L’alfiere americano del matrimonio che non sembra uscito dalla sacrestia
Papa Francesco (foto LaPresse)
New York. La lettera che un pugno di intellettuali americani – e non solo – di area conservatrice ha recapitato a Papa Francesco il mese scorso in vista del Sinodo sulla famiglia non s’addentra nei dettagli della comunione ai divorziati risposati, né evoca le implicazioni ecclesiologiche dello scontro con i progressisti kasperiani. Non per questo il “commitment to marriage” avanza richieste oziose o meno pugnaci rispetto al dibattito corrente. Al Papa e ai cardinali si chiede, in sostanza, di usare l’occasione del sinodo per riaffermare con forza la verità del matrimonio, senza conformarsi alla mentalità di questo secolo, come direbbe san Paolo: “Gli uomini e le donne hanno disperatamente bisogno di sentire la verità sul motivo per cui dovrebbero sposarsi”.
ARTICOLI CORRELATI Anche se tutti, noi no Passioni calde su dottrina e pastorale della famiglia (molto, molto calde)Riaffermare, non riformare, questo è quello che chiedono i vari Robert George, Mary Ann Glendon, Rick Warren, Mary Eberstadt, Orlando Carter Snead, Marcello Pera e il resto della prevedibile falange cattolica e protestante americana che costantemente cerca nuove armi per combattere la culture war.
Fra i firmatari c’è anche un intruso generazionale di nome Ryan Anderson, analista di “religion e free society” all’Heritage foundation, think tank reaganiano e baluardo del conservatorismo sociale. Per rimanere nella metafora bellica, Anderson è stato eletto da qualche tempo ariete del movimento a favore del matrimonio fra uomo e donna. 32 anni, cresciuto in una famiglia cattolica di Baltimora, educato chissà perché nelle scuole dei quaccheri e poi a Princeton, Anderson si è trovato molto presto dall’altra parte della barricata della mentalità dominante – dalla parte sbagliata della storia, direbbe Obama – in fatto di matrimonio e famiglia, tanto da essere costretto a chiedersi molto seriamente le ragioni del suo viaggio controcorrente. Ryan è cresciuto quando la guerra culturale, nella sua essenza, era già stata vinta, negli anni clintoniani del politicamente corretto e dello svuotamento sorridente di tutto l’impianto tradizionale della società. Dai dibattiti con i compagni di classe, figli di “una generazione che non ha sperimentato una cultura del matrimonio forte”, Ryan si è trovato a scrivere articoli sul giornale di Princeton e poi a cofirmare un libro sul matrimonio con l’autorevole giurista Robert George.
di Mattia Ferraresi |
© FOGLIO QUOTIDIANO
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.