ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 22 ottobre 2014

Lo spettacolo continua ?

Das Drama geht weiter! Verso il sinodo del 2015



Verso il sinodo del 2015(di Roberto de Mattei) «Das Drama geht weiter!» (Lo spettacolo continua) ha dichiarato in un’intervista il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera (“La Repubblica”, 20 ottobre 2014). Lo spettacolo è quello del Sinodo dei Vescovi, che ha visto un imprevisto colpo di scena svolgersi in aula.
La Relatio post disceptationem presentata il 13 ottobre, malgrado i rimaneggiamenti a cui è stata sottoposta, non ha ottenuto l’attesa maggioranza dei due terzi sui due nodi cruciali: l’accesso alla comunione dei divorziati risposati e l’apertura alle coppie omosessuali, attestandosi a 104 favorevoli e 74 contrari sul primo punto e a 118 placet e 62 non placet sul secondo. Malgrado l’evidente débâcle il cardinale Marx, che è uno dei più accesi esponenti dell’ala progressista, si è detto soddisfatto, perché il processo rivoluzionario è fatto di tappe successive. Su alcuni temi, ha spiegato, «abbiamo fatto due passi avanti e poi uno indietro».
L’arretramento però è stato imposto da una resistenza dei Padri sinodali, ben più ampia del previsto. Per comprendere la portata dell’evento si può ricordare che al Concilio Vaticano II, malgrado l’aspro dibattito in aula, i documenti più contestati, come la Dignitatis Humanae e laNostra Aetate, vennero approvati con 2.308 voti contro 70 il primo e 2.221 contro 88 il secondo. Se allora si parlò di consenso maggioritario, oggi la spaccatura è evidente.
La Chiesa è oggi un campo di battaglia, come tante volte lo è stata, da Nicea al Vaticano II, dove si sono sempre scontrati non conservatori e progressisti, ma i cattolici che non vogliono toccare uno iota del deposito divino e coloro che in questo deposito vogliono introdurre delle novità. La frase di papa Francesco secondo cui «Dio non teme ciò che è nuovo» va intesa in un senso diverso da quello che ha voluto attribuirgli il Pontefice: può solo voler dire che Dio non ha timore dei “novatores”, ne distrugge l’opera e affida il compito di sconfiggerli ai difensori del Magistero immutabile della Chiesa.
In campo di fede e di morale ogni eccezione introduce una regola e ogni nuova regola apre la strada ad un sistema normativo che capovolge l’antico. La novità ha una portata rivoluzionaria che va colta nel suo momento embrionale. Il cardinale George Pell, in un’intervista televisiva al “Catholic New Service”, ha definito la richiesta della comunione ai divorziati come un cavallo di Troia che apre la strada al riconoscimento delle unioni omosessuali.
Il numero dei divorziati risposati che chiedono di ricevere la comunione è infatti irrilevante. Ciò che è in gioco è ben altro: è l’accettazione da parte della Chiesa dell’omosessualità, considerata non come un peccato o come una tendenza disordinata, ma come una “tensione” positiva verso il bene, degna di accoglienza pastorale e di protezione giuridica. I cardinali Marx e Schönborn sono stati chiari a questo proposito e il segretario aggiunto del Sinodo mons. Bruno Forte, allievo della scuola ereticale di Tubinga, ne ha eseguito i desiderata, rivelandosi come l’autore dei passaggi più scabrosi della prima Relatio.
La larga maggioranza dei padre sinodali ha respinto i paragrafi scandalosi, ma ciò che la dottrina non ammette viene ammesso dalla prassi, in attesa di essere sancito da un prossimo Sinodo. Per molti laici, sacerdoti e vescovi, l’omosessualità può essere praticata, anche se non accolta di diritto, perché non rappresenta un peccato grave. Ciò si collega alla questione delle convivenze extra-matrimoniali. Se la sessualità fuori del matrimonio non è un peccato grave, ma un valore positivo, purché si esprima in maniera stabile e sincera, essa merita di essere benedetta dal sacerdote e legalizzata dallo Stato. Se è un valore, è anche un diritto, e se esiste il diritto alla sessualità, il passo dalla convivenza dei divorziati al matrimonio omosessuale è inevitabile.
