ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 9 ottobre 2014

Fiaccola o faro? ( o lumicino che fumiga?°)

I due sinodi, dentro le mura e fuori

latinitas
Aprendo il sinodo sulla famiglia, Francesco ha chiesto ai padri sinodali di esprimersi con “parresìa”, con franchezza e in libertà, senza il timore che “il papa pensi qualcosa di diverso”.
Ma questo era proprio ciò che era accaduto nei mesi precedenti, pro e contro le proposte del cardinale Walter Kasper, che si sapevano concordate col papa. Solo che, curiosamente, proprio Kasper e i suoi sostenitori si erano mostrati intolleranti alle critiche, tanto più se da parte di cardinali di primo piano.

Questa è una delle tante contraddizioni comunicative di questo sinodo. Un’altra è data dal filtro informativo frapposto alla discussione in aula.
Mentre nei sinodi precedenti due bollettini giornalieri in più lingue riportavano tutti gli interventi in aula, riassunti dai loro stessi autori, questa volta – a dispetto della conclamata trasparenza – sono forniti alla stampa solo i nomi degli intervenuti, mentre delle cose dette c’è solo il giornaliero resoconto orale di padre Federico Lombardi, accuratamente purgato da indicazioni su chi abbia detto che cosa. Anche “L’Osservatore Romano”, che nel riferire i primissimi interventi aveva scritto di ciascuno l’autore e il contenuto, è rientrato precipitosamente all’ordine, ripiegando su generici “pastoni”.
L’effetto che si è immediatamente prodotto è uno sdoppiamento tra sinodo reale e sinodo virtuale, quest’ultimo costruito dai media con la sistematica enfatizzazione delle cose care allo spirito del tempo. Uno sdoppiamento che era già stato sperimentato con il Concilio Vaticano II, come messo a fuoco magistralmente da Benedetto XVI nell’ultimissimo suo incontro col clero di Roma, a dimissioni già annunciate:
> La guerra dei due Concili: il vero e il falso
Un’altra censura imposta quest’anno ai padri sinodali è il divieto di rendere pubblici i testi dei loro interventi, consegnati per iscritto, come richiesto, prima dello scorso 8 settembre. Il divieto è stato comunicato a voce, in apertura del sinodo, dal segretario generale dello stesso, il cardinale Lorenzo Baldisseri. Il motivo addotto è che, una volta consegnati, questi testi diventano di proprietà esclusiva del sinodo. Nei sinodi precedenti non era così. Non solo venivano regolarmente diramate le sintesi di ogni intervento, ma ciascun padre poteva renderne pubblico, se voleva, il testo integrale.
Ciò non impedisce che ciascun padre sinodale, al di fuori dell’aula, possa dire ciò che vuole a chi crede, come già sta accadendo. La sala stampa della Santa Sede ha addirittura varato un suo blog a questo scopo. Ma, di nuovo, l’effetto è di sdoppiare il sinodo, quello tenuto in aula e quell’altro messo in opera fuori le mura.
Infine, una novità di questo sinodo è che le relazioni prima e dopo la discussione, come pure il documento finale, non si tengono più in latino, come sempre in passato, ma in italiano, promosso da papa Francesco a lingua ufficiale.
Dalla gran parte dei padri sinodali, poco ferrati nella lingua di Cicerone, questa novità è stata accolta con sollievo.
Ma per il destino della lingua latina negli atti ufficiali della Chiesa, come pure nella liturgia, il futuro si fa ancor più cupo.
I volenterosi che vogliono reagire a questa malasorte si sono dati un appuntamento a Roma il 7 e 8 novembre presso il “Pontificium Institutum Altioris Latinitatis” della Pontificia Università Salesiana.
Lì converranno da tutto il mondo latinisti di chiarissima fama come Wilfried Stroh, Kurt Smolak, Andrea Sollena, Dirk Sacré, Luigi Miraglia, Antonio Bologna, Özseb Áron Tóth, Gerardo F. Guzmán Ramírez, Mauro Pisini, Miran Sajovic, Daniel Gallagher, Roberto Spataro. Tutti per dissertare, naturalmente in latino, sul rilancio degli studi della latinità.
Il convegno è promosso nel cinquantesimo anniversario della fondazione del “Pontificium Institutum Altioris Latinitatis” da parte di papa Paolo VI, prossimo beato, grande cultore della latinità e della “humanitas”.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/10/08/i-due-sinodi-dentro-le-mura-e-fuori/



SINODO: LA FIACCOLA NON PUO’ ESCLUDERE IL FARO- di GIUSEPPE RUSCONI -www.rossoporpora.org - 8 ottobre 2014

