ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 20 ottobre 2014

La Relatio Synodi, ovvero il Manifesto della Nuova Chiesa

La nuova Chiesa ha confezionato un Manifesto che riassume in modo mirabile la “filosofia”, la morale, le idee, l’orizzonte culturale e speculativo mediaticamente diffusi e già fatti propri dalla società del terzo millennio, con la quale viene a sottoscrivere così anche ufficialmente l’atteso Concordato. Con sagace pragmatismo utilizza e ratifica, per il manufatto, anche un lessico adeguato all’operazione: quel nuovo esperanto psico-sociologese già da tempo adottato in parrocchia e in vescovado, funzionale alla omologazione al nuovo mondo globale e alla sua rassicurante indigenza culturale.

di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani
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zzcchbrglOvviamente il linguaggio è il carro su cui si trasportano le idee. E queste, che sono poche, senza luce di pensiero e quindi senza speranza di produrre alcunché di buono, segnano perfettamente il cammino suicidario della società e di questa Chiesa mimetica.
Il repertorio lessicale è quello ormai famigliare in ogni ambiente sacro e profano, ispirato alle rubriche dei rotocalchi di costume: una gamma di parole e di proposizioni limitatissima, che tradisce pateticamente la sottostante vacuità di concetti.
In pole position c’è l’amore, evocato ovunque compulsivamente per ogni uso di cucina e diventato come l’araba fenice che “dove sia ciascun lo dice cosa sia nessun lo sa”. Anche se, a ben pensare, si sa benissimo che vuole essere soltanto la grande panacea da offrire come alibi sicuro per legittimare ogni azione e ogni scelta, e come criterio utile ad assicurare a tutti l’impunità.