Il Magistero dottrinale della Chiesa, che non ha mai variato nel corso di duemila anni, insegna che la pratica dell’omosessualità va considerata come un vizio contro natura, che provoca non solo la dannazione eterna degli individui, ma anche la rovina morale della società. Le parole di Sant’Agostino nelle Confessioni riassumono il pensiero dei Padri: «I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono essere condannati e puniti ovunque e sempre. Quand’anche tutti gli uomini li commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina» (Confessioni, c. III, p. 8).
I Pastori della Chiesa nel corso dei secoli hanno raccolto e ritrasmesso questo insegnamento perenne. Perciò la morale cristiana ha sempre condannato l’omosessualità, senza riserve, e ha stabilito che questo vizio non può pretendere a nessun titolo di venire legalizzato dall’ordinamento giuridico né promosso dal potere politico. Quando nel 1994 il Parlamento Europeo votò la sua prima risoluzione a favore del pseudo-matrimonio omosessuale, Giovanni Paolo II nel suo discorso del 20 febbraio 1994 ribadì che «non è moralmente ammissibile l’approvazione giuridica della pratica omosessuale. (…) Con la risoluzione del Parlamento Europeo, si è chiesto di legittimare un disordine morale. Il parlamento ha conferito indebitamente un valore istituzionale a comportamenti devianti, non conformi al piano di Dio. (…) Dimenticando la parola di Cristo – “la Verità vi farà liberi” (Gv 8, 32) – si è cercato di indicare agli abitanti del nostro continente il male morale, la deviazione, una certa schiavitù, come via di liberazione, falsificando l’essenza stessa della famiglia».
Una crepa in questo edificio dottrinale si è aperta il 28 luglio 2013, quando sul volo di ritorno dal Brasile, papa Francesco pronunciò le esplosive parole: «chi sono io per giudicare!» destinate da allora ad essere utilizzate per giustificare ogni trasgressione. Il giudizio, con la conseguente definizione delle verità e condanna degli errori, compete per eccellenza al Vicario di Cristo, supremo custode e giudice della fede e della morale.
Richiamandosi alle parole di Francesco, alcuni vescovi e cardinali, dentro e fuori l’aula sinodale, hanno espresso la richiesta di cogliere gli aspetti positivi dell’unione contro natura. Ma se uno tra i più gravi peccati cessa di essere tale, è il concetto stesso di peccato che viene meno e riaffiora quella concezione luterana della misericordia che è stata anatemizzata dal Concilio di Trento. Nei canoni sulla giustificazione promulgati il 13 gennaio 1547 si legge: «Se qualcuno afferma che la fede che giustifica non è altro che la fiducia nella divina misericordia» (can. 12); «che Dio ha dato agli uomini Gesù Cristo come redentore in cui confidare e non anche come legislatore cui obbedire» (can. 21); «che non vi è alcun peccato mortale, se non quello della mancanza di fede» (can. 27), «sia anatema».
Si tratta di temi teologici che hanno una ricaduta sociale e che anche i laici hanno il diritto e il dovere di affrontare, mentre si avvicina non solo il Sinodo del 2015ma quel 2017 che vede il quinto centenario della Rivoluzione di Lutero e il primo delle apparizioni di Fatima.Ciò che è in corso non è uno spettacolo giocoso, come lascia intendere il cardinale Marx, ma un duro conflitto, che coinvolge il Cielo e la terra. Gli ultimi atti saranno drammatici, ma l’epilogo certamente trionfante, secondo la divina promessa, confermata dalla Madonna alla Cova da Iria nel 1917.
Che l’Immacolata si degni concedere una perseverante purezza di pensieri e di azioni a tutti coloro che nel calore della lotta difendono con coraggio l’integrità della fede cattolica. (Roberto de Mattei)