Può la Chiesa essere solo (o in misura predominante) fiaccola invece di essere prima di tutto faro? A una nostra domanda durante il ‘briefing’ di oggi l’arcivescovo argentino Victor Manuel Fernandez ha risposto evidenziando la necessità primaria di essere fiaccola per raggiungere le periferie. Ma la fiaccola è più fragile ed è soggetta più facilmente a spegnersi…e allora cala l’oscurità. Per l’uomo d’oggi, confuso e smarrito, il faro è indispensabile
Poche ore fa. Al briefing quotidiano di mercoledì 8 ottobre in Sala Stampa vaticana hanno partecipato anche monsignor Ignatius Ayau Kaigama, presidente della conferenza episcopale nigeriana e il rettore della Pontificia Universidad Catolica Argentina, l’arcivescovo Victor Manuel Fernandez. Al primo abbiamo posto una domanda sulla neo-colonizzazione culturale dell’Occidente (associata spesso a ricatti di tipo economico) e la risposta è stata chiara e netta, con la riaffermazione dei valori cardine della dottrina sociale della Chiesa in materia di vita e di famiglia. Al secondo, certo conosciuto per l’amicizia personale che da anni lo lega all’attuale Papa e alla sintonia con lui nell’ambito sia teologico che pastorale, abbiamo posto invece una domanda sulla Chiesa che porta luce nel mondo “in termini non tanto di faro quanto di fiaccola” (come aveva detto padre Lombardi, riassumendo i principali contenuti degli interventi del pomeriggio di ieri e della mattinata). Abbiamo chiesto a monsignor Fernandez se, a differenza di un faro, una fiaccola non corra il rischio di spegnersi facilmente, magari per un colpo di vento. Il rettore argentino, dopo aver annotato che “l’immagine non era sua” (in origine è di padre Spadaro, direttore de ‘La Civiltà Cattolica’), ha rilevato che “noi vogliamo che il Vangelo arrivi da tutte le parti (…) Altrimenti resterebbe per alcuni pochi”.
E’ una spiegazione che può suscitare qualche perplessità. Se sfogliamo la grande enciclopedia della De Agostini, alla voce “faro” leggiamo: “Apparecchio di segnalazione luminosa, utilizzato per fornire sicuri punti di riferimento per la navigazione aerea e marittima, generalmente costituito da una sorgente luminosa e da un apparato ottico disposti per i fari marittimi su un’elevata costruzione eretta in punti salienti della costa (…); lume, guida spirituale e morale”. Sul grande vocabolario della lingua italiana Devoto-Oli si legge una definizione analoga, in cui si sottolinea la “posizione ben visibile sulla costa allo scopo di facilitare o guidare la navigazione notturna”; e ancora si fa riferimento alla figura letteraria del “centro di irradiazione di riferimento”.
Per esperienza personale, ad esempio di processioni mariane in serate estive ventose, sappiamo che la fiaccola corre spesso il rischio di spegnersi per colpi di vento o comunque di esaurirsi in un’ora di camminata o poco più.
Inoltre il faro è in alto ed è visibile da tutti, è stabile, è un punto di riferimento sicuro. Certo la fiaccola può spostarsi, anche nelle periferie, ha in sé un dinamismo che il faro non conosce. Ma, se si spegne, cade l’oscurità e non è facile poi ritrovarla per chi cerca la luce.
Per l’uomo del nostro tempo, in cui spesseggiano tenebre di vario tipo, il faro sembra essere più utile della fiaccola (la quale può bene integrare il faro, ma non sostituirlo). L’uomo del nostro tempo, se - in un momento di difficoltà e di confusione - ha bisogno di luce, semplicemente alzando gli occhi può trovare un punto di riferimento nel faro. Più difficilmente in una fiaccola fragile e pellegrina.

