lagrange, De Eucharistia, Torino, Marietti, 1943, p. 177-183; A. Piolanti, De Sacramentis,
Torino, Marietti, 1959, pp. 329-334) e di mons. Lefebvre, preferendo
loro quella di p. Guérard des Lauriers, perché resta nella FSSPX e non
raggiunge i vari Istituti sedevacantisti, presenti anche in Italia, che seguono la Tesi di Cassiciacum?
Certamente è un fatto che il rito della Nuova Messa è “nocivo alle
anime”, ma è parimenti un fatto che resta la sostanza della forma
consacratoria: “Questo è il mio corpo” e “Questo è il mio sangue”,
come insegna San Tommaso d’Aquino seguìto dai suoi Commentatori.
Quindi la forma di consacrazione dell’Eucarestia nella Nuova Messa in sé
è valida, anche se il rito che circonda la sostanza del sacramento
dell’Eucarestia è nocivo[1].
sì sì no no
_________________________
[1] Cfr. A. X. V. Da Silveira, La Nouvelle Messe de Paul VI. Qu’en penser?,
Chiré-en-Montreuil, DPF, 1973, che sostiene la medesima tesi : validità
della consacrazione dell’Eucarestia e rottura con la Tradizione del
Rito liturgico del NOM.
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