Ombre inquietanti sulla Relatio Synodi


Relatio Synodi(di Tommaso Scandroglio) La Relatio Synodi della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi presenta sicuramente delle luci, ma accanto queste non mancano ampie zone d’ombra. Concentriamo la nostra attenzione su ciò che dice il documento sinodale in merito a coloro i quali hanno contratto il solo matrimonio civile, ai divorziati risposati e ai conviventi.
Al n. 25 leggiamo: «In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nelle loro vite e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro. Seguendo lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; Gaudium et Spes, 22) la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altra, ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano». In questa sezione vi sono almeno due passaggi che fanno problema.
I padri sinodali ci dicono che «la grazia di Dio opera» anche nelle vite di queste persone che vivono condizioni gravemente illecite sotto il profilo morale. Con buona probabilità queste persone vivono in stato di peccato mortale (posto che naturalmente sussistano anche la condizione di piena avvertenza e deliberato consenso). Ora Tommaso D’Aquino – e tutta la tradizione dottrinale – ci insegna che «chi è in peccato mortale è privo della grazia di Dio» (In 4 Sent. d. 16, q. 2, a. 1, sol. 3). Vero è che Dio non cessa di prendersi cura di costoro per farli “tornare all’ovile”, ma asserire che vivono in grazia di Dio è scorretto. Infatti una cosa è l’azione salvifica di Dio che agisce dal di fuori a beneficio della persona, un’altra è la condizione interiore di quest’ultima che se non accetta l’azione di grazia divina ne rimane ovviamente esclusa.
Altro passaggio non proprio limpido: la grazia di Dio aiuterebbe i conviventi, i coniugi non stretti da vincolo sacramentale e i divorziati risposati a «prendersi cura con amore l’uno dell’altra». Non si comprende come Dio possa incoraggiare l’“amore” dei conviventi, delle persone sposate solo civilmente e dei divorziati risposati, perché significherebbe che Dio vuole confermare uno stato di vita gravemente immorale, rinsaldare un rapporto che ai suoi occhi è intrinsecamente disordinato.
C’è chi però obbietta che da una parte queste persone vivono sì una situazione irregolare – aspetto negativo – però su altro fronte – aspetto positivo – si vogliono bene, si amano. Valorizziamo dunque almeno questo fattore positivo. Risposta: purtroppo quel bene del “volersi bene” inserito in un contesto di peccato diventa malum. Quell’amore non è tale, non è autentico. Ciò appare evidentissimo nel caso dei divorziarti risposati: qui il Sinodo incoraggerebbe ad amare l’altra persona che non è il proprio coniuge e quindi incoraggerebbe l’adulterio.
Infine il n. 45, in merito a separazioni e divorzi, così si esprime: «i Padri sinodali hanno avvertito l’urgenza di cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari, sapendo che esse, spesso, sono più ‘subite’ con sofferenza che scelte in piena libertà». Limitandoci alla realtà italiana però le cose pare che stiano in modo differente. Secondo un report dell’Istat del 2012 i primi tre motivi per cui un matrimonio va a gambe all’aria sono: la routine quotidiana (40%), il tradimento (30%) e l’ingerenza dei suoceri (20%). Forse a parte l’ultimo motivo, le altre motivazioni che portano alla tomba il matrimonio rimandano a scelte fatte in piena libertà e consapevolezza dai coniugi e non a calamità “naturali” che si abbattono sulla coppia annientandola contro la loro volontà. (Tommaso Scandroglio)
http://www.corrispondenzaromana.it/ombre-inquietanti-sulla-relatio-synodi/