Nella nostra società i colpi di vento non mancano. Si può pensare che, affidandosi alla sola fiaccola, si sottrarrebbe all’umanità un appiglio prezioso e sicuro (tanto più prezioso e sicuro oggi, in anni di crisi forte di identità personale), costringendola a rincorrere luci intermittenti, invero in sintonia con la ‘liquidità’ sociale in cui siamo immersi. Il faro indica la strada, illuminandola; la fiaccola simboleggia invece la dimensione dell’andare verso l’altro, specie se debole e emarginato. Una dimensione di cui nessuno mette in dubbio l’importanza. E tuttavia forse è lecito ipotizzare che, a furia di andare e di rincorrere, si rischia di perdere la strada di casa. Si può presumere perciò che i padri sinodali continuino a riflettere sulla necessità della fiaccola, ma anche sull’indispensabilità del faro per la spesso citata salus animarum, questione di cuore e pure di testa.  
http://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/422-sinodo-la-fiaccola-non-puo-escludere-il-faro.html
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Ogni commento a questi pulpiti sedicenti cattolici è superfluo. [RS]
Contrasto all'omofobia e accoglienza delle coppie omosessuali: sono le proposte per il Sinodo sulla famiglia emerse alla conferenza teologica internazionale "Le strade dell'amore" promossa dal Forum europeo di cristiani lgbt e realizzata con il contributo del ministero dell'Istruzione dei Paesi Bassi.
Nell'aula magna della facoltà di teologia valdese, prende parola monsignor Geoffrey Robinson, il vescovo ausiliario della diocesi di Sidney che ha collaborato con il cardinal George Pell (uno degli otto membri della commissione a cui papa Francesco ha affidato il compito di studiare la riforma della Chiesa).
Come cambiare la dottrina della Chiesa cattolica sull'amore omosessuale? "Non vedo possibilità di cambiamento - risponde deciso Robinson - se prima non si compie un cambiamento degli insegnamenti sugli atti eterosessuali, non sarà possibile modificare la dottrina sugli atti omosessuali. Ma abbiamo tutti bisogno di questo cambiamento".
In cattedra sale padre James Alison, teologo e sacerdote cattolico che ha operato molto in Sud America e che ha dedicato alcune pubblicazioni al rapporto tra coscienza cattolica e coscienza gay. "Omosessuali e transessuali - spiega - possono diventare i protagonisti di una nuova evangelizzazione capace di liberarci dal clima di oppressione e di discriminazione che si respira in molte parti del mondo".
Suor Antonietta Potente, teologa domenicana, cerca di aprire altri varchi: "Le persone omosessuali, come altre categorie sociali esiliate dalla Chiesa, non devono tradire la loro differenza". Quale proposta per il Sinodo? "Non chiedete accompagnamento e comprensione - dice Potente - basta con la falsa benevolenza. E' tempo di opporsi ai ruoli definiti della famiglia tradizionale in cui anche le persone omosessuali rischiano di essere intrappolate. Sono stati anni di abusi sulla carne viva delle persone".
La mente va all'impegno di Ferruccio Castellano, un giovane gay cattolico che alla fine degli anni Settanta ha cercato di creare uno spazio di riflessione all'interno della Chiesa per una pastorale con le persone omosessuali. Una storia drammatica, la sua. Finita con un suicidio. Lo ricorda nel suo intervento Letizia Tomassone, coordinatrice della Commissione fede e omosessualità delle Chiese battiste, metodiste e valdesi.
"Negli anni in cui Ferruccio organizzava con don Franco Barbero i primi campi di studio su fede e omosessualità al centro ecumenico Agape, le persone arrivavano vestite in giacca e cravatta. Indossavano insomma una maschera di rispettabilità, per poi cambiare e riapparire nei colori vivaci e gioiosi della loro vita durante la settimana del meeting". Con Tomassone le proposte per il Sinodo si arricchiscono, una volta di più, del contributo delle Chiese protestanti: "Non è la vocazione della Chiesa ad essere il luogo della libertà? Non accontentiamoci delle briciole".
In sala c'è anche Francis DeBernardo, direttore di New Ways Ministry, l'organizzazione americana fondata nel 1977 da suor Jeannine Gramick e padre Robert Nugent per l'accoglienza delle persone omosessuali e transessuali nella Chiesa cattolica. "Se avessi papa Francesco di fronte - confessa DeBernardo - gli direi di ascoltare le storie di amore e di fede che vivono gay e lesbiche cattolici".
"Speriamo in una comunità ecclesiale che voglia conoscere le storie delle tante coppie di omosessuali credenti", spiegano Andrea Rubera e Gianni Geraci, portavoci della conferenza. "Abbiamo raccolto in un documento le nostre proposte per il Sinodo: se la Chiesa cattolica metterà in discussione i propri pregiudizi sull'amore omosessuale potrà liberare davvero tutte le sue potenzialità".

Fonte
http://radiospada.org/2014/10/teologi-cattolici-opporsi-ai-ruoli-definiti-della-famiglia-tradizionale-abusi-sulla-carne-delle-persone/

1 commento:

  1. "se la Chiesa cattolica metterà in discussione i propri pregiudizi sull'amore omosessuale potrà liberare davvero tutte le sue potenzialità".........e non sarà più la chiesa fondata da Nostro Signore Gesù Cristo !!!!!!

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