ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 8 ottobre 2014

Il facilismo

Il Papa contro l’intelligenza

Il pastore dell’essere deve nutrire di spirito l’ascolto sinodale. Ma il facilismo è ambiguo, diffidare dell’intelligenza è ambiguo, la verità è affidata ai piccoli non agli stupidi. Rischi del Vaticano III

Una guardia svizzera saluta il Pontefice dopo la seduta mattinale del sinodo (foto AP)
Ci siamo arrivati, e sarà una sorpresa (di cui non si accorgeranno) per i presunti illuministi che applaudono la chiesa del cristianesimo povero e sentimentale, questi ipocriti che traballano per gola tra l’infame di Voltaire e il sublime del cuore di Francesco. La chiesa in assemblea è invitata formalmente dal Papa (domenica in San Pietro) a diffidare dell’intelligenza, delle idee chiare e distinte. Il dibattito è ascolto, cioè non è dibattito. Lo spazio dello spirito, che a un’assemblea sinodale non si può negare, non si nutre delle proprie ineffabili ragioni e della dicibile ragione umana universale, direi cattolica.
E’ spazio preclusivo della dialettica tra argomenti mentre si dice boriosamente “aperto”, si manifesta nel segreto del cuore, ha qualcosa di magico e sciamanico, almeno per un piccolo razionalista come me. Il sinodo sulla famiglia, ha detto il Papa confermando la nostra vecchia diagnosi, e cioè che si è iniziato un Vaticano III di qualche sorta, durerà in realtà un anno. I questionari hanno integrato lo spirito profetico che ha spinto Francesco, con scelta in sé perfetta, a iniziare da lì, dalle “abitudini dei cristiani”, come dicono i cardinali Kasper e Schönborn: i quali cristiani non si sposano più, se si sposano divorziano come tutti, e sul tributo agli ascendenti (i nonni), sulla filiazione, sulle modalità procreative, sul piacere e sui suoi significati, sulla domesticità della chiesa, sulla sacramentalità delle nozze, su tutto questo (sono cose che fanno ridere il radicale Bordin, ma lui ride radiofonicamente ormai su tutto, anche sul Califfo) vanno dove credono o dove credono di dover andare secondo le “due dittature del nostro tempo: la telecrazia e la demoscopia” (la definizione è nell’omelia per la morte di Paolo VI tenuta dal cardinale Ratzinger tanto tempo fa).

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Nello slittamento verso il facile, il Papa ha anche castigato i pastori della chiesa d’oggi. Perché “caricano sulle spalle della gente pesi insopportabili, che loro non muovono neppure con un dito”. Paolo VI, che sarà beatificato al termine del sinodo, e di cui si dice questo pontefice sia un seguace convinto, si espresse in modo meraviglioso sul cristianesimo facile, alla fine degli anni Sessanta in un’udienza generale del dopoconcilio. Disse che sì, il cristianesimo e la fede devono essere, come da scrittura, un giogo leggero, devono essere facili, ma che nella facilità risiede una radicale ambiguità: e tutto il magistero di quel grande consisteva (e per questo pagò con fiere incomprensioni, di cui sarà degno anche Benedetto XVI) nel discernimento, che è una forma dell’intelligenza, vocata al pari del cuore a capire quale sia la volontà di Dio, quale sia – se preferite – la verità delle cose. Ascoltare i fedeli, affidarsi per intero e senza riserva ecclesiastica o dottrinale o dogmatica al loro senso di fede; accompagnarli, seguirli, imitarli mentre li si consola e gli si offre la chiesa che vogliono, quella che lascia tutto com’è, senza conseguenze etiche né psicologiche: è un approdo che merita il dubbio intellettuale dei laici come noi mentre programmaticamente lo esclude per i tonsurati.

E’ in atto la stessa querelle dei gesuiti del Seicento contro i giansenisti, e contro il loro campione in poetica razionale che fu Blaise Pascal. I gesuiti dicevano che non si può imputare il male se il male non sia ben conosciuto per tale da chi pecca, e c’è una grande probabilità che il peccato non consapevole non sia peccato: sarà il buon pastore che giudica fingendo di non essere autorizzato a giudicare, e dunque legittima  un cristianesimo anonimo (formula rahneriana), ché questo è il vero potere mondano della chiesa e del clero. La derisione di Pascal fu malinconica e tenera, satirica, scrisse testi degni di un Molière, precorritori, era infatti uno scienziato santo che avrebbe respinto il questionario se sollecitato a compilarlo, lo avrebbe giudicato l’altra faccia del formulario cui le monache del convento furono costrette ad aderire prima della rasatura al suolo del loro luogo di vita, di amore e di culto ad opera del re alleato della Compagnia. Non sono cose tanto complesse, e ci riguardano.