Poi ci sono le emozioni, figlie naturali dell’amore (che, ottenendo rilevanza giuridica, hanno  seppellito il diritto), ci sono l’incontro e il confronto, il dialogo, la relazione, l’affettività, diritti vari e i suoi succedanei, le aspettative, la creatività, la accoglienza, la immancabile solidarietà moderna che riassume in una parola il definitivo passaggio dalla fraternità cristiana alla fraternitè giacobina.
Il tutto a comporre la paccottiglia di un patetico prestigiatore senza talento, ma con pretese di grande illusionismo. Vale a dire, le “sfide” della nuova chiesa.
Alla fine della sfiancante lettura, ci si convince che non vale neppure la pena di rilevare punto per punto tutte le pieghe e gli eufemismi mielosi in cui si mimetizzano chiarissime intenzioni sovversive, un vertiginoso vuoto intellettuale e spirituale, una stupefacente dismissione di responsabilità. C’è un passaggio iniziale che anticipa e riassume tutto il resto. Perché, al di là della  cortina presuntamente fumogena delle circonlocuzioni, al di là del tentativo miserando di lanciare il sasso (o più spesso il macigno) e di nascondere la fionda per non svegliare di colpo chi è in dormiveglia, ci sono pochi iceberg che emergono nel mare delle cose inutili e ovvie. E l’ovvietà spacciata per novità serve a mascherare il tradimento dottrinale calato, appunto, nel recipiente delle cose ovvie. Una operazione troppo arrogante e maldestra per non palesare la sua devastante ottusità.
Il programma esposto nella Relatio Synodi è compendiato al suo numero 9, dove si dice che “la sfida per la Chiesa è di aiutare le coppie nella maturazione della dimensione emozionale e nello sviluppo affettivo attraverso la promozione del dialogo, della virtù e della fiducia nell’amore misericordioso di Dio”. Tutto ciò perché si riscontra “nei singoli un maggiore bisogno di prendersi cura della propria persona, di conoscersi interiormente, di vivere meglio in sintonia con le proprie emozioni e i propri sentimenti, di cercare relazioni affettive di qualità” e “tale giusta aspirazione può aprire al desiderio di impegnarsi nel costruire relazioni di donazione e reciprocità creative, responsabilizzanti e solidali come quelle familiari”.
L’ecclesialese – come si vede – ha coperto il vuoto della Fede, così come lo psicologese sociologico copre il vuoto delle idee e della cultura.
Sinora esso era riservato agli strati medio-bassi del mondo clericale, perché la gerarchia aveva mantenuto a lungo – sia pure già adattato alla banalizzazione del linguaggio conciliare – un profilo linguistico che rispettava almeno la tradizione intellettuale e culturale della Chiesa. Del resto, la cultura dei papi imponeva anche all’alto clero uno stile tendenzialmente corrispondente alla oggettività del messaggio cristiano. Con questo documento si supera finalmente ogni resistenza alla lingua del mondo e si suggella coi codici della comunicazione l’abbraccio col secolo.
La nuova dottrina mostra dunque qui i suoi capisaldi:
  • Ogni convivenza diversa dal matrimonio sacramentale, contenendo “elementi positivi” e “costruttivi”, merita una particolare valorizzazione, anche tenuto conto del dato statistico (ossia: la quantità fa la qualità). La chiesa riconosce che la grazia di Dio opera anche in esse. Così, il peccato viene definitivamente archiviato (25, 27, 41) e, d’un tratto, tutto ciò che è reale non soltanto è razionale, ma è anche intrinsecamente buono. Si superano in un colpo sia Hegel sia Woody Allen (secondo il quale “ogni rovescio ha la sua medaglia”).
  • Pari valorizzazione è riconosciuta ai matrimoni contratti secondo altre religioni. L’ecumenismo religioso diventa anche ecumenismo dell’etica matrimoniale. Sulla scia del decreto conciliare “Ad gentes” che, confondendo, come dice Amerio, la religione con la civiltà, insegnava: “tutti gli elementi di verità e di grazia reperibili tra gli infedeli per una…presenza segreta di Dio, purgati che siano dalle scorie del male, vengono restituiti al loro autore Cristo”. Dunque, in attesa della poligamia, sono intanto istituiti i matrimoni di seconda fascia.
  • A dispetto dell’apparente dislocazione del problema omosessuale nell’ambito della accoglienza caritatevole (55), la accettazione e la benedizione delle unioni relative avviene attraverso la promozione indiscriminata dei succedanei del matrimonio. E infatti, recepito l’incoraggiamento ecclesiale, tanto forte nella relatio intermedia, il sindaco di Roma si affretta a pavoneggiarsi in Campidoglio con gli “sposi” omosessuali e la loro acquisita prole.
Il perno della nuova prospettiva dottrinale è quindi, incontestabilmente, l’amore. Esso finisce anzi per fondare una nuova figura istituzionale in grado di assorbire ogni tipo di unione su base sessuale. Tanto che, riguardo al pericolo di cedere alla tentazione celibataria, la chiesa assicura il proprio impegno ad aiutare tutti ad accoppiarsi (in attesa di maggiori allargamenti), non importa chi, non importa come, basta – appunto – che ci sia l’amore.
Funzionali agli obiettivi di queste “scelte pastorali coraggiose” sono: l'”arte dell’accompagnamento” cui la chiesa dovrà istruire i suoi membri siano essi sacerdoti, religiosi o laici (come insegna l’Evangelii Gaudium), il “dialogo pastorale” e l'”attenzione pastorale misericordiosa e incoraggiante”, il “radicale rinnovamento della prassi pastorale” nell’intraprendere “cammini pastorali nuovi”, che – attenzione – devono essere “cammini personalizzati” (un po’ come uno ha il personal trainer).
Del resto, la nuova chiesa si dimostra esperta in scienze economiche e sociali, attenta alla fiscalità, alla disoccupazione giovanile, alla stabilità lavorativa (“lavoro e salario fisso”), a tutti quegli ostacoli di ordine materiale che impediscono i matrimoni (ma non le convivenze) e inaspettatamente, chissà perché, favoriscono pure i divorzi (vedi per esteso al n. 8)!
Non si manca, infine, di rivolgere un pensiero residuale alle coppie fedeli al matrimonio sacramentale, già inserite nella teca delle specie in via di estinzione. I Padri Sinodali sentitamente le ringraziano.
Qui l’esito della menzione è involontariamente comico. Perché l’umorismo rimane estraneo alla ottusità della arroganza, specie quando essa si riveste senza pudore della pelle dell’agnello.