Io, il Sinodo e Papa Francesco. Parla il cardinale Muller

Io, il Sinodo e Papa Francesco. Parla il cardinale Muller

C’era grande attesa per la presentazione del libro-intervista del cardinale Gerhard Ludwig Muller (“La speranza della famiglia”, Edizioni Ares) organizzata ieri presso l’Università Europea di Roma. Tanta gente accorsa per ascoltare le parole di colui che ha definito la prima relazione del Sinodo elaborata dal cardinale ungherese Erdo come “vergognosa”. Ma, soprattutto, colui che domenica, insieme al cardinale americano Raymond Leo Burke, si sarebbe rifiutato di salutare Papa Francesco al termine della messa di beatificazione di Paolo Vi in segno di protesta contro l’attuale pontefice. Un avvenimento, quest’ultimo, prontamente smentito dal porporato tedesco a margine della tavola rotonda.
Matrimonio tra uomo e donna
Nel corso del suo brevissimo intervento, all’inizio del quale si è presentato come il “custode chiamato a tutelare la sacra e sana dottrina”, Muller non ha fatto alcun riferimento al mancato saluto con il Papa e, soprattutto, alle vicende del Sinodo. Si è infatti limitato a ricordare come “senza fede non si possa celebrare un matrimonio sacramentale” e come la famiglia, composta da uomo e donna, sia “la cellula originaria della vita della Chiesa e della società”.
Nessuna polemica con Papa Francesco
Ma è proprio a margine dell’incontro che il cardinale Muller, in una conversazione con Andrea Tornielli di Vatican Insider, è stato costretto a smentire i suoi contrasti con Papa Francesco, definendoli come vere e proprie “falsità”. Ma allora perché il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede non ha salutato domenica scorsa il successore di Benedetto XVI? “Il Papa ha salutato soltanto alcuni di noi, quelli che stavano nelle prime file”- ha detto Muller –“Io stavo più indietro e comunque avevo parlato con lui già il giorno prima”.
L’esperienza di una mamma
E’ arrivata in ritardo rispetto all’inizio della tavola rotonda adducendo come giustificazione quella di essere una mamma (“Dovevo portare i figli a danza e tennis e preparare la cena”) maCostanza Miriano, giornalista e autrice di alcuni libri che sono presto divenuti dei veri e propri casi editoriali, non ha mancato di criticare la Chiesa. “Mi sarei aspettata, da questo Sinodo, una maggiore attenzione per i bambini: sono loro le prime vittime della separazione dei genitori. Loro, infatti, non possono scegliere”. E non è mancata neppure una “stoccata” verso gli omosessuali: “Si parla tanto di diritti dei figli degli omosessuali. Ma il loro primo diritto è quello di avere un padre ed una madre”.
L’elogio del cardinale Muller
E’ spettato a monsignor Livio Melina, presidente del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli Studi sul matrimonio e la Famiglia, il compito di “difendere” il porporato tedesco ed elogiarne le sue idee, tanto da arrivare a definirlo come “una bussola certificata che indica il nord”. Dopo aver espresso “ammirazione e gratitudine per il coraggio mostrato da Muller in questi giorni e in questi mesi”, Melina ha stigmatizzato i numerosi “tentativi di andare oltre all’indissolubilità del matrimonio” che rischiano di diventare “tentativi che regrediscono nella casuistica degli scribi e dei farisei”. E non è mancata poi una critica verso il Sinodo, accusato di aver cercato, in alcuni momenti, di “introdurre novità pastorali senza modificare la dottrina. Pastorale e dottrina, infatti, sono due cose inscindibili”.
In difesa della vita e della famiglia
La chiusura della tavola rotonda è stata affidata a monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara, che è stato introdotto dal moderatore dell’incontro, il direttore di Zenit Antonio Gaspari, con queste parole: “dove c’è da lottare per la vita e per la famiglia, lui c’è”. Anche monsignor Negri ha elogiato il libro di Muller, definendolo “intenso, profondo e propositivo del futuro”, per poi sottolineare come la crisi della famiglia sia “la crisi dell’uomo, dal momento che assistiamo ad una polverizzazione della vita”. Cosa deve fare quindi la Chiesa dinanzi a questa crisi? La ricetta di monsignor Negri è una sola: “Noi, come popolo di Dio, abbiamo bisogno che la Chiesa riacquisti al più presto la sua responsabilità educativa”.






22 - 10 - 2014Fabrizio Anselmo


http://www.formiche.net/2014/10/22/sinodo-papa-muller/

Il sinodo è lo specchio della nuova Chiesa di Francesco

di Francesco Peloso
Da pletorico organismo consultivo a vero luogo di discussione - anche sui temi più scomodi: con Bergoglio questa assise diventa centrale. Il ridimensionamento della Congregazione per la dottrina della fede.


[Carta di Laura Canali, per ingrandire clicca sull'immagine]
Il sinodo straordinario sulla famiglia che si è concluso il 19 ottobre con la beatificazione in piazza San Pietro di Paolo VI ha cominciato a disegnare alcuni nuovi paradigmi della Chiesa cattolica destinati probabilmente a mutarne in modo profondo aspetti relativi alla sua struttura interna e al rapporto con la modernità. 

Guardare alle questioni concrete - i divorziati, le convivenze, gli omosessuali - è certamente importante. Tuttavia i fattori istituzionali e quelli tipicamente politici andrebbero presi in considerazione nelle riflessioni successive alla chiusura dell'assise. Il primo tema è quello della crisi - alimentata dalla strategia di papa Francesco - della Congregazione per la dottrina della fede guidata dal cardinale Gerhard Muller.



Quello che giornalisticamente viene chiamato "l'ex Sant'Uffizio"esce infatti fortemente ridimensionato dai 15 giorni di intenso dibattito svoltosi in Vaticano fra i 191 padri sinodali. Non è un caso, del resto, che lo stesso Muller sia stato e continui a essere uno degli oppositori di punta della riforma bergogliana. 


Nella vulgata giornalistica e non solo, la Congregazione per la dottrina della fede è (era) considerato il più importante dicastero della Curia romana e quello che incuteva maggiore timore a teologi e vescovi. Un'immagine rafforzata dalla lunga permanenza al suo vertice di un teologo di punta come Jospeh Ratzinger. Questi è stato certamente un esponente conservatore di qualità e tuttavia ha interpretato, sia pure a un livello alto, soprattutto i timori crescenti di una parte della Chiesa per il clima e le aspettative di riforma degli anni post-conciliari. 

Muller, che è stato scelto da Benedetto XVI, ha criticato con parole durissime la prima relazione del sinodo (post disceptationem), quella contenente le maggiori aperture sui temi etici. Non solo: con gesto certamente inusuale, a ridosso del sinodo ha pubblicato un libro che ne contestava in anticipo le possibili conclusioni cercando perfino di influenzarlo in tal senso. La rottura fra il pontefice e uno dei suoi primi collaboratori è stata evidente e sembra a questo punto irreversibile.

La risposta del papa è stata altrettanto dura. Al principio dell'assise Francesco ha pronunciato un importante discorso nel quale ha invitato i padri sinodali a parlare senza alcun timore, senza paura “che il cardinal Muller vi venga addosso”. In questo conflitto non c'è solo una differenza ideologica. Nella concezione di Francesco il sinodo, infatti, non è più un pletorico organismo consultivo utile a mettere in scena una parvenza di collegialità (strumento utile tutt'al più per mostrare quanto sia illuminato il sovrano). Diventa l'organismo fondamentale della Chiesa, quello in cui si discutono, affrontano e risolvono i temi più complessi e controversi. Rimane, certo, il ruolo del papa che porta a sintesi il tutto, ma il cambiamento di paradigma è sostanziale. 

In una simile visione non c'è più un severo dicastero della dottrina che punisce i trasgressori della norma (la Chiesa di Francesco non è più "una dogana", nella celebre definizione del papa), al contrario è necessario parlare “senza paura e rispettando gli altri”; in tal modo i protagonisti diventano i vescovi, i pastori, non più i giudici della dottrina o di qualche altro dicastero romano. Così Francesco, convocando ben due sinodi sullo stesso argomento e consultando l'intero popolo di Dio sui temi della famiglia e della sessualità - quelli più classicamente sottoposti all'esame della Congregazione di Muller - sta colpendo alla base la struttura della Chiesa così come l'abbiamo conosciuta nel corso degli ultimi 150 anni. Inevitabilmente una parte della curia si oppone a questo disegno. 

La sinodalità, in linea con quanto avviene nelle chiese anglicane, ortodossa, protestante e d'Oriente diventa il luogo decisionale per eccellenza (e il valore ecumenico della scelta è qui in piena luce), il che naturalmente provoca pure l'emergere di divisioni sempre sottaciute o vissute di nascosto. Anche per questo il papa ha fatto pubblicare tutto il testo finale con i voti espressi su ciascun paragrafo. La norma dei due terzi prevista per l'approvazione contenuta nel regolamento del sinodo appare infatti superata nel momento in cui l'assemblea esce dai binari del formalismo ed entra in quelli della verità, della complessità, quindi della rottura dell'unanimità come valore in sé svuotato di contenuti.

Non solo. Anche il documento conclusivo ne esce cambiato sia nella forma sia nella sostanza: la relatio finale è diventata infatti la base di discussione del prossimo sinodo, destinato a prendere alcune decisioni importanti. In questo senso si è giustamente parlato di work in progress, sebbene questo lavoro non si esaurirà del tutto nemmeno con il prossimo sinodo. 

Il work in progress concepito da una Chiesa sinodale è in qualche misura permanente. Inevitabilmente questa dimensione comporta una discussione sempre aperta all'interno della Chiesa. Per questo diversi osservatori hanno rilevato come la grande novità del sinodo sia in realtà la grande libertà con cui i partecipanti hanno discusso e si sono scontrati. Sotto tale profilo il sinodo non è solo il tentativo di rendere concreta e visibile quella Chiesa “ospedale da campo” promossa da Francesco, attenta cioè alla realtà composita dell'umanità senza pregiudizi, capace di accogliere prima che di condannare, comprensiva delle storie di ciascuno pur senza rinunciare all'annuncio della Verità. 

Questo modello - l'annuncio e l'accoglienza, quindi l'attenzione costante alla storia, ai segni dei tempi - ha bisogno di un nuovo paradigma teorico e pratico. Il lungo processo di accentramento ecclesiale cominciato con la fine dello Stato pontificio ottocentesco e lo sviluppo successivo che ha portato il Vaticano ad assumere una mole sempre maggiore di potere, di burocrazia, di decisione dottrinale e i papi a essere legislatori universali permanenti, entra ora in discussione. 

La sinodalità riforma anche la Curia e il papato stesso ed è forse questo il vero e profondo motivo per il quale la minoranza conservatrice ha votato contro alcuni paragrafi conclusivi controversi della relatio anche quando si limitavano a citare quasi solo il catechismo. La contestazione era radicale e non riguardava più solo il testo, ma la possibilità stessa che le cose mutassero ed evolvessero in questa direzione.


In prospettiva si disegna un modello nuovo in cui intorno a un nocciolo di verità intangibili, la Chiesa si articola a livello locale lasciando un margine di autonomia crescente alle varie conferenze episcopali. Il capo dei vescovi francesi, monsignor Georges Pontier, ha accennato in questo senso al problema, o meglio alla dinamica nuova che si delinea. 
La strada che potranno fare i vescovi di singole e distanti realtà geografiche su determinati temi senza provocare rotture si misurerà nel rapporto con il governo centrale della Chiesa e con l'unità del magistero. In un simile contesto il momento sinodale diventa dunque decisivo strumento di governo e di sintesi.