Ciu En Lai diceva che è ancora troppo presto per dare un giudizio sulla Rivoluzione francese, ma una cosa la sappiamo: il mondo non è certo eguale, tampoco fraterno, ma è ipoteticamente libero. L’uso di questa libertà della coscienza è insidiato dal pensiero corrente e uniforme. La chiesa e le chiese, cristiane e non cristiane, dovrebbero fare la differenza, complicare le cose con la misura di responsabilità e di scrutinio del vero e del buono che è loro proprio, costitutivamente. Vorrei capire se i padri, non solo i reverendi padri gesuiti che oggi hanno in mano la chiesa, ma tutti i padri sinodali, si rendano conto del peso che avrà la loro assemblea nata sotto il segno, al culmine rovesciato di due santissimi e laicissimi pontificati in alleanza tra fede e ragione, della diffidenza verso l’intelligere.
http://www.ilfoglio.it/articoli/v/121632/rubriche/sinodo-famiglia-papa-francesco-contro-lintelligenza.htm

Lettere al Direttore

I media sinodali, camminano insieme. E dicono banalità

Al direttore -  “It’s better to burn out, that to fade away”. Così stava scritto sul biglietto di addio di Kurt Kobane, prima di suicidarsi nelle mani del Califfo. 
Maurizio Crippa

Al direttore - Nel discorso al clero di Roma del 14 febbraio 2013, Benedetto XVI parlò di un “concilio virtuale”, cioè del concilio dei mezzi di comunicazione, addirittura più forte di quello reale, che “ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie…”. A distanza di mezzo secolo la musica, a quanto pare, non è cambiata. Anche ora infatti è all’opera un “sinodo virtuale” con lo stesso obiettivo di allora: condizionare la discussione, le scelte e la ricezione dei lavori sinodali dentro e fuori la chiesa. Anzi, si può dire che il “sinodo virtuale” di oggi altro non è se non la prosecuzione con altri mezzi del “concilio virtuale” di ieri di cui parlava Ratzinger. Il refrain è lo stesso: i tempi sono cambiati, la chiesa deve adeguarsi ai tempi andando incontro all’uomo contemporaneo. Il che per il teologo (post) cattolico Vito Mancuso e quanti si riconoscono nella sua posizione significa una cosa molto semplice: “I padri sinodali sono chiamati a prendere atto del fatto che la morale ufficiale della chiesa cattolica in ambito sessuale e familiare è ormai una ‘caricatura’”; e che quindi, “chi oggi sostiene ancora il no ai sacramenti per divorziati risposati, il no alla contraccezione, il no ai rapporti prematrimoniali, il no alla benedizione delle coppie gay, è fuori dal mondo nel senso che non ne capisce l’evoluzione”. Dunque secondo costoro è l’evoluzione che conta, il sapersi adattare alla scena cangiante del mondo. Senza una verità, senza più bene e male, senza peccato e redenzione. Una chiesa ridotta a bioparco. 
Luca Del Pozzo

Diciamo la verità: la postura dottrinale cattolica in merito alla vita d’oggi è intenibile. Su questo non sbagliano nemmeno i media corrivi. Però è proprio per questa alterità che la chiesa e la fede sono cosa preziosa. Anche per chi ne è fuori, ciò che i laici e i liberali andanti non hanno mai capito. Comunque scrivono che i divorziati sono nel seno della chiesa e le coppie di fatto in odore di santità: è appena ovvio, sono banalità, la comunione spirituale è fuori discussione anche per gli assassini, figuriamoci, e la santità ha la sua prima radice nell’occasione di peccato, nella tentazione.

Al direttore - Sono sempre di grande interesse la profondità e la padronanza con le quali Ella affronta i momenti più complessi e tormentati della vita della chiesa. Da ultimo, tuttavia, il titolo del commento dell’Elefantino “Il Papa contro l’intelligenza”( il Foglio del 7 ottobre) è un po’ forzato, poiché appare difficile sostenere che il Pontefice che nella prima giornata del Sinodo ha fatto appello alla necessità, per tutti, della “parresia” – non dell’ascolto, bensì del parlare chiaro, del fare scorrere ogni cosa – possa essere anche il Pastore che programmaticamente nutre diffidenza verso l’intelligere. Il contrasto tra i due sentimenti è evidente, a meno che non si voglia ritenere l’invito perentorio a parlare con franchezza e a esporre la verità che a ciascuno sembra essere tale come subordinato a una priorità, che sarebbe l’ascolto, non il dibattito. Ma non credo che così si sia nel giusto. In ogni caso, quello dell’Elefantino resta pur sempre un nuovo stimolo a discutere di una materia assai delicata (e non solo a leggere o ad ascoltare, come faccio con questa lettera).
Angelo De Mattia

Paradossale, il titolo, ma non sbagliato, caro De Mattia. Il Papa chiede si dia libero corso alla lingua dello spirito, ma quella delle idee chiare e distinte, lo ha detto il giorno prima, la sconsiglia vivamente.

Al direttore - Forse non se ne sentiva il bisogno ma il buon Matteo ha (quasi) compiuto l’opera: dopo il discorso di Assisi, manca solo l’ufficializzazione e il presidente del Consiglio potrà fregiarsi (anche) del titolo di patrono/restauratore d’Italia. Per il titolo di santo, invece, pare manchi solo un miracolo: la Santa Sede ha già fatto sapere che la resurrezione dell’Amor Nostro non vale. Con stima (e rispetto massimo per il Soglio petrino).
Massimiliano Perri

Al direttore - Un boy scout di ferro, magnifico sarebbe. Anche fosse li lega leggera, andrebbe bene. Basta che rimetta i sindacati al loro posto, posto che non hanno mai occupato, e diventerà uno statista coi fiocchi.
Mario Solcioni

Il ragazzo ci deluderà, sempre il fanciullo delude, Mozart a parte. Il potere delude. Ma se stiamo qui a grattarci con le delusioni future, addio core, come si dice a Roma. Si constati: è un bel tipaccio.

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