 –  di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani



Redazione
http://www.riscossacristiana.it/la-relatio-synodi-ovvero-il-manifesto-della-nuova-chiesa-di-elisabetta-frezza-patrizia-fermani/

Relatio Synodi: verità dimezzate…

La Relatio Synodi pur non presentando errori, non ribadisce la verità tutta intera ma, anzi, cerca di annacquarla.
di Federico Catani
relatio-synodi-cover-655x1024Che la Relazione finale del Sinodo straordinario sulla famiglia sia migliore di quella elaborata dopo la prima settimana di discussioni è indubbio. Tuttavia, bisogna evitare i facili entusiasmi. Il testo, infatti, pur non presentando errori, non ribadisce la verità tutta intera ma, anzi, cerca di annacquarla. In effetti, la Relatio fa aperture che, come nota compiaciuto Andrea Tornielli su Vatican Insider , solo qualche anno fa sarebbero sembrate impensabili.
Prendiamo per esempio i paragrafi 52 e 53. In essi si affronta il tema dell’accesso all’Eucaristia dei divorziati risposati: senza prendere alcuna decisione, si lascia aperto il dibattito, in vista, evidentemente, del Sinodo ordinario dell’anno prossimo. È però inquietante veder spalancare la porta a ipotesi che, secondo il Magistero della Chiesa, avrebbero dovuto essere definitivamente chiuse.
Nel 1994, la Congregazione per la dottrina della fede emanò una lettera ai vescovi “Circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati”. L’allora card. Ratzinger, con l’approvazione di S. Giovanni Paolo II, ricordava (al n. 5) che il divieto di dare la Comunione a questa categoria di fedeli è da considerarsi prassi vincolante, così come lasciato intendere dall’Esortazione Apostolica Familiaris consortio (1981). Perché, a vent’anni di distanza, i vescovi continuano ad interrogarsi sulla validità o meno di questa disciplina? La morale può cambiare nel tempo? E la dottrina sui sacramenti? Non stupisce allora che tali paragrafi non abbiano raggiunto i 2/3 dei placet.
Altro punto che non ha conseguito la maggioranza qualificata è il n. 55, in cui si affronta il tema dell’omosessualità. Tornielli nota con studiato disappunto che tale paragrafo riprende semplicemente il Catechismo e un documento del Sant’Uffizio: come è mai possibile allora – sembra chiedersi – che non sia stato approvato? La risposta potrebbe essere questa. Leggendo bene il testo, infatti, ci accorgiamo che parla solo del rispetto dovuto agli omosessuali. Certo, è doveroso accogliere e amare le persone, e pure ricordare che le tendenze non sono peccati. Ma, come Tornielli sa bene, il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 2357, definisce gli atti omosessuali «intrinsecamente disordinati», che «in nessun caso possono essere approvati» (nemmeno se due stanno insieme da 30 anni: qualcuno lo spieghi al cardinale Marx!). Tutto ciò è stato ribadito pure dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 2003, con le “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” (al n. 4: lo stesso paragrafo citato dalla Relatio!). Perché non lo si è ribadito? I testi del Magistero vanno letti e citati nella loro interezza, senza subdole omissioni! Evidentemente, però, l’omosessualità praticata non è più considerata un peccato. E allora non si capisce perché mai le unioni gay non possano essere assolutamente assimilabili al matrimonio e alla famiglia. Visto il clima culturale in cui ci troviamo, e date le parole in libertà sbattute in prima pagina in questi giorni di Sinodo, ci si sarebbe aspettata maggiore chiarezza. E magari anche più coraggio. Ne vien fuori, invece, un enorme pasticcio, che lascia delusi. È questa la risposta che i nostri pastori vogliono dare all’aggressiva e ormai onnipervasiva ideologia omosessualista? È così che la Chiesa aiuta gli omosessuali che si sforzano di vivere in castità? È in tal modo che i vescovi incoraggiano quanti lottano a difesa della famiglia naturale, subendo insulti e attacchi anche fisici?
Le omissioni e il linguaggio ambiguo non sono utili per la salvezza delle anime. Non rendono la Chiesa profetica e faro di luce per chi brancola nel buio. Né tanto meno riflettono il “sì, sì, no, no” evangelico. Abbiamo bisogno di verità e di ordine. Non di ipocrisia e confusione.
© Libertà e Persona (20/10/2014)