Per approfondire: Le conseguenze di Francesco
http://temi.repubblica.it/limes/il-sinodo-e-lo-specchio-della-nuova-chiesa-di-francesco/67433

Il vescovo Usa Thomas Tobin: votare al Sinodo è da protestanti

I lavori del Sinodo
I LAVORI DEL SINODO

Il commento del prelato conservatore americano sulla pagina web della sua diocesi: «Papa Francesco vuole "fare casino". Missione compiuta»

REDAZIONEROMA


«Il concetto di avere un corpo rappresentativo della Chiesa che vota su applicazioni dottrinali e soluzioni pastorali mi colpisce come qualcosa piuttosto protestante». In questo modo si è espresso il vescovo conservatore statunitense Thomas J. Tobin, già critico in passato con Papa Francesco per quello che egli ritiene una scarsa attenzione a tematiche pro-life come l'aborto. Il prelato ha criticato, sul sito della sua diocesi, Providence, il Sinodo straordinario sulla famiglia che - senza la sua partecipazione - si è appena concluso in Vaticano. Tra i «pensieri sparsi» che monsignor Tobin affida alla pagina web della diocesi, «nel tentare di accomodare i bisogni dell'epoca, come Papa Francesco suggerisce, la Chiesa - scrive - rischia il pericolo di perdere la propria  voce coraggiosa, contro-culturale e profetica, una voce che il mondo ha bisogno di sentire».

Ancora, continua il vescovo, «mi domando come sarebbe sembrato il Concilio Vaticano II e cosa avrebbe prodotto se all'epoca fossero esistiti i social media». Il prelato statunitense - che esprime stima nei confronti del cardinale Leo Burke, espressione delle posizioni più conservatrici al Sinodo sulla famiglia - conclude con due considerazioni. La prima: «Papa Francesco vuole "fare casino". Missione compiuta ("Mission accomplished")». La seconda: "Relax. God's still in charge" (rilassatevi, Dio è ancora in carica).

Mons Vincenzo Paglia
MONS VINCENZO PAGLIA

Intervista con il ministro vaticano della Famiglia. "E' stato rispettato il mandato di Francesco"

GIACOMO GALEAZZICITTA' DEL VATICANO
“Il cambiamento è avviato e non si torna indietro”. Al Sinodo sulla famiglia le resistenze sulla comunione ai divorziati risposati e le unioni di fatto “non hanno modificato un cammino che è ormai avviato”, assicura l’arcivescovo Vincenzo Paglia.  “E’ stato rispettato il mandato di Francesco: accogliere ed uscire”, afferma il ministro vaticano della Famiglia.


Al Sinodo è emersa una parte di gerarchia che si oppone all’opera rinnovamento di Francesco?

“Vorrei anzitutto chiarire una cosa. La Chiesa, con il Sinodo, si è presa la responsabilità di riflettere sulla difficile situazione che stanno traversando le famiglie nel mondo. E’ importante cogliere questa prospettiva per comprendere la posta in gioco e quindi anche la franchezza e l’importanza del dibattito. Mi augurerei che in tutte le altre istituzioni politiche, sociali, economiche, si facesse quanto abbiamo fatto nel Sinodo. Di fronte al mare magnum dei problemi era ovvio che si avviasse un dibattito articolato ed anche vivace. Lei parla di qualche opposizione al rinnovamento voluto da Papa Francesco. Lo stesso Papa ha messo in guardia da due tentazioni, quella di arroccarsi in difesa su posizioni autoreferenziali e l’altra del buonismo superficiale. Il Sinodo è stato indetto per ascoltare la situazione delle famiglie reali di oggi e per venire loro incontro in maniera appassionata e non certo arcigna. Non è stata e non doveva essere una semplice ripetizione della dottrina. Francesco chiede una Chiesa che si metta in cammino per accogliere tutti e per raccogliere chi ha bisogno. Gesù per primo – ha sottolineato papa Francesco – ce ne dà l’esempio. L’assemblea sinodale – pur con tutti i suoi limiti – ha cercato di gettarsi nel cuore dei problemi della gente, delle famiglie, interrogandosi su come rispondere. A mio avviso è necessario continuare ancora ad ascoltare e a cercare risposte. Il testo finale – per con le lentezze che presenta – ha comunque aperto il cammino che deve ora proseguire nelle diocesi fino al Sinodo Ordinario del prossimo anno. Non possiamo rinchiuderci in un fortino che si trincera nella rigidità dei precetti”.