 Il Sinodo sulla famiglia si scorda l’aborto  –  di Marisa Orecchia

Redazione
Che l’aborto non dovesse essere un’ossessione lo sapevamo già. Papa Bergoglio ce lo aveva  detto a chiare lettere nel corso della lunga intervista rilasciata  l’estate dello scorso anno al direttore di Civiltà Cattolica  padre Antonio Spadaro. Nessuna  sorpresa perciò che i Padri sinodali si siano adeguati  e che nella lunga relazione finale al Sinodo sulla famiglia  la parola aborto non venga scritta neppure una volta. Nessuna sorpresa, ma sconcerto sì e anche tanta amarezza.
di Marisa Orecchia
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Marcia per la vita- movimenti anti abortistiE’ mai possibile, vien da chiedersi, che in una relazione riassuntiva di due settimane di lavori, di discussioni, di confronti, anche  duri a leggere certi report, i Padri sinodali, nel quadro tracciato sulla famiglia, nel quale hanno preso in  esame  tutte le magagne della stessa e le relative sfide  che porta  alla Chiesa, passando per le  separazioni, il divorzio, le convivenze, la carenza   della preparazione al matrimonio, le coppie omosessuali etc., abbiano tralasciato il tema dell’aborto volontario?
Eppure l’aborto volontario è uno dei grandi distruttori della pace, come diceva madre Teresa di Calcutta,   e della famiglia.  Non si costruisce la pace in famiglia  quando  non si accoglie la vita e il figlio viene rifiutato. L’aborto apre nella  coppia una  ferita dolorosa  che  non raramente porta alla divisione. E molto spesso è anche causa di dolorose fratture  tra la figlia  incinta e i genitori  che  l’hanno indirizzata  ad  abortire.
Nel mondo  si contano  circa  cinquanta milioni di aborti all’anno – cifra che non comprende  quelli  effettuati  con pillole  del giorno dopo, con EllaOne  e con  altrettanti  abortivi spacciati per contraccettivi – ma il Sinodo per la Famiglia di ciò non fa parola. Le grandi emergenze per gli Uomini della Chiesa  sono evidentemente altre.
Vengono giustamente sottolineati i problemi legati alle nascite fuori del matrimonio,  i traumi che i bambini subiscono  a causa delle divisioni  familiari, delle lacerazioni  del divorzio, dello sfruttamento sessuale (n.8). Di quelli che vengono uccisi nel grembo materno nulla.
La relazione finale avanza  nel suo  quadro sociologico sulle cause  della crisi  che  attanaglia la  famiglia e destabilizza la coppia, sottolineando la diffusione della pornografia, la commercializzazione  del corpo, la prostituzione, fino   a denunciare il calo demografico che  mette a rischio l’avvicendarsi  delle generazioni e conduce alla povertà (n.10).
Dell’aborto ancora nulla.
 Si va avanti con la speranza  che qualcosa in proposito  verrà  infine detto e  si arriva  al numero  57  che titola “ la trasmissione della vita e la sfida  della  natalità”.
Qui, si spera, qualcosa diranno, anche se l’aborto non solo e non tanto attiene a problemi  di ordine  demografico, ma andrebbe  rubricato sotto  l’argomento “ peccato”, di cui per altro, nella melassa  della misericordia  che  ricopre  come una glassa tutta la relazione  finale, non si vede traccia.
Ma neppure qui, al 57, praticamente alla fine della Relazione, si dice nulla: le cause della denatalità sono da individuare nei fattori di ordine economico.  E con ciò si contraddice  anche  tutta la storia dell’umanità che da sempre ha messo al mondo i suoi figli in condizioni economiche tutt’altro  che favorevoli, fra guerre, carestie e pestilenze, ma  nella  certezza di un senso  e nella speranza di una Provvidenza che non abbandona.

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