Le novità sono state frenate?

“Ripeto, il cammino è stato avviato. Francesco sta davanti a tutti noi e apre il sentiero. Anche se qualcosa non ha funzionato come doveva, ha esercitato la sua missione di pastore universale. Potremmo dire – con una immagine automobilistica – che nella franchezza del dibattito non tutti i pistoni del motore si sono mossi armonicamente. La macchina sinodale perciò ha avuto anche alcuni sussulti. Ma il risultato è che la macchina ha continuato ugualmente a camminare, è uscita dai box ed è su strada. Non su un circuito chiuso e riparato, ma sulle strade del mondo, quelle percorse dal Buon  Samaritano il quale, a differenza del sacerdote e del levita, non ha continuato oltre, ma si è fermato e si è caricato sul giumento il ferito, ossia le innumerevoli famiglie ferite. E’ indispensabile lasciarsi ferire. E’ di qui che passa la via sinodale che dobbiamo percorrere in questo anno. E non solo i vescovi, i 191 del Sinodo, ma tutti, anche le famiglie cristiane. Mi auguro che in ogni parte del mondo ci sia una sorta di risveglio, di dibattito, di discussione, di aiuti per le famiglie. Se inizialmente c’è stato un questionario e poi un Sinodo straordinario, mi auguro che ora inizi un’azione più diretta a individuare strade e soluzioni operative.


Quindi va evitata la logica del muro contro muro?

“Assolutamente sì. Non vuol dire che vanno abbassati i dibattiti, al contrario, vorrei che si alzasse la preoccupazione e l’impegno. E’ questo che mi prefiggo di aiutare anche come Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il nostro compito di pastori – direi di tutti, famiglie comprese - è uscire dalle sagrestie e dalle mura delle chiese per andare incontro alle persone in carne ed ossa. Non perdiamo tempo a salvaguardare posizioni astratte. Siamo chiamati alla “salus animarum” più che alla “salus principiorum”. Dobbiamo uscire in strada con il Vangelo e con quella “simpatia immensa” per l’uomo di cui parlava il beato Paolo VI.


Ma non c’è un ritardo culturale?

“Direi che c’è un ritardo sia culturale che spirituale, un ritardo nell’amare nel comprendere in maniera appassionata gli altri. L’individualismo imperante rischia di creare una società di soli. Il Sinodo, attraverso la riproposizione della famiglia come motore della società, chiede a tutti di riscoprire la forza culturale di quella parola che sta all’inizio della Bibbia: “Non è bene che l’uomo sia solo”. Questa pagina è oggi messa in crisi da culto dell’Io. L’amico Giuseppe De Rita parla di “egolatria”, un culto sul cui altare si sacrifica tutto, anche gli affetti più cari. Riscoprire la dimensione “familiare” della vita significa aiutare la società ad essere più salda e più forte, meno “liquida” e più solidale. Tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno di un amore più robusto, più generoso, che ci faccia stendere le braccia, che ci faccia aprire il cuore. Sulla croce Gesù, non guarda se stesso, non piange su se stesso e sui propri guai. Guarda il giovane discepolo e l’anziana madre, guarda ciascuno di noi. I giovani senza speranza e gli adulti induriti dalla vita”